Alle origini del movimento operaio di Castellammare di Stabia
di Raffaele Scala
Scuola Operai Regio Cantiere Navale in visita a Torre Annunziata 1937
Premessa dell’autore:
Con il sesto capitolo si chiude questa lunga fase della storia del movimento operaio che ha visto come figura centrale, seppure non unica, Catello Langella, sfortunato e dimenticato figlio di Stabia. Sperando di non aver annoiato i lettori con una storia, che al suo interno ne raccoglie tante altre, portando alla luce fatti e persone che hanno vissuto vicende storiche, ora da protagonisti, ora da comparse, figure in cui tanti di noi possono riconoscere se non i genitori, forse i nonni o comunque persone di famiglia. A tal proposito mi è capitato di essere stato contattato da discendenti – e non tutti sono stati felici per come ho raccontato le vicende legate ai loro congiunti, qualcuno ha protestato – mi hanno chiesto se avevo ulteriori notizie su di loro, dove avevo raccolto i fatti narrati. A questi ho risposto, come a tutti gli altri posso soltanto dire, che ho scritto sempre raccontando la verità, o almeno la verità delle carte ritrovate, il che non significa che corrisponda sempre alla verità dei fatti, specialmente se il riferimento sono le fonti giornalistiche, ma altri mezzi non esistono. L’unica censura che ho adoperato è quando sono emersi – in particolare da rapporti di polizia – fatti scabrosi, o comunque poco edificanti, relativi alla vita privata e o familiare che nulla avevano a che fare con la loro storia pubblica.
Chiedendo scusa a tutti se ho toccato la sensibilità di qualcuno, vi lascio ricordando soltanto che la Storia continua…
Cordiali saluti, dott. Raffaele Scala.
CAPITOLO SESTO
GLI ANNI DELLA MATURITA’
1. Catello Langella e “Il Risveglio di Stabia”, tra polemiche e querele
Non sappiamo in quale anno Catello Langella sia ritornato a Castellammare. Secondo il suo ex allievo e poi amico fraterno, Raffaele Cinelli, “Ritorna in Italia nel primo decennio di questo secolo”, probabilmente alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, in concomitanza con l’impetuoso ritorno degli emigranti dagli Stati Uniti e dagli altri paesi d’oltreoceano, provocato dalla crisi economica mondiale, quando tra il secondo semestre 1914 e il primo del 1915, quasi 140mila italiani pensarono bene di rientrare in patria. Di certo lo incontriamo di nuovo nella sua città natale, nel febbraio 1915, sottoscrivere 20 lire a favore dei terremotati d’Avezzano, Pescina e di un’altra decina di comuni limitrofi dell’Abruzzo colpiti dal catastrofico sisma del 14 gennaio. Il terremoto aveva provocato oltre 44mila morti e immediatamente, nel resto d’Italia, era scattata una gara di solidarietà a favore delle famiglie delle vittime. A Castellammare il Comitato di soccorso era formato dal Sottoprefetto Enrico Pennella, dal sindaco Catello Gaeta, dal consigliere provinciale Antonio Vanacore e dall’assessore Giuseppe Scarselli, riuscendo a raccogliere oltre tremila lire nel primo giro di raccolta, anche grazie alla generosità della sede locale della Banca Generale della Penisola Sorrentina, versando da sola ben 1.500 lire e dello stesso comune con mille lire.
La città nella quale egli ritorna è amministrata da un nuovo vecchio partito: gli uomini che negli ultimi quindici anni si sono battuti contro lo strapotere della famiglia Fusco, non sempre con coerenza, anzi, spesso con arditi voli pindarici tesi a giustificare la politica dei voltagabbana. La riscossa degli uomini nuovi, sull’onda di quanto stava già accadendo a Napoli e in altri comuni della provincia, era cominciata, a Castellammare, la sera dell’8 novembre 1913, quando nella sede del Circolo Democratico, al Corso Vittorio Emanuele
(…) Si sono riunite le rappresentanze di tutte le classi sociali per pigliare gli opportuni accordi in merito all’organizzazione del partito democratico e per la preparazione alla prossima lotta amministrativa.
La discussione era stata animata, ma alla fine era stato eletto un comitato direttivo per organizzare le forze popolari in vista delle elezioni amministrative. Vi erano, tra gli altri, Nicola Amitrano, Giuseppe Scarselli e Rodolfo Rispoli, in rappresentanza delle tre anime politiche, quella liberale democratica, radicale e la repubblicana. Per quanto ci è dato sapere, mancavano i socialisti, non più interessati a coalizioni spurie e ormai orientati sulla linea antiriformista dell’intransigenza rivoluzionaria. E questo era ancora più vero nel napoletano dove da almeno due anni era in atto uno scontro feroce contro i compromessi elettorali e le degenerazioni che da tempo avevano inquinato il partito socialista, trasformato a sua volta in una vera e propria lobby dominata dalla massoneria. Campione della lotta ad ogni compromesso era il giovane Amedeo Bordiga che proprio qui a Castellammare e più complessivamente nell’area torrese stabiese aveva trovato terreno fertile per sperimentare le sue audaci e innovative battaglie politiche.
Nella Città delle Terme la sezione del partito socialista era nelle mani di una nuova generazione di militanti rivoluzionari, giovani che avevano aderito con entusiasmo alla chiamata alle armi contro le degenerazioni borghesi infiltratosi nei punti chiave delle organizzazioni operaie, minando alla base la credibilità del loro stesso partito e contro la politica del blocco elettorale portato invece avanti con grande fervore dal giornale socialista La Propaganda e dal quotidiano democratico liberale, Roma. Giovanissimo segretario della sezione PSI era Oscar Gaeta, classe 1895; bibliotecario della sezione stessa e su posizioni antimilitariste si trovava il fratello minore, Guido, entrambi figli di Raffaele; vi erano poi i fratelli Cecchi, Antonio e Pasquale, Antonio Esposito, Catello Marano, Ignazio Esposito, 23enne proprietario e direttore della Voce, Alfonso D’Orsi pochi altri di cui si sono perse traccia e memoria. La polizia politica si rese quasi immediatamente conto della pericolosità di questa nuova generazione e cominciò da subito ad ostacolare la loro attività, schedando i più irrequieti, interrompendo i comizi e proibendo anche le più innocue iniziative, al punto da farli gridare, a più riprese, sul loro quotidiano nazionale: Protestiamo energicamente per la differenza di trattamento che si usa in confronto con altre città.
Nell’ottobre del 1913 il piccolo nucleo di rivoluzionari si era misurato nelle elezioni politiche trovandosi di fronte Rodolfo Rispoli, sostenuto dal Partito Democratico. Di questa formazione erano, naturalmente, parte integrante i repubblicani, il cui partito a Napoli non aveva mai rinnegato il suo uomo di punta dell’intera provincia, rigettandone anzi le dimissioni, quando questi le aveva date in agosto, motivandole con la decisione di voler abbandonare la pregiudiziale antimonarchica. In disaccordo con la linea scelta dall’Unione Socialista Napoletana, pronta ad ogni compromesso sulle candidature nei diversi collegi elettorali della provincia e accettando tra queste anche quella del Rispoli, i socialisti intransigenti guidati dal giovane Amedeo Bordiga decisero di raccogliere la sfida facendo scendere in lizza il rappresentante di commercio, Mario Bianchi.
Sull’Avanti! del 26 settembre, Ignazio Esposito aveva scritto un lungo articolo sul camaleontismo politico dell’antico compagno di strada, ora disponibile perfino ad accettare il sostegno dei tanto vituperati clericali, acerrimi nemici fino a qualche giorno prima, pur di rientrare in Parlamento. Nell’articolo erano stati presentati i quattro candidati alle elezioni politiche del 26 ottobre, partendo da quello uscente, l’inossidabile Alfonso Fusco, definendolo (…) l’analfabeta: qui non è conosciuto con altro nome. Prova ne sia che alla Camera non parla mai, non sapendo mettere insieme quattro parole., continuando con Rodolfo Rispoli: (…)L’ex onorevole, l’eterno candidato della così detta democrazia stabiese, il fedele discepolo di Giovanni Bovio – come lui amava chiamarsi – alla vigilia delle elezioni s’è liberato di un fardello ingombrante, dimettendosi dal partito repubblicano.”, proseguendo finalmente con Mario Bianchi, il candidato (…) proclamato contro tutti i rappresentanti delle varie cricche personali. La nostra è un’affermazione di partito, perché è questa la prima volta che i socialisti da soli scendono in lotta contro i maggiori esponenti della borghesia. Evidentemente la nostra candidatura non ha alcuna probabilità di riuscita: a noi basterà solo la soddisfazione di aver fatto della pura propaganda socialista, ché i risultati numerici ci lasciano completamente indifferenti. Quarto ed ultimo candidato, il marchese Ferdinando Ferri, un democratico costituzionale di Secondigliano, lanciatosi nella corsa politica pur consapevole di non avere nessuna speranza di vittoria.
