articolo del dott. Tullio Pesola
In via Brin, sull’ampio marciapiede di fronte all’attuale Farmacia “San Ciro” (un tempo nota come Farmacia “Del Gaudio”, ubicata, però, all’inizio di via Santa Caterina), si apriva un lussuoso punto di ristoro. Infatti, se il Centro della nostra Città riceveva lustro dal “Bar Mosca” o dal “Gran Caffè Napoli”, la Periferia veniva impreziosita dalla presenza del “Bar Umberto”.
Si trattava di una elegante struttura con architettura in stile liberty. Con le sue bellissime decorazioni e stucchi, rimasti assolutamente intatti nonostante il secondo conflitto mondiale, era un importante luogo di ritrovo dove potersi fermare per gustare una ineguagliabile tazzina di caffè, intrattenersi ai tavoli con qualche amico con cui dissertare di sport o di politica, o dilettarsi al gioco del biliardo. Titolare di questo Gran Bar, che tra l’altro gestiva di persona, era ‘Onna Puppinella, una donna forte di carattere, che non si fermava certo alle prime difficoltà, ma andava avanti con grande caparbietà. Svolgeva con determinazione la sua attività, animata da grande fiducia in se stessa, che le dava il coraggio di affrontare al meglio ogni situazione. Ella sapeva interpretare le aspettative dei clienti e capiva eventuali situazioni che richiedessero azioni di immediato intervento. Sapeva ascoltare, sapeva consigliare, sapeva diventare confidente per il cliente abituale, sia che avesse voglia di scherzare o che invece avesse bisogno di una parola di conforto, qualora lo stato d’animo dello stesso lo richiedesse in quel determinato momento. Tutta questa sicurezza, però, non le impediva di possedere anche una spiccata vena autoironica. Sapeva ridere di se stessa e riusciva a prendere la vita con la giusta dose di ironia.
Aveva nel suo DNA, se così si può dire, la professione di barista, intesa, ovviamente, come una vera e propria arte. Serviva, infatti, un espresso eccellente, non perché dovuto alla miscela, bensì ad una sorta di rituale a cui non avrebbe mai rinunciato. Lo fece solo quando nel 1954 sparì di scena e con lei, ahinoi, anche il “Bar Umberto”! E pensare che con lo Zecchino d’oro del 1971, anche se in maniera ovviamente del tutto casuale, si sarebbe potuto inneggiare alla sua impareggiabile bevanda, cantandole il “Caffè della Peppina”! La cosa l’avrebbe di sicuro inorgoglita e l’avrebbe indotta persino a figurarsi che forse gli autori si fossero ispirati alla sua bravura. Purtroppo non fu così! Nel periodo storico in cui va incastonata questa Perla si era ben lontani dall’immaginare quali sarebbero potute essere nel tempo le svariate evoluzioni della canzone e non solo! A quell’epoca ai nostri antenati bastava porgere un orecchio alla radio o ad un fonografo per vivere felici. Ed era appunto ciò che si apprestava ad offrire tra l’altro ai suoi affezionati clienti il “Bar Umberto”, un bar che senza dubbio si contraddistingueva per l’ambiente accogliente e particolare. Sembrava, infatti, di stare a “casa di amici”, con le sue sale a disposizione degli habitué. L’interno era molto ampio, oltre ad estendersi per una considerevole lunghezza. Appena si entrava, sulla sinistra era situato un grosso banco per le consumazioni in piedi. Su di esso in una vetrinetta facevano abitualmente bella mostra di sé due grossi vassoi di frolle e sfogliatelle calde, prodotte dalla rinomata Pasticceria “Francesco Sorrentino & Figli”, mentre un’altra guantiera colma di brioches alla crema profumatissime proveniva dalla Pasticceria “Guida” con sede in Piazza Grande. C’è da dire, però, che chi risaltava superba tra i suoi stessi vapori era lei, la macchina per il caffè, creatura divina alla quale donna Peppina rivolgeva continuamente amorosi sguardi di affetto. Lucidandola frequentemente, ne esaltava le qualità e quanto di buono da essa riusciva ad ottenere. Già! Non dimentichiamo che ella l’aveva “ammorbidita” con la sua maestrìa! A vederla, sembrava quasi che si pavoneggiasse riflessa negli enormi specchi situati sulla parete opposta, che ne riflettevano la sua luminosità. La parte centrale del locale era destinata al biliardo, che, oltre ad essere un’occasione per stare insieme, era un momento di socialità e di confronto, all’interno del quale era fondamentale promuovere uno spirito di amicizia e sportività. L’ambiente era ammantato dalla tipica atmosfera da film americano, dove il silenzio era rotto solo dal rumore delle biglie, da quello del gessetto sulla stecca o da qualche risata, ma tutto molto contenuto.
Superando l’ampia sala del biliardo, si accedeva a quella che da molti era considerato il “salotto degli artisti”, un ambiente dove frequentemente si incontravano persone aperte al sentimento del bello, emozioni che essi provavano nel discorrere di pittura, di musica o di poesia. In questo spazio molto tranquillo, infatti, e con un servizio impeccabile da parte di donna Peppina si avevano scambi di pensiero su tutto ciò che esulasse dalla quotidianità. Non mancavano, naturalmente, momenti dedicati all’ascolto della buona musica, anzi ciò costituiva un motivo per ampliare le proprie conoscenze relative agli autori, alle singole composizioni e così via. Un modesto pianoforte verticale era addossato alla parete di destra, su quella centrale erano bene in vista dei dipinti, tra cui primeggiava sul tricolore italiano una foto di Umberto II, principe ereditario al quale era stato intitolato il Bar.
Non va dimenticato che spesso chi sfiorava con bravura i tasti di quel pianoforte era una persona di una certa eleganza che vestiva sempre con camicie ben stirate di colore azzurro, come i suoi occhi. Il suo nome era Ciro Piccione (morto giovanissimo) ed era il minore dei fratelli di mia nonna. A sentire quanti ebbero modo di conoscerