articolo del dott. Raffaele Scala
Capitolo I
L’altra faccia di Piazza Spartaco (1921 – 2021). La strage impunita.
Premessa. Questa che raccontiamo, in due capitoli distinti, è una nuova versione, rispetto a quanto pubblicato dieci anni fa, in occasione del novantesimo anniversario dei fatti e della strage di Piazza Spartaco. L’abbiamo arricchita di fatti e personaggi, provando ad entrare nella vita di alcuni protagonisti, inserendone altri, raccogliendo inedite notizie, mai troppe su una tragedia rimasta senza colpevoli. Purtroppo chi uccise il maresciallo Clemente Carlino, innescando la furiosa reazione delle forze dell’ordine, sparando oltre duecento colpi e provocando di fatto altre cinque innocenti vittime, ha portato nella tomba il suo inconfessabile segreto. Si poteva evitare la strage? Probabilmente si, se chi diede l’ordine ai carabinieri di aprire il fuoco, il capitano dell’Arma, Romano, avesse soltanto per un attimo riflettuto che tra Palazzo Farnese, occupato da 120 militanti socialisti, e loro vi era qualche migliaio di operai che manifestava pacificamente a difesa del loro Municipio, tutti disarmati. Erano in quel posto unicamente per scoraggiare un eventuale aggressione da parte del corteo composto da nazionalisti e fascisti, mai immaginando che si potesse arrivare all’omicidio di un carabiniere, ad una strage architettata a tavolino da chi voleva ad ogni costo abbattere l’odiata amministrazione socialista. Così come era già accaduto a Bologna il 21 novembre 1920, dove a morire furono dieci militanti di sinistra, ed in altre città d’Italia, provocando morti, feriti e tanta disperazione. Alla strage si aggiunse la beffa che ad essere accusati e processati furono i socialisti, come se le vittime non fossero state, ad esclusione del maresciallo, tutte di militanti di sinistra. Una scelta immediata, a senso unico, fin dal giorno successivo alla strage, i colpevoli e condannati dovevano essere obbligatoriamente i diavoli rossi e su questo si scatenò senza ritegno l’intera stampa borghese.[1] Una strategia della tensione utile a preparare il terreno per la marcia su Roma, per la presa del potere e l’instaurazione della dittatura di Benito Mussolini. Una strategia che i fascisti hanno portato avanti anche nei decenni successivi, nell’Italia repubblicana, seminando violenza, terrore e morte dal 1969 al 1984, tentando almeno due volte un impossibile colpo di Stato nel 1964 (mascherato da piano d’emergenza a difesa dell’ordine pubblico assicurando ai carabinieri il controllo militare dello Stato) e nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, fortunatamente falliti sul nascere.
Forse fu proprio la strage di Bologna a galvanizzare i fascisti locali, a voler fare a Castellammare di Stabia quanto stava accadendo altrove: se non erano stati i primi della classe, provarono a non essere secondi ad altri. E fu la strage passata alla storia come l’eccidio di Piazza Spartaco.
L’antefatto. Il biennio rosso, con i grandi scioperi del 1919, poi esauritosi con l’occupazione delle fabbriche dell’agosto settembre 1920, aveva sconvolto i precari equilibri sociali, preoccupando non poco i cosiddetti benpensanti, ma soprattutto industriali ed agrari che videro per la prima volta seriamente messa in discussione la loro posizione predominante nel panorama politico ed economico del Bel Paese. La grande paura del bolscevismo, di una possibile rivoluzione proletaria in Italia – del resto preventivata dallo stesso Lenin come possibile ed imminente – da parte della grassa borghesia fu la fiamma che diede linfa al sorgente fascismo, innescando il clima di violenza, di sangue e di morte che portò inevitabilmente alla presa di potere di Benito Mussolini nell’ottobre 1922 e al definitivo regime dittatoriale dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti nel 1924. Ad aggravare la situazione sociale vennero le elezioni amministrative del 31 ottobre 1920 con la valanga di vittorie socialiste in oltre duemila comuni su ottomila, 25 province su 69 ed i grossolani, puerili errori di troppi amministratori locali e dirigenti di partito inebriati dalla vittoria, confondendo il trionfo elettorale municipale con la presa del Palazzo d’Inverno. Esempi negativi nel circondario di Castellammare vennero dalla vicina Torre Annunziata, dove il nuovo sindaco socialista, Gino Alfani (1866 – 1942), tra i primi atti del suo mandato tolse il quadro del sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele III, dalla sala del consiglio comunale sostituendola con emblemi del soviet, mentre sulla torretta del municipio stabiese Pietro Carrese fece sventolare al vento la bandiera rossa, provocando in entrambi i casi l’ira dei nazionalisti e ancor più dei fascisti.[2] In queste stesse città la bandiera rossa era stata issata sui muri delle più importanti industrie cittadine, occupandole tra agosto e settembre del 1920: dai Cantieri Metallurgici Italiani (oggi Meridbulloni o quello che resta) alle Officine Coppola (poi Avis), fino allo stabilimento Cirio, mentre a Torre Annunziata sventolava alle Ferriere del Vesuvio sotto la sicura guida dell’operaio socialista, Diodato Bertone (1867 – 1921). A Gragnano ad essere occupate erano diversi pastifici guidati dal Segretario Generale della locale Camera del Lavoro, Domenico Sacristano (1885 – 1969). Continua a leggere