Ad aprire la campagna elettorale era stato Alfonso Fusco, il 1° ottobre, nel rinnovato Teatro Trianon, già Bellini, di Via Regina Margherita, mentre i socialisti erano partiti da lontano, tenendo il loro primo comizio pubblico per le elezioni il 7 settembre. Il linguaggio, in coerenza con la nuova linea rivoluzionaria, fu subito duro, attaccando l’impresa libica con le sue migliaia di morti, il militarismo e il protezionismo, provocando, quasi lo cercarono, l’ennesimo scioglimento da parte della polizia. Un secondo comizio si era tenuto il 21 nella Camera del Lavoro di Gragnano, poi in villa comunale, nella frazione di Scanzano e nel Palazzo delle Poste. Ben otto, infuocati comizi tra il 7 settembre e il 19 ottobre, unico strumento disponibile per illustrare le proprie ragioni, dove si alternavano con Mario Bianchi, i diversi esponenti del Circolo Carlo Marx, da Amedeo Bordiga ad Ortensia De Meo, a Gustavo Savarese, mentre tra gli stabiesi si cimentava nell’arte oratoria il giovane Catello Marano. Ma contro Rodolfo Rispoli, candidato non solo delle forze democratiche ma anche di quelle clerico moderate non c’era più gara, semmai c’era stata, e se ne accorse il povero Alfonso Fusco, ormai diventato per tutti, anche per i suoi vecchi sostenitori, pronti a saltare sul nuovo dirompente cavallo vincente, l’immondezzaio politico della provincia, come l’avevano definito i socialisti in una corrispondenza sull’Avanti! del 17 ottobre. Gli 8.073 votanti, su 10.397 iscritti del collegio elettorale, riversarono sull’avvocato ex repubblicano ben 4867 voti contro i 3365 dell’ormai defenestrato ex Re di Castellammare. Il marchese Ferri se la cavò con 1106 preferenze, mentre soltanto 53 cittadini ascoltarono le ragioni dei socialisti, scegliendo nell’urna Mario Bianchi.
Il risultato non dovette sorprendere più di tanto i socialisti rivoluzionari e del resto lo stesso Ruggero Grieco (1893 – 1955), aveva riassunto in una frase lo spirito rivoluzionario dei componenti il Circolo Carlo Marx in un suo articolo sulla Voce del 20 luglio, scrivendo:
Contro tutti, contro ogni colore, dal nero – prete, al roseo – democratico, al verde – massonico…La nostra lotta è di classe, quindi lotta antiborghese. Chi non si sente di seguirci si allontani: sarà un vigliacco di meno ad ingombrarci la strada. Noi vogliamo andare soli e pochi (…).
E che fosse questa la strada intrapresa lo dimostrarono anche le elezioni provinciali tenutesi il 26 luglio 1914 quando, ancora una volta, contro due mostri sacri della politica stabiese come Nicola Fusco e il dissidente Antonio Vanacore, candidarono il giovane professore di lettere, Catello Marano, mandato letteralmente al massacro, nella consapevolezza della diversità d’obiettivi. Nella stessa giornata si tennero anche le elezioni amministrative e sulle forze moderate pesava quanto era accaduto venti giorni prima a Torre Annunziata, dove per la prima volta il loro schieramento fu spazzato via dal blocco elettorale consentendo al socialista Gino Alfani di essere eletto consigliere provinciale e all’avvocato radicale Vittorio Fiore di diventare sindaco a capo di una coalizione composta da quattordici socialisti e dieci fra repubblicani, radicali e indipendenti. Assessori divennero due ex segretari della Camera del Lavoro come Cataldo Maldera e Alcibiade Morano e il repubblicano Francesco Manfredi. Era pur vero che tutto questo accadde grazie al tradimento dell’intransigente Gino Alfani, il quale rompendo ogni indugio aveva momentaneamente abbandonato Amedeo Bordiga per i più fruttuosi lidi dell’alleanza bloccarda, facendo andare su tutte le furie lo stesso direttore de l’Avanti!, Benito Mussolini.
Tutto questo a Castellammare non era accaduto: la sezione PSI era rimasta compatta sulle posizioni estremiste dei suoi leaders e questo rendeva più complicata la sortita del Partito Democratico. Se le elezioni politiche di dieci mesi prima avevano fatto convergere su un unico candidato la maggioranza dei voti dell’elettorato moderato e democratico, ora la situazione si presentava ben diversamente: scomparso dallo scenario politico l’impresentabile Alfonso Fusco, Nicola Greco, sindaco dal 18 settembre 1912 in sostituzione del dimissionario Ernesto Fusco, contava su un vasto consenso mai venuto meno sul suo nome in quegli anni ed era quindi ottimista di vincere ancora, di riuscire a confermare il suo mandato mantenuto così tenacemente in quei due anni scarsi. Ma non era così: il nuovo vento continuava a soffiare nella stessa direzione e la vittoria bloccarda a Castellammare non fu meno impetuosa della precedente marcia trionfale delle elezioni politiche, guadagnando ben 27 seggi sui 40 disponibili. Nessun socialista era presente nel nuovo consiglio comunale ma la coalizione decise comunque di premiare il capo della loro ala moderata, Raffaele Gaeta, affidandogli la vice presidenza del Comizio Agrario.
E’ una Castellammare apparentemente diversa quella quindi trovata dall’antico ex segretario della Camera del Lavoro. L’ambiente politico non gli è ostile, anche se la nuova amministrazione comunale non durerà molto, sciogliendosi nell’estate di quel tempestoso 1915 e a dirigere il comune verrà il Commissario prefettizio Gaetano Gargiulo. Stavolta non dovrà attendere molto per trovare un lavoro: una delibera di Giunta del 15 giugno, una delle ultime prima di dimettersi nei primi giorni d’agosto, istituiva nell’istituto, Giuseppe Bonito, a cominciare dal prossimo anno scolastico, due nuove cattedre d’italiano e di matematica per fare fronte all’incremento della scuola tecnica e in novembre sarà assunto come insegnante d’italiano, con un contratto da precario proprio da questa scuola, il cui direttore era il suo antico compagno di scuola e d’idee, il liberale poi repubblicano, Michele D’Auria.
Acquisito un minimo d’autonomia economica, nel gennaio 1916 Langella fonderà e dirigerà il periodico Il Risveglio di Stabia, una fortunata e battagliera pubblicazione, talora quindicinale, altre mensile, che ancora nel 1926 informerà gli stabiesi sulle vicende locali. Attraverso questo giornale partecipa
Con i suoi vibranti interventi giornalistici alla vita amministrativa cittadina (…) affianca l’opera del Comitato d’assistenza civile, segnala all’opinione pubblica i casi di patriottismo e d’umana solidarietà di concittadini…riporta il racconto di atti di valore di altri concittadini combattenti, lettere di fanti(…) collabora attivamente con il Comitato della Croce Rossa per far giungere alle famiglie dei richiamati notizie dei propri congiunti dati dispersi sul fronte della guerra…Il 23 luglio 1916, Catello Langella, partecipando ad una riunione della Croce Rossa Italiana presso l’ospedale territoriale di Napoli, conosce il grande Guglielmo Marconi che poi l’onorerà della sua amicizia e lo infervorerà vieppiù a prodigarsi per la valorizzazione del bacino idrominerale stabiano (…) Nel novembre 1918 Il Risveglio registra con un’edizione straordinaria il canto vittorioso del trionfo delle armi italiane a Vittorio Veneto, che ricongiungono Trieste alla madre Patria.
Catello Langella è interventista convinto: cosa importa se questa guerra, ancora prima di coinvolgerci in prima persona, sta già provocando danni enormi all’economia italiana, con il blocco parziale delle esportazioni, la carenza di materie prime, il rincaro del costo della vita e il conseguente licenziamento nei settori metallurgici, metalmeccanici e dell’arte bianca? Un’indagine dell’Ufficio del Lavoro nella primavera del 1915 aveva dimostrato come nel Circondario di Castellammare i disoccupati fossero passati dai 329, media stabile stagionale dei periodi precedenti, ai 3953 di questa prima fase bellica. E questo non poteva non pesare anche sul potere contrattuale dei lavoratori come ben si erano accorti, per esempio, i pastai e mugnai di Gragnano e di Torre Annunziata entrati in sciopero nel gennaio di quel 1915 per adeguare i salari all’aumentato costo della vita e rientrati invece al lavoro senza nulla ottenere nonostante la solidarietà dei cassettai, dei carrettieri e dei facchini dello scalo ferroviario. Poi gli scioperi dovettero ben presto lasciare lo spazio ai Comitati per l’assistenza civile e cominciarono a contarsi i primi morti.
Polemico fino alla provocazione, Langella non lesinava nei suoi articoli gli aggettivi più pesanti, non preoccupandosi di cadere nell’offesa personale, anzi talvolta sembrava quasi cercarla, provarci gusto. Le sue erano, ora, battaglie a difesa della moralità, ora in nome degli ideali perseguiti, a partire dalla difesa strenua di Castellammare, delle sue terme, delle sue acque. Dell’amore sconfinato per la sua città ne fece una ragione di vita, non fermandosi neanche di fronte alle denunce, civili e penali, che gli piovevano addosso. Tra le prime ricordiamo quella del 1918, quando nel numero del 15 febbraio attaccava Maresca Simpliciano, il direttore del Dazio Consumo, nell’articolo in prima pagina intitolato Il cancro daziario, accusandolo senza mezzi termini di un ammanco di cassa nell’azienda daziaria, di tendenze erotiche verso due ragazze, figlie di un venditore di vino al minuto, di aver favorito un certo Luigi Stinco, nativo come il Maresca di Piano di Sorrento, accordandogli di vendere vino al minuto senza licenza nella sua bottega al Corso Vittorio Emanuele 307, di aver favorito alcune guardie esonerandole dal servizio militare a discapito di altre, di non aver ripartito le somme delle contravvenzioni e infine di essere un assenteista. E a coronamento delle violenti accuse lo definiva un farabutto.
A conferma di quanto scriveva citava una serie di testimoni tra i quali l’avvocato Raffaele Gaeta quale Commissario di vigilanza del Dazio comunale, l’ex sindaco Catello Gaeta e l’imprenditore Pietro Salese perché a conoscenza delle insidie fatte alle figlie di Celeste Pietropalumbo, la donna a cui fu poi tolta la licenza per vendicarsi delle ragazze che non avevano ceduto alle lusinghe del direttore del dazio.
Simpliciano Maresca, il direttore del Dazio del comune di Castellammare, non ci pensò su due volte e tre giorni dopo, il 18, presentava un’istanza di citazione direttissima al Presidente del Tribunale di Napoli denunciando per diffamazione e ingiuria Catello Langella, nella sua qualità di Direttore del Risveglio, e Carlo Giandomenico come gerente del giornale, accordando “…ai querelati…ampia facoltà di prova per l’accertamento dei fatti diffamatori ed ingiuriosi in danno del sottoscritto…”. Il Maresca lamentava nei suoi confronti una vera e propria campagna di stampa, chiamando a testimonianza della sua onestà, tra gli altri, il Regio Commissario di Castellammare, Luigi Brandi e l’ex sindaco Ernesto Fusco, …i quali deporranno sulla falsità assoluta delle accuse diffamatorie contenute nell’incriminato articolo.
Imputato di diffamazione ed ingiurie continuate ed aggravate dalla pubblicità a mezzo della stampa, Catello Langella ebbe come suo primo difensore in questa causa penale, Alfredo Sandulli (1869 – 1942). Non da meno fu il Gerente del giornale, il 69enne Carlo Giandomenico, scegliendo Gino Alfani. Due grandi socialisti per chi il socialismo – almeno il Langella – lo aveva rinnegato. Vi furono diverse sedute dove furono ascoltate le opposte testimonianze e nel corso delle quali cambiarono anche gli avvocati difensori. Già nel dibattimento tenuto il 24 giugno, a difendere Langella non c’era più il Sandulli ma Marcello Cornacchione. Nella prima udienza del 18 marzo di quello stesso anno, Catello Langella non esitò ad assumersi la paternità dello scritto, riconfermando come
Tutto quanto si addebita con quell’articolo al direttore daziario Maresca è vero ed è notorio in Castellammare…tengo a dichiarare che io quando ho scritto in quell’articolo ho creduto farlo nell’interesse del bene pubblico e non contro il direttore col quale non ho alcuna ragione di livore.
Lo stesso Maresca nella sua deposizione, nel riconfermare le ragioni della sua querela, riconobbe che “effettivamente, come lo stesso Langella afferma, io non ho con lui alcun rancore personale, e solo ora l’ ho conosciuto di vista”
La sentenza si ebbe il 18 marzo 1919 e fu letta dal presidente Emilio Lanzi:
Il tribunale dichiara Langella Catello colpevole di diffamazione a mezzo stampa, esclude l’aggravante della continuazione in danno di Maresca Simpliciano con circostanze attenuati (…) lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione e lire 833 di multa, al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede a favore della parte lesa. Ordina la pubblicazione di questa sentenza a spese del Langella nel giornale Il Mattino di Napoli. Visto l’art. 9 del Codice di procedura penale … dichiara condonati mesi quattro della reclusione come sopra inflitta al Langella e l’intera multa. Visti gli art….assolve Langella dalla imputazione di ingiuria perché estinta l’azione penale per prescrizione. Visto lo stesso articolo (…), assolve Giandomenico Carlo dall’imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto.
Non contento della sentenza, il giorno dopo l’avvocato Marcello Cornacchione fece ricorso in Corte d’Appello ed ebbe ragione perché il 20 ottobre di quello stesso 1919 si espresse in questi termini : Assolve l’imputato per estinzione dell’azione penale per amnistia.
Nella sua veste di giornalista Catello Langella si batterà strenuamente per la valorizzazione di Castellammare come stazione di cura e centro turistico e non esiterà a pubblicare lettere aperte in cui denuncia l’amministrazione comunale di disinteressarsi delle sorti delle terme e dell’avvenire della città. Così farà, per esempio, nel numero 8 del 1° giugno 1922, quando indirizzandola
Alle Eccellenze Onorevoli De Nicola, Beneduce e Rodinò”, denuncerà …la mancanza della fognatura e delle zone di protezione igienica delle sorgenti di acque minerali che se impediranno …il radioso avvenire di stabia, affermato dal XIII Congresso Idroclimatologico, la responsabilità deve cadere sui maggiori esponenti dei partiti dell’ordine i quali predicano bene, prima delle elezioni, ma poi abbandonano il popolo nelle mani degli insipienti e delle consorterie, che fanno il giuoco dei nemici dell’ordine, alimentando l’odio di classe, aumentando il disagio economico, perché qui il problema economico equivale a quello igienico… Dai pupilli, dagli ignoranti, dai miserabili e dagli interessati contro l’avvenire di Castellammare, non si può pretendere più di quello che hanno fatto finora e più di quello che sapranno fare…
L’attacco violento riprendeva quanto già denunciato il 24 maggio al Prefetto, alla direzione della sanità pubblica del Regno e agli stessi Alberto Beneduce (1877 – 1944) ed Enrico De Nicola (1877 – 1959), rispettivamente Ministro del Lavoro e Presidente della Camera, entrambi campani ed eletti nella circoscrizione di Napoli nelle ultime elezioni politiche del 1919, dal “Corpo medico di Castellammare, unico competente del problema igienico sanitario della Città”. Ventiquattro firme sostenevano la denuncia anch’essa pubblicato dal mensile diretto da Catello Langella. La lettera aperta, pubblicata sull’intera prima pagina del Risveglio di Stabia, sollevò feroci polemiche fino a provocare una delibera di giunta il giorno 20 di quello stesso mese nella quale si facevano presente le frasi offensive contro l’amministrazione, dando quindi mandato al sindaco di sporgere formale querela contro il direttore del giornale e inoltre
Considerato che, indipendentemente dalla responsabilità penale, il sig. Langella, insegnante supplente nella scuola tecnica pareggiata comunale, non può andare esente anche da responsabilità disciplinari… Considerato che il fatto assume maggiore gravezza in quanto la maniera millantatrice, provocatrice, calunniatrice e lesiva dell’onore personale, di cui fa sfoggio il sig. Langella, direttore del Risveglio, può da un momento all’altro divenire occasione di disordini e di violenze, come già se n’ebbe prova in una seduta del consiglio comunale e come prova più fragrante se ne ha avuto in seno alla Giunta, la quale ha dovuto mettere in atto tutta la sua autorità collettiva per evitare al Langella conseguenti dolorose anche in pubblica scuola… Delibera di autorizzare il sindaco a sospendere di soldo e funzioni l’insegnante supplente della scuola tecnica, sig. Catello Langella.
Un successivo decreto dello stesso sindaco, il 27 di quel mese, incaricava Pasquale Cascone, direttore della Scuola Tecnica Pareggiata Giuseppe Bonito, di eseguire quanto richiesto. Contro il provvedimento, Catello Langella scriveva direttamente al sindaco, Francesco Monti, dichiarando illegale la sospensione dal soldo e dalla funzione in quanto non era un dipendente del comune e perché nella sua qualità d’insegnante aveva sempre fatto il suo dovere. Per nulla intimorito il direttore del Risveglio nella sua replica datata 4 luglio, tirava fuori le unghie non esitando a passare all’attacco
… Se poi si vuole, per solo spirito di vendetta, punire in me il libero pubblicista, che, nella sua critica obiettiva, in difesa degli interessi del paese, è costretto a mostrare piaghe, a dire verità che si riferiscono anche ad amministrazioni passate, allora non mi resta che protestare contro questo attentato alla libertà di pensiero, riservandomi di ricorrere alle superiori Autorità per la rivalsa dei danni materiali e morali. La querela invece che la giunta comunale ha deliberato di sporgere contro di me, che mi auguro sia presto un fatto, è il solo atto legittimo cui m’inchino, poiché dal dibattito rampante uscirà la giustizia.
A dare ragione alle tesi del Langella sulla sua illegale sospensione, intervenne lo stesso Provveditore, Bruno Cotronei, scardinando in quattro punti l’impianto accusatorio del sindaco: 1° il provvedimento del sindaco non era stato concordato col Provveditore; 2° si eccedeva in quanto era esclusiva facoltà del ministero, e non del comune, sospendere dallo stipendio l’insegnante; 3° non vi era fondamento giuridico in quanto l’addebito fatto era estraneo all’esercizio dell’insegnamento; 4° e ultimo punto, la legge comunale non poteva riguardare gli insegnanti delle scuole medie in specie quelle pareggiate in quanto avevano un proprio stato giuridico. A tutto questo bisognava aggiungere che Catello Langella, come insegnante di classe aggiunto, era stato nominato dal Consiglio dei Capi d’Istituto e perciò l’Autorità comunale avrebbe dovuto rivolgersi a quell’ufficio per i provvedimenti del caso. La risposta del Provveditore fece infuriare oltre misura il sindaco e questi, preso carta e penna, riempì sei bollenti pagine di replica al veleno contro l’odiato Langella. Una puntigliosa ricostruzione dei motivi e delle ragioni che lo avevano portato alla sospensione del professore d’italiano perché quanto fatto da costui era
(…) di una gravezza eccezionale e tale che richiede una soluzione esemplare e di massima generale” e quindi continuando nella sua implacabile accusa “E’ da un pezzo che il prof. Langella, mediante un giornaletto locale, conduce contro l’amministrazione comunale una campagna denigratoria indegna ed inqualificabile, che ha dato spesso origine ad incidenti in Consiglio comunale, un seguito, dopo la seduta consiliare, anche da vie di fatto. Sennonché il prof. Langella non limita qui la sua azione fegatosa e partigiana: in pubblica scuola egli osa investire un alunno, figliuola del consigliere comunale Andrea Cerchia, ingiuriandola come figlia di uno dei quaranta asini, tiranni, ecc. che amministrano il paese (…) Il Langella avrebbe potuto essere sospeso già da un pezzo a norma dell’art. 9 della legge sullo stato giuridico degli insegnanti essendo, al presente, rinviato per reato di diffamazione al giudizio del tribunale di Napoli, e l’Amministrazione non lo ha fatto, né lo ha chiesto. Avrebbe potuto esserlo anche in passato, allorché riportò dal tribunale di Napoli, la condanna a dieci mesi di reclusione per reato di diffamazione e l’Amministrazione non lo fece. Ma quando questo libellista fanatico, oltre che la solita sua via della denigrazione, batte anche quella della provocazione continua e dell’ingiuria ai danni dell’Autorità Comunale e delle persone che la compongono, sino a costringere le une e le altre a ricorrere al Magistrato, oh, allora, Sig. Provveditore, non varrà, ne può valere ragione alcuna per sottrarre costui anche all’azione disciplinare, ammenochè il prestigio dell’autorità non debba essere mortificato così da vedere innanzi al giudice, il Ministro, il Provveditore, il Sindaco contendere col proprio dipendente per difendere il suo onore oltraggiato per via di un reato che non ammette e non può ammettere l’exceptio veritatis poiché calpesta appunto l’onore, la dignità, la rispettabilità personale…
2. Il professore di italiano, storia e geografia Catello Langella
Catello Langella era insegnante supplente d’italiano, di storia e geografia nella Scuola Tecnica Pareggiata comunale Giuseppe Bonito, dal 1° novembre 1915, su nomina del commissario Prefettizio, Gaetano Gargiulo. La delibera del 12 gennaio 1916 aveva recepito la nota del direttore della Scuola “Previa approvazione dell’Unione dei Capi d’istituto tenutosi a Napoli.” Inizialmente aveva dato lezioni d’italiano anche nella Scuola Allievi Operai del Regio Cantiere, un istituto sorto nel 1912 e fondato come Scuola Serale Operaia dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso delle Maestranze del Regio Cantiere, ed era gratuita. Contava 200 allievi e si divideva in due corsi d’insegnamento biennali, uno inferiore e l’altro superiore. La Giuseppe Bonito risaliva invece al 1901 ed era nata come Scuola Tecnica Stabiese, su iniziativa d’alcuni insegnanti stabiesi, tra cui, come abbiamo già avuto modo di vedere, Nicola Scognamiglio e il professore Michele D’Auria, per lunghi anni suo primo direttore. La scuola aprì la sua prima sede in Via Coppola, 24 ed iniziò con un corso di 37 allievi. V’insegnarono diversi militanti socialisti come Pietro Carrese, Vito Lucatuorto e Andrea Luise. Sarebbe poi stata pareggiata alle governative con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione del 25 settembre 1913.
Ora contro l’articolo diffamatorio nei confronti dell’amministrazione comunale, il sindaco Francesco Monti non volle quindi sentire ragioni e andò avanti per la sua strada, forte della delibera di Giunta e del sostegno unanime dell’intero consiglio comunale, di sospenderlo dalla funzione e dallo stipendio. La nuova denuncia, secondo la quale Catello Langella aveva infierito contro la figlia del consigliere comunale, Andrea Cerchia, provocò una rapida indagine da parte del direttore della Giuseppe Bonito, appurando l’inesistenza dell’accusa.
La stessa alunna Cerchia – scrisse il Direttore al sindaco il 13 luglio – da me interrogata, negò che le si fossero rivolte parole ingiuriose, disse soltanto che il prof. Langella, nel dare spiegazioni della parola tiranno, si servì della semplificazione d’autorità preposte alle pubbliche amministrazioni, qualora non facessero il loro dovere…”.
La sospensione alla fine arrivò il 26 luglio, alla vigilia egli esami, con un dispositivo in cui furono annotati i sostituti del Langella in commissione d’esami: Michele D‘Auria per la lingua italiana e Nino Cortese per la storia e geografia. A dirimere la controversia, intervenne lo stesso ministero con un telegramma del 19 agosto, in cui faceva presente come, ai sensi del Regio Decreto 622 del 3 agosto 1908, Catello Langella non poteva essere sospeso ma soltanto dispensato. Magra consolazione linguistica. Una sconfitta dura da inghiottire per il professore, ma non per questo i guai erano finiti: in quel 1922, il 24 novembre, giungeva un’altra sentenza di condanna dall’11° sezione del Tribunale di Napoli quando lo dichiarò colpevole
di diffamazione a mezzo della stampa in pregiudizio dell’avvocato Limarzi Adolfo, Segretario Capo del Comune di Castellammare di Stabia…lo condanna alla pena della reclusione per la durata di mesi dieci ed alla multa di lire 833, di cui dichiara condonati mesi tre e l’intera multa; lo condanna inoltre ai danni verso la parte civile, da liquidarsi in separata sede, alle spese processuali e tassa di sentenza.
Catello Langella, per non smentire la sua fama di polemista in cerca di guai, l’11 giugno 1921 sul suo giornale Il Risveglio di Stabia, aveva pubblicato un articolo, Cittadini di Stabia, in cui dopo aver violentemente attaccato, secondo la motivazione della sentenza emessa dal tribunale
Coloro che per lo passato erano stati amministratori del comune, inneggia agli uomini nuovi, che a quelli erano suc ced uti, i quali animati da ottimi sentimenti, avevano fra le altre cose deliberata la sistemazione e il risanamento di talune fra le molte acque minerali esistenti in quella città. Ma mentre tutto sembrava che fosse andato bene (così scrive il Langella) ‘ad un tratto il solito nemico di Stabia esce fuori per impedire che la città si veda zampillare le sue acque, e con una relazione lunghissima presentata al consiglio comunale riunito in seduta segreta con i soliti cavilli curialeschi si vuole intentare causa ai Turcio e Landolfi, colpevoli di avere scoperte e messe a valore due sorgenti d’acqua acidula, vero capolavoro d’idrologia eseguito sotto la direzione del nostro Muscogiuri.
Con questo articolo il direttore del polemico giornale attaccava direttamente Adolfo Limarzi, se non suo amico, sicuro conoscente fin dai tempi degli studi liceali, colpevole di avere convinto il comune di privare Castellammare di quelle acque e accusandolo di curare interessi personali o almeno di favorire “nemici esterni”. Da qui anche l’accusa al Limarzi di essere il solito nemico della città. La querela per diffamazione con citazione diretta da parte del Segretario comunale fu a questo punto inevitabile, concedendo al querelato ampia facoltà di prova. Ma il giornalista, le prove di quanto aveva scritto non riuscì a portarle, addirittura il dibattimento fornì prove contrarie, dimostranti come i lavori intrapresi da Turcio e Landolfi fossero stati sospesi su decreto prefettizio dell’8 giugno 1921, a seguito di un’apposita ispezione eseguita sulle sorgenti dal medico provinciale e dall’ingegnere Emilio Majer, inviati a Castellammare dal Consiglio provinciale della sanità. E il Limarzi nella sua relazione si era limitato a riprendere i motivi che avevano portato il Consiglio provinciale, i tecnici e la prefettura a sostenere la sospensione di quei lavori. Così come il segretario capo del comune con quella sua relazione non impose al comune la sospensione, né avrebbe potuto farlo, ma semplicemente sottopose all’attenzione dell’amministrazione comunale i risultati comunicati dalle indagini eseguite. Male quindi aveva fatto Langella a fidarsi del parere favorevole ai lavori, dati invece dal consulente legale del comune, l’avvocato Greco, il 30 maggio. E peggio ancora egli stesso confessò di non aver mai letto la relazione incriminata.
A dare il colpo di grazia a Catello Langella fu la stessa testimonianza del Turco, il quale escluse categoricamente ogni responsabilità di Adolfo Limarzi tesa a danneggiare il comune per interessi occulti, aggiunse anzi, di escludere che questi potesse essere animato da mala fede. Dello stesso tenore tutte le altre testimonianze compresa quella del suo migliore amico, l’ufficiale sanitario, Pasquale Muscogiuri. La condanna fu quindi inevitabile ma non per questo il direttore del Risveglio si arrese. Promosse immediatamente il ricorso contro la sentenza in Corte d’Appello ma anche qui, il 4 settembre 1924, fu riconosciuta la sua colpevolezza seppure commutando la pena del carcere in una multa di 300 lire. Non gli bastò, pretendeva l’assoluzione e decise di arrivare alla Corte di Cassazione. Qui, secondo la testimonianza del suo amico, Raffaele Cinelli, risultò assolto su richiesta dello stesso Pubblico accusatore, il dottor Falciatore “..perché il fatto non costituisce reato..”
Lasciata la cattedra d’italiano presso la Scuola tecnica Giuseppe Bonito, Catello Langella “…privato della sua remunerazione d’insegnante, è costretto a dare lezioni private per procurarsi i mezzi di sostentamento. Tuttavia Il Risveglio è stampato ugualmente, sia pure a intervalli, presso la tipografia di una cittadina del salernitano, il cui proprietario comprende tutto il dramma del giornale incriminato e del suo fondatore che combatte per una santa crociata…”. Ancora una volta sconfitto nel suo amor proprio, questa volta non emigrò, ma decise di rimanere esule in Patria, vivendo, in fondo, come aveva sempre vissuto, di precarietà, dando lezioni private di italiano, di storia e inglese. Gli fu, infatti, di valido aiuto, in questi difficili frangenti, la lingua anglosassone, affinata, anche nella pronuncia, durante gli anni vissuti in Australia, nonché il suo grande amore per la musica: fervente musicologo
(…) con lucidissima memoria fischietta o canticchia sommessamente le arie, le romanze, i duetti e persino i quartetti salienti dell’opera Aida di Verdi. Nel tempo delle festività di Natale e Pasqua non trascura di fermarsi nella storica Basilica di S. Domenico Maggiore a Napoli, per assistere alla tradizionale esecuzione della Ninna Nanna o della Stabat Mater del Pergolesi. Ma dove il Maestro trova pause d’oblio alla sua travagliata esistenza è quando ascolta l’esecuzione dell’aria del Werther di Massenet, gustandone i versi. altra romanza che spesso egli riascolta in religioso raccoglimento è quella celebre dell’Elisir d’Amore di Donizetti…
3. L’espulsione dal Partito Nazionale Fascista
Il castigo inflitto a Catello Langella dall’Amministrazione comunale, e fortemente voluto in particolare dal sindaco Francesco Monti, sembrò cessare nel 1926, quando, ancora una volta su sollecitazione dello stesso preside della scuola complementare pareggiata Giuseppe Bonito, la Giunta deliberò, il 26 ottobre, la nomina del direttore del Risveglio, a professore d’italiano in quella scuola. Memore dell’esperienza passata e conoscendo quanto pericoloso fosse il Langella, la Giunta deliberò di assegnargli la cattedra d’italiano, storia e geografia, per il solo anno scolastico 1926-27.
In tanti, forse, avrebbero capito la lezione e si sarebbero piegati alla legge del più forte accettando supinamente, per quieto vivere o anche perché vittime del ricatto economico, a cui sempre è sottoposto chi è costretto a lavorare per vivere. Catello Langella nel 1926 aveva già 55 anni e poteva ben pensare di ritirarsi nel proprio privato, di salvaguardarsi la vecchiaia. In tanti lo avrebbero fatto ma non l’antico segretario della prima Camera del Lavoro e alla prima occasione utile, dimentico delle umiliazioni subite e delle sconfitte patite – o forse proprio per questo – si rimise l’elmetto in testa del guerriero senza macchia e senza paura e si lanciò nel suo ennesimo, inutile attacco contro l’acerrimo nemico di sempre, Francesco Monti, attaccando l’amministrazione comunale sul problema delle fognature non realizzate. E, infatti, il 4 luglio 1927, per nulla piegato dalle vicissitudini della vita, scriveva direttamente al Duce:
(…) Coll’avvento al potere del Governo Fascista, forte ed illuminato, gli stabiesi esultarono di gioia, specie quando, quattro anni addietro, V.E. concedeva a Castellammare di Stabia i mutui di favore per la fognatura e per la sistemazione e risanamento dei suoi tesori idrominerali. Ma quale amara delusione doveva ancora una volta attendersi questa città: dopo quattro anni, Eccellenza, nulla è stato fatto di positivo e di concreto!.
A Benito Mussolini faceva presente di essere iscritto al Partito Nazionale Fascista fin dal 1922 con la tessera numero 020012.
Ancora una volta al centro delle accuse vi era l’antico sindaco della città, oggi podestà, Francesco Monti. Ancora costretto a difendersi da un esposto che lo metteva sul banco degli imputati, il 10 novembre il podestà rispose puntigliosamente alla richiesta dell’Alto Commissario allarmato da quanto stava accadendo a Castellammare con riferimento alla pesante denuncia fatta dal prof. Catello Langella. Dopo avere confutato punto per punto le accuse montate dal suo antico e acerrimo nemico, ancora una volta, come già nel lontano passato, il non meno battagliero podestà passò all’attacco:
(…) Mi permetto in ultimo di richiamare alla E.V. il ricordo dell’altro tentativo di diffamazione tentato dal compagno del Langella all’approssimarsi della pre ced ente stagione 1926, quando in nome della scienza si tentò affermare che le acque di Castellammare erano indicate esclusivamente per le cure idropiniche e non per i bagni e i fanghi, per le quali cure erano adatte Agnano ed altre Stazioni balneari vicine. Contro il tentativo di sabotaggio del 1926 insorsero tutti gli scienziati intervenuti al Congresso di Salsomaggiore. Contro questo del 1927 sono insorti indignati tutti indistintamente i cittadini, ed il Langella ed il Muscogiuri sono stati anche espulsi dal Fascio
Pasquale Muscogiuri (1860 – 1946) – ricordato dalla sua città con una strada, seppure secondaria – era il Direttore dell’Ufficio Comunale d’Igiene, una struttura che solo pochi comuni non capoluoghi di provincia, potevano vantare. Amico fraterno di Catello Langella, condivideva con lui le aspre polemiche contro l’amministrazione comunale e come lui ne sopportava le conseguenze ricevendo e facendo denunce e querele.
4. Antonio Cecchi, Segretario Generale della Camera del Lavoro nel 1919
Da molto tempo ormai, Catello Langella, di socialista non aveva più niente, anzi, la guerra lo aveva trasformato in un ardente nazionalista e aveva seguito con interesse e ammirazione le evoluzioni politiche di Benito Mussolini (1883 – 1945), dalla nascita del Fascio, alla costruzione del Partito Nazionale Fascista, fino all’avvento al potere del Duce. L’entusiasmo per il nuovo verbo lo aveva portato ad essere tra i primi a far pervenire la sua adesione all’appello lanciato dal giornale del futuro Duce, Il Popolo d’Italia, di intervenire all’adunanza che si sarebbe tenuta la domenica del 23 marzo 1919 a Milano, per dare vita ai Fasci di combattimento. Catello Langella non partecipò a questa storica riunione svoltasi nel salone concesso dalla presidenza del Circolo degli Interessi Industriali e Commerciali, al primo piano del n° 9 di Piazza Santo Sepolcro. Tra le cento persone o poco più presenti alla nascita dei fasci, l’unico napoletano era il postelegrafonico Ernesto De Angelis, un ex repubblicano, corrispondente da Napoli del giornale mussoliniano. Rientrato nella città partenopea il De Angelis prese, però contatto con quanti avevano fatto pervenire la loro formale adesione all’iniziativa e tra questi Catello Langella, il tenente Francesco Rega e il tenente Umberto Paroli. Quest’ultimo era stato un antico sovversivo, quando con Antonio Cecchi aveva costituito, nel 1914 a Castellammare, la “Cassa pel soldo al soldato”, un’iniziativa antimilitarista dei giovani socialisti, unica in tutta la provincia ma ben presto fallita per mancanza di aderenti. La guerra lo aveva allontanato dagli antichi compagni, spostandolo su posizioni liberali. Lo ritroveremo infatti candidato senza fortuna nel Partito democratico liberale nelle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920.
Così subito dopo Napoli, dove fu costituito il 30 marzo, in Campania a fondare il Fascio di combattimento troviamo Castellammare di Stabia con l’inaugurazione avvenuta il 10 maggio del 1919. Il Fascio stabiese
(…) Ebbe nei primi mesi solo un carattere assistenziale per le famiglie dei reduci e non esprimeva ancora un indirizzo dichiaratamente politico. L’associazione usufruiva dell’assistenza comunale e della protezione dei vari commissari regi che amministrarono il comune prima della vittoria socialista. Tra questi commissari ricordiamo per le loro simpatie nazionalistiche Luigi Brandi e Giovanni Muffone. Catello Langella e il tenente Rega furono promotori di manifestazioni patriottiche, soprattutto nell’anniversario della ‘grande’ vittoria della prima guerra mondiale.
scriveva Antonio Barone nel suo già citato volume su Piazza Spartaco. Sull’onda di questo suo nuovo entusiasmo, il 21 giugno Langella si trovò a querelare, per ingiurie, minacce e lesioni, Antonio Cecchi, l’irriducibile rivoluzionario che da qualche mese, appena rientrato dal fronte, aveva ricostituito la Camera Confederale del Lavoro e di questa era stato eletto Segretario Generale.
Tra l’antico segretario della Camera del Lavoro e colui che aveva sollevato dal fango la bandiera degli ideali rivoluzionari nella quale il primo l’aveva buttata, non correva buon sangue, anche se Langella aveva trovato il modo di urtarsi con gli altri socialisti stabiesi già prima del ritorno del giovane Cecchi dal fronte. Pochi mesi prima, il 2 febbraio 1919, Catello Langella, infatti, era stato attaccato in maniera violenta da un articolo del Soviet, il settimanale fondato da Amedeo Bordiga ed organo della Frazione comunista astensionista.
Il direttore del Risveglio, nostro ex compagno – scriveva il Soviet – il quale fra una compunta manovra di turibolo ed un’ossequiente spazzolata al bavero del commissario Molina, trova anche il modo di occuparsi di politica. E nell’ultimo numero, dopo aver constatato nell’articolo di fondo, che non vi sono partiti a Castellammare, attacca subito, in un secondo articolo, per cercare di costituire un partito. Molti giustamente si aspettavano che volesse formare un partito degli onesti di cui più volte aveva cianciato. Ma il direttore si mostra crucciato che i cattolici (i soli che possano costituire nella nostra città un potente partito, a detta dello stesso direttore), si addimostrino apatici e non si decidano ad organizzarsi fortemente, ed il pio ex compagno li stimola, li esorta e li pungola ad uscire ed a sposare le loro pratiche ascetiche con quelle della vita civile. Solo noi ci permettiamo a nostra volta di esortare il direttore a decidersi anche lui a rompere gli indugi ed a farsi forte ed essere l’organizzatore del gran partito clericale: più presto si deciderà e maggiori meriti si acquisterà presso il Signore! Intanto noi abbiamo atteso invano che l’onesto direttore (che si è fatto sempre sollecito a mettere a nudo le cose disoneste, ed era ormai abituato a vedere in ogni irregolarità uno scandalo) parlasse della faccenda del materiale uscito dal cantiere per onorare S.Catello!…
Forse l’odio tra i due era esclusivamente di carattere politico, ma il dubbio che ci fossero motivi personali è forte: sul numero 10 del Risveglio del 7 maggio 1916, Catello Langella nel ricordare come Clotilde Langella (1862 – 1941), la madre di Antonio Cecchi, avesse goduto, quanto insegnava nelle scuole elementari di Scafati, di diverse indennità, aveva accusato il marito, Basilio Mariano Cecchi, Direttore Didattico a Castellammare fin dal 1905, di aver trasferito sullo stipendio della moglie le diverse voci economiche, facendole percepire così, indebitamente, una somma che aveva, col passare del tempo, abbondantemente superato le duemila lire, da quando questa era stata trasferita nel 1912, su sua richiesta, nella città stabiese. La denuncia pubblica aveva fatto scattare l’intervento del provveditorato chiedendo, per iscritto, chiarimenti al Commissario Prefettizio, Luigi Brandi. Pochi giorni dopo, in via precauzionale, lo stipendio annuo di Clotilde Langella era stato riportato da 2132 lire a 1652, cioè al minimo legale. La madre di Antonio Cecchi, senza pensarci su due volte, aveva preso carta e penna e protestato con garbo ma anche con fermezza contro un provvedimento da lei ritenuto una profonda ingiustizia:
Ho preso cognizione del provvedimento adottato da S.V. a riguardo il mio stipendio e comunicatomi con la riverita Sua nota del 23 corrente. – scriveva Clotilde al Commissario Prefettizio – E poiché ritengo avere io diritto allo stipendio di L. 2132, mi vedo nella necessità di sperimentare le mie ragioni giudiziariamente.
Non ancora soddisfatto, Catello Langella, con altri insegnanti aveva presentato, nell’ottobre di quel 1916 un’istanza alla giunta provinciale del Provveditorato per far valere dinanzi al tribunale civile le azioni del comune per i danni economici subiti dall’ente locale. Si aprì così una fitta corrispondenza tra le diverse parti cercando di trovare una soluzione al problema venutosi a determinare. Una nuova deliberazione del venti febbraio 1917 impose la restituzione rateale della maggiore somma, illegalmente percepita in quegli anni.
Questa soluzione parve accontentare Catello Langella, al punto da mettere per iscritto di aver preso conoscenza e visione degli atti deliberati dal commissario prefettizio, Luigi Brandi, con i quali s’imponeva alla maestra Clotilde Langella il pagamento rateale di dieci lire mensili per sei mesi, a decorrere dal 1° marzo 1917 e poi successivamente di 25 lire mensili fino all’estinzione del debito. E per iscritto il direttore del Risveglio promise di non insistere più in questa sua forsennata campagna di stampa contro la maestra elementare. La promessa rimase lettera morta, quando il 20 giugno 1918, dimentico di aver preso a suo tempo visione degli atti deliberativi, scrisse di nuovo al commissario Prefettizio nella veste di direttore del Risveglio, chiedendo un certificato in cui si attestava se era vero 1° che la maestra elementare, signora Clotilde Langella, ebbe una riduzione dello stipendio (specificare questa riduzione), 2° che la maestra medesima sconta mensilmente, e quanto, per il di più di quattro annate che aveva illegalmente riscosso prima della riduzione dello stipendio… e chiedeva infine di citare l’amministrazione precedente colpevole di aver consentito una simile illegalità per così tanto tempo.
La querelle si chiuderà nel 1921, quando il 18 maggio la deputazione provinciale del provveditorato scolastico, su ennesimo reclamo di Clotilde Langella, delibererà, in via definitiva, di riconoscere lo stipendio della maestra in lire 1752 dal 1° maggio 1916 al 31 gennaio 1918 e di lire 2227,66 dal 1° febbraio 1918 al 30 aprile dello stesso anno, quando cioè era scoppiato nuovamente e in maniera deflagrante il caso, ormai da troppo tempo di pubblico dominio. Naturalmente la coriacea moglie del direttore didattico, appena avuta conoscenza di aver vinto il ricorso, non ci mise molto nel prendere carta e penna per scrivere al sindaco e rivendicare gli arretrati maturati e non pagati alla luce dell’ultima delibera. Poi il ritorno dal fronte del terribile figlio, Antonio ( …).
Antonio Cecchi, da quando aveva ricostituito la Camera Confederale del Lavoro, con il contributo determinante di Pietro Carrese – protagonista assoluto di tutte le iniziative assunte dalla sezione socialista di Castellammare negli ultimi mesi precedenti la fine della guerra – inaugurandola il 25 aprile di quel 1919, aveva incendiato Castellammare proclamando scioperi e manifestazioni in successione. Già il 1° maggio vi era stata una mobilitazione popolare senza precedenti, riuscendo, per la prima volta, a coinvolgere l’intero mondo della scuola con una partecipazione di massa degli studenti, nel comizio tenuto in Piazza Orologio dallo stesso Cecchi, nella sua nuova veste di Segretario Generale della Camera del Lavoro e da Pietro Carrese, in nome del Partito Socialista. Il 20 aveva proclamato lo sciopero generale dei fornai e dei panettieri. Nei primi di giugno ci fu l’adesione massiccia dei metalmeccanici stabiesi allo sciopero generale provinciale per la conquista delle otto ore giornaliere, pochi giorni dopo, scattò la protesta dei 65 maestri elementari, fra l’11 e il 14 giugno, con la rivendicazione nazionale d’aumenti contrattuali. Questo sciopero coincise con quello provinciale dei metalmeccanici, decisi a sferrare l’attacco finale, fra il 7 e il 12 di quello stesso mese. Seguirono i tumulti popolari di luglio e settembre contro il carovita, repressi dalla polizia a cavallo con le sciabole sguainate, tra Via Bonito e Piazza Municipio, provocando numerosi feriti e altrettanti arresti. Il 1920 non fu da meno, in un’escalation culminata con l’occupazione di settembre delle fabbriche, il punto più alto prima della fragorosa e clamorosa caduta, senza paracadute, del movimento operaio, consegnatosi, senza condizioni, al regime incombente dell’ex socialista, ora capo incontrastato delle camicie nere e prossimo Duce d’Italia, Benito Mussolini.
Una delle conseguenze dell’intensa attività politico-sindacale di quella primavera del 1919 vissuta da Antonio Cecchi e da Pietro Carrese, sempre in prima fila in tutte le iniziative, tenendo continuamente discorsi e
comizi incitanti alla rivoluzione ed eccitando le masse a ribellarsi alle autorità costituite ed alle istituzioni vigenti, da essi violentemente attaccate, mandando il loro saluto ai martiri della rivoluzione russa e ungherese,
fu una denuncia alle autorità giudiziarie, il 12 giugno, da parte di un nutrito gruppo di funzionari di pubblica sicurezza, ufficiali dell’arma dei carabinieri, della guardia di finanza e guardie di città che complessivamente dal 1° maggio all’8 giugno li avevano seguiti in tutti i loro discorsi e comizi tenuti nei diversi luoghi della città. Era stato talmente violento il linguaggio di Antonio Cecchi, così provocatorio quello di Pietro Carrese e tale la partecipazione popolare alle manifestazioni indette dai due carismatici leaders, sempre più convinti di essere alla vigilia di una nuova rivoluzione bolscevica in Italia, così come pronosticato dallo stesso Lenin, da provocare la denuncia collettiva – fatto probabilmente senza precedenti – di ben 18 firmatari di esponenti delle diverse forze dell’ordine: dal commissario della P.S. e il suo vice, Giuseppe Cocchia e Alfonso Molina, al capitano dei carabinieri Guido Biagi, al tenente della finanza Venturini Caravella e così via. Il processo si chiuderà il 27 dicembre dello stesso anno con una sentenza d’amnistia.
5. Il Popolo Tirreno
Nel 1921 Catello Langella fondava, ancora in coppia con Francesco Rega, il periodico, Il Popolo Tirreno, per lungo tempo l’unica rivista fascista del Mezzogiorno, stando a quanto scrive lo storico Giacomo De Antonellis nel suo, Napoli sotto il regime. In realtà nello stesso periodo usciva, almeno a Messina, L’Azione Fascista, e nel 1922 un’altra pubblicazione a Napoli con la stessa denominazione, un numero unico in occasione dell’adunata fascista avutosi nel capoluogo campano il 24 ottobre di quell’anno. Del Popolo Tirreno, quindicinale, sottotitolato “organo politico, letterario, commerciale”, sappiamo soltanto che vide la luce il 20 febbraio con un numero saggio pubblicato a Torre Annunziata e di cui si conserva copia, insieme con un altro numero di marzo, nella biblioteca nazionale centrale di Firenze. Il periodico non dovette avere vita lunga considerando che non è più citato, neanche dal Chiurco – così meticoloso nella sua particolareggiata ricostruzione storica della “Rivoluzione fascista” – quando ricorda, per esempio, il convegno della stampa fascista tenutosi a Milano il 17 ottobre 1922 e citando uno per uno tutti i periodici presenti. Così come poco si conosce, se si escludono le feroci polemiche di cui abbiamo narrato, su questi anni vissuti sotto il regime da parte dell’antico socialista. Secondo alcuni, tra cui Antonio Barone, Langella sarebbe da considerare soltanto un ardente nazionalista inizialmente accecato dalla prosopopea mussoliniana e non anche un fascista convinto, al punto da allontanarsene sempre di più, dopo le sua espulsione avvenuta nel 1927.
Fin dal suo ritorno dall’Australia, Langella non aveva avuto più nulla da spartire con il socialismo. Interventista convinto, si era dato molto da fare con i diversi comitati per l’assistenza sorti durante il periodo bellico a favore delle famiglie dei militari. Un impegno questo cui in verità non si erano sottratti neanche socialisti come Raffaele Gaeta, sempre più lontano dalla politica attiva, ormai affidata ai suoi figli, in particolare al suo primogenito Oscar, giovanissimo segretario della sezione socialista fin dal 1913, anche se non meno impegnato fu da subito il più giovane Guido, antimilitarista convinto della federazione giovanile. Fondatore del primo Fascio di combattimento, Langella vide la sua creatura deperire giorno dopo giorno, fino a scomparire del tutto, travolta da uomini e idee il cui nuovo credo, materializzato dalla camicia nera e dal simbolo del teschio, era la violenza fine a se stessa, cementato dall’odio per i rossi, trasformato in vera e propria ossessione dopo l’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, quando si moltiplicano le spedizioni punitive contro i dirigenti socialisti e sindacali e le loro strutture.
Forse rimase spaventato da questa inaudita ondata di violenza – cos’erano al confronto le pur tragiche giornate della primavera 1898, da lui vissute quando ancora pensava di essere un rivoluzionario? – prime prove di una guerra civile con centinaia di morti e migliaia di feriti tra le due fazioni in lotta per la conquista del potere. Il terrore fascista investì l’Italia intera e non risparmiò l’area torrese stabiese, come dimostrarono l’eccidio di Piazza Spartaco a Castellammare del 20 gennaio 1921, l’efferato ed inutile omicidio dell’operaio delle Ferriere del Vesuvio, padre di nove figli, Diodato Bertone a Torre Annunziata il 26 febbraio e quello del giovane operaio della locale fabbrica di vetri, Giordano Pellegrino, il 15 maggio a Torre del Greco. Quest’ultimo a compimento di una tragica, folle giornata elettorale da parte di una quindicina di fanatiche camicie nere in giro per le città della provincia, tra Ponticelli, San Giorgio a Cremano, Resina, Portici a bordo di tre camion, per lasciarsi dietro una lunga scia di sangue. Il Fascio di combattimento stabiese sarebbe poi risorto, con ben altre caratteristiche, ad opera di Alfonso Imperati, nei tragici giorni di gennaio 1921.
L’adesione al Partito Nazionale Fascista fin dal 1922 non lo liberò dalla diffidenza poliziesca se ancora fino al 1926 era schedato come socialista, ricordo cartaceo dei suoi lontani trascorsi sovversivi. Forse Langella ignorava perfino di essere ancora segnalato, con un fascicolo a suo carico. Se fu sua l’iniziativa burocratica per liberarsi di quell’ingombrante passato conservato in documenti avviati ad ingiallirsi o di altri, non sappiamo. Di certo fu l’Alto Commissariato per la provincia di Napoli, con una nota dell’11 gennaio 1926 a dichiarare:
Il professor Langella Catello da alcuni anni si è apertamente manifestato avverso alla politica estremista, allontanatosi dai vecchi compagni di fede e fiancheggiando i partiti d’ordine. Milita ora nel partito Fascista e dirige il giornale “Il Risveglio”, che si pubblica a Castellammare di Stabia, sul quale egli scrive sempre con entusiasmo del Fascismo e del Duce. Ciò premesso, non si riscontra più l’opportunità di vigilarlo politicamente e, mentre ho dato disposizioni in tali sensi, ne propongo la radiazione dallo schedario.
Pochi giorni dopo, il 16 di quello stesso mese, perveniva il nulla osta per la radiazione dallo schedario politico centrale. Ma ciononostante, ennesima dimostrazione di come la burocrazia, quella poliziesca in particolare, una volta che sei entrato nei suoi tentacoli difficilmente ti lascia andare libero, ancora il 23 maggio 1942, la prefettura era sollecitata a rispondere per iscritto ad una richiesta pervenuta dal Ministero dell’Interno dove si chiedevano informazioni sull’antico sovversivo, ancora schedato come socialista.
6. L’ultima crociata di Catello Langella
Catello Langella lo ritroviamo ancora nel 1945, arzillo più che mai. Il 9 marzo di quell’anno il Prefetto aveva scritto a Raffaele Perna, sindaco provvisorio dell’amministrazione stabiese su mandato del CLN, per chiedergli una rosa di tre nomi dai quali attingere per nominare il commissario prefettizio dell’Azienda autonoma di cura soggiorno e turismo di Castellammare di Stabia. Il sindaco rispondeva il 15 aprile, proponendo, dopo aver consultato il Sotto Comitato di Liberazione locale, il cui Presidente era il democristiano Silvio Gava (1901 – 1999), i nomi di Antonio Cecchi, Catello Sorrentino, il potente presidente dell’Associazione commercianti da lui fondata nel 1944 e Catello Langella. Ma Cecchi, irriducibile bordighista, fece immediatamente sapere di non essere disponibile ad accettare nessun incarico, perseverando nella sua coerenza e rimanendo nella sua dignitosa povertà. Il suo nome fu allora sostituito con quello del fratello Mario, medico condotto e membro della giunta provvisoria, guidata da Raffaele Perna fino al 4 maggio 1946. Mario Cecchi (1905 – 1958) accettò l’incarico e il 21 giugno fu predisposto il decreto di nomina, ma quando, pochi giorni dopo, il 28, doveva insediarsi per sostituire Michele Rossano, già vice podestà nel 1941 – fatto decadere, su insistenza anche della locale sezione del PCI, per i suoi trascorsi fascisti – si dimise improvvisamente con una lettera del 30 giugno, motivandole con …la sua situazione professionale e le mutate condizioni familiari che gli impediscono nel modo più assoluto di accettare la nomina di Commissario prefettizio Azienda Autonoma Soggiorno e Cura… Senza ulteriori indugi il Prefetto Francesco Selvaggi (1882-1956), predispose un nuovo decreto in cui si deliberava che (…) A parziale modifica del decreto…il professore Catello Langella è nominato Commissario Prefettizio, a titolo gratuito, dell’Azienda Autonoma di Cura e soggiorno di Castellammare…”.
La scelta, probabilmente, non poteva essere migliore, considerando anche la coerenza e la passione con la quale il battagliero direttore del Risveglio aveva lottato a difesa di Castellammare, del suo buon nome, sotto il profilo del rilancio in campo turistico, a partire dal suo gioiello più prezioso, le terme con le sue acque minerali. Catello Sorrentino, il secondo della terna, diventerà, comunque, pur attraverso manovre poco chiare, come in seguito vedremo, Presidente dell’Azienda del Turismo, quale successore del Langella, nel maggio 1947 e rimanendovi fino al 1951. Nonostante l’età avanzata a Langella non mancavano l’energia e le motivazioni per assumere sempre nuovi impegni: si era negli ultimi tempi riavvicinato al socialismo aderendo al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), la nuova formazione politica, fondata nel gennaio 1947, da Giuseppe Saragat, in rottura con il PSI di Pietro Nenni. Così come non poteva rimanere indifferente al ricordo del suo secondo grande amore, favorendo la ripresa delle pubblicazioni del suo amatissimo giornale ad opera di un gruppo di suoi discepoli: Il Risveglio. Il nuovo periodico Vivrà cinque anni e malgrado non fosse un grande giornale raccoglierà firme di illustri personaggi; cesserà le pubblicazioni quando i suoi animatori: Enrico Pisciotta, Cascone, Raffaele Cinelli dovranno abbandonare per ragioni professionali.
Il primo numero della nuova serie uscì il 15 febbraio 1947, aveva come condirettori Gino Cascone ed Enrico Pisciotti, mentre Raffaele Cinelli fungeva da direttore amministrativo. La redazione si trovava in Piazza Matteotti 8, e di questo giornale Catello Langella era l’animatore. Un piccolo giornale locale su cui scrivevano personaggi poi destinati a diventare famosi come Alfonso Maria di Nola, antropologo e storico delle religioni, Michele Tito, giornalista di fama nazionale, recentemente scomparso, e Michele Prisco, indimenticabile autore dei racconti della Provincia addormentata, pubblicati nel 1949. Uno degli impegni assunti dal periodico sarà di sostenere l’utopia dell’avvocato e consigliere comunale democristiano, Catello Bonifacio, all’inseguimento del sogno della sesta provincia: 23 comuni da Nola ad Amalfi, passando per Nocera Inferiore, un milione d’abitanti distribuiti lungo una superficie di 1.030 kmq al punto da farne, tra le 92 province, la seconda per estensione dopo Napoli, la settima per popolazione. Questa ipotesi di provincia turistica trovò l’adesione di tutte le forze politiche locali, del Vescovo Federico Emanuel (1872 – 1962), del sindaco Pasquale Cecchi (1893 – 1979) e della sua Giunta, dell’Associazione dei Partigiani fino al “Comitato centrale di Difesa dei Disoccupati di Napoli e provincia, aderente alla Camera Confederale del lavoro. Sezione di Castellammare”. Un sogno coltivato dall’avvocato per molti anni se è vero che ancora il 20 dicembre 1961 scriveva al Commissario prefettizio, Aurelio Grasso, riproponendo, inutilmente, il suo antico e mai accantonato progetto.
Un uomo come Catello Langella, con un’intera vita vissuta passando di sconfitta in sconfitta, conoscendo molte umiliazioni e poche gioie, vivendo dell’ammirazione di quanti credevano in lui, a partire da Pasquale Muscogiuri, indimenticabile compagno di mille battaglie a difesa del termalismo stabiese, che non a caso lo citò in un suo intervento al II Convegno Ideologico regionale nell’Isola d’Ischia tenuto nel 1925 e riportato integralmente sul Risveglio di Stabia:
…l’amore per Castellammare ispirò l’egregio amico mio, Prof. Catello Langella, benemerito dell’Idrologia italiana, ad iniziare sul battagliero Risveglio il suo apostolato giornalistico per la valorizzazione degli immensi tesori naturali di Stabia…, poteva mai conoscere, nei suoi ultimi anni di vita, un destino diverso da quello che da sempre l’accompagnava? Un destino cercato, perseguito con masochistica, e per certi versi, ottusa o più semplicemente, ingenua caparbietà.
Diventato Commissario Prefettizio dell’Azienda di cura e soggiorno “…solamente per essere la vigile sentinella di tale grandioso patrimonio…”, si lanciò nella sua ultima crociata, scagliandosi contro la convenzione stipulata dal comune con la Società STABIA , appositamente costituita, per la gestione del patrimonio termale nel dicembre del 1946, con decorrenza dal 1° gennaio 1947. Era invece favorevole ad un’altra iniziativa, quella sostenuta dal dott. Mattioli, da Carlo De Falco e dalla Società SIPAMS, costituitosi nel 1947 per la fabbricazione e la vendita di prodotti alimentari mineralizzati (pane, pasta biscotti). Questa società non riuscì, però, ad iniziare la sua produzione perché gli fu negata la fornitura delle acque minerali richieste.
(…) Prima della costituzione della Società STABIA – denunciò Carlo De Falco al Prefetto – fu una continua lotta tra l’Azienda di cura e soggiorno ed il comune perché si accettasse la mia domanda di concessione per la valorizzazione almeno per le sole acque minerali, pur di avere presentata domanda di concessione con regolare progetto di massima che contemplava demolizioni di vecchi casamenti ubicati nella zona adiacente alle terme, d’alcune costruzioni di tre modernissimi alberghi termali sul suolo di risulta delle demolizioni, risanamento igienico – sanitario di tutte le sorgenti minerali di Castellammare, l’impianto d’imbottigliamento e la propaganda ed esportazione di tutte le acque minerali in Italia ed all’estero…Ma purtroppo lo scorso maggio, con ingiustificato cambiamento di scena, improvvisamente il comune di Castellammare, d’intesa con il Comitato, disponeva tempestivamente la sostituzione del prof. Langella con la persona di Catello Sorrentino, non dotto, non un laureato e né un diplomato, un semplice negoziante di nastri e profumi con negozietto sito in Piazza Quartuccio, ex impiegato postale che fu dalle stesse poste licenziato per motivi poco chiari. Autore anche di qualche fallimento. Titolare del negozio non è più il signor Sorrentino ma sua moglie. Ciò convalida la valentia del sig. Sorrentino.
Sarà bene precisare che il prof. Langella, all’improvviso arrivo della notizia della sua sostituzione del posto di Commissario prefettizio di quell’azienda di cura con quella del sig. Sorrentino Catello, a presidente di quella stessa azienda di cura, dal forte dispiacere, ebbe una paralisi cardiaca che rimase fulminato in pochissimi minuti. Il compianto prof. Langella era sanissimo. Nello stesso anno era stato al Ministero degli Interni, insieme a me presentandoci all’alto commissariato per l’Igiene e la Salute Pubblica per la pratica del decreto d’esportazione delle acque minerali di Castellammare. Egli aveva fissato l’appuntamento con il prof. Giuseppe Monti per le acque minerali, dopo si presentò a Palazzo Giustiniani e protestò direttamente al capo della Repubblica S.E. Enrico de Nicola il delitto che l’amministrazione comunale consumò, col negare la più valida concessione delle terme e lo sfruttamento e valorizzazione di tale prezioso patrimonio . Si domandi all’attuale amministrazione comunale il motivo di tale urgente ingiustificato sostituzione del prof. Langella col sig. Sorrentino, attualmente ancora in carica di presidente della locale azienda di cura e soggiorno? La risposta è semplice: il sig. Sorrentino, attuale presidente della stessa azienda di cura, è un azionista della società STABIA ed è suo unico fiduciario…
L’attacco furibondo e senza mezzi termini inviato il 20 marzo 1948 di Carlo De Falco, socio del dottor Mattioli, contro il Comune, l’Azienda di cura e soggiorno e la stessa Società Stabia, sotto forma di denuncia al Prefetto, ricco di un dossier di 15 pagine a sostegno delle sue ragioni e intitolato “Opposizione alla deliberazione del consiglio comunale per la riconcessone delle terme stabiane alla società STABIA. Il più orrendo delitto di lesa Patria”, si presentava come un vero e proprio atto d’accusa, lasciando intendere losche, affaristiche manovre a discapito della città. Queste manovre avevano probabilmente provocato, stando alla circostanziata denuncia, la morte anticipata di Catello Langella, ancora una volta, suo malgrado, vittima di un ingranaggio più grande di lui, stritolato da un meccanismo che non lasciava spazio agli ideali, alle ingenue aspirazioni, ai sogni di un apostolo la cui esistenza era stata interamente dedicata alla gloria della propria città. Vere o false le accuse di Carlo De Falco hanno oggi molta poca importanza. Non è però secondario rilevare come a distanza di tanti decenni le terme non abbiano mai conosciuto vera gloria, stritolate da una serie di molteplici fattori che hanno finora impedito, nonostante le ingenti risorse consumate per il loro sviluppo, quel rilancio turistico termale sempre più destinato a rimanere pura utopia.
La morte coglierà Catello Langella la sera del 26 maggio 1947. Aveva 76 anni e non lasciava eredi, avendo vissuto una vita da celibe. La sua repentina scomparsa non lascerà indifferente la città. Il giorno dopo, il consiglio comunale, gia convocato su altri punti all’ordine del giorno, si aprì sull’improvviso lutto che aveva colpito la collettività stabiese. In assenza del primo cittadino, Pasquale Cecchi, ammalato, prese la parola il vice sindaco, Catello Esposito – l’antica guardia rossa arrestato e processato per i fatti di Piazza Spartaco del 20 gennaio 1921 e ancora nel 1936 a seguito della diffusione dei volantini antifascisti fuori delle fabbriche, nella notte tra il 19 e 20 gennaio di quell’anno – ricordando le benemerenze dello scomparso nel campo della sanità, delle cure idrotermali, l’attività svolta quale Presidente dell’Azienda di Cura e soggiorno e chiedendo infine il rinvio della seduta consiliare. Dal breve dibattito che si aprì prese la parola il consigliere della Democrazia Cristiana, Catello Bonifacio, ricordando il profondo cordoglio della cittadinanza nato dalla generale benevolenza, stima e simpatia di cui era circondata la figura dello scomparso, nota per la grande bontà che lo caratterizzava. Condividendo il rinvio della seduta, proponeva anche, quale riconoscimento del suo vivo interessamento per il destino delle terme, …che sia ricordato e intestato al prof. Langella un viale delle terme stabiane… Prese poi la parola il socialista, professor Francesco Saverio Mascia (1893 – 1980), ricordando a sua volta il professor Catello Langella come uomo politico, le sue battaglie su giornali, riviste e pubblicazioni; il carcere e le persecuzioni sofferte per le sue idee, la grande stima che riscuoteva nella popolazione per la semplicità del suo animo leale ed aperto. Nel confermare la proposta del consigliere Bonifacio, proponeva a sua volta …che sia dedicato al prof. Langella, nelle terme stabiane, il Viale delle Acacie ed al professor Muscogiuri Pasquale, strenuo difensore di queste acque minerali, la zona Vanacore, mediante apposita targa… Consenso unanime.
Poi il lungo oblio.
.
Nota bene: nell’inviare al Libero ricercatore i vari capitolo di questa storia, ho provato a ridurre ai minimi termini le note di accompagnamento per non appesantirne la lettura. Chiunque fosse interessato, per motivi di studio o altro, alla lettura integrale delle note e della bibliografia, può trovare il volume nella biblioteca comunale. Il libro fu pubblicato a cura del comune di Castellammare di Stabia nel 2002 con il titolo: Studi Stabiani in memoria di Catello Salvati, Nicola Longobardi Ed., 2002, pag. 155-203, oppure l’intero manoscritto, nella sua versione integrale, presso la Biblioteca della CGIL regionale, via Torino 16, Napoli, con il titolo: Catello Langella. Alle origini del socialismo e della Camera del Lavoro di Castellammare di Stabia.
Fonti utilizzate:
Confrontare giornali e periodici dell’epoca:
l’Avanti!
La Propaganda
L’Emancipazione
Il Mattino
Roma
L’Aurora
L’Archivio Centrale di Stato (ACS)
L’Archivio Storico Comunale di Castellammare di Stabia (ASC)
Bollettino del lavoro (BUL).
Note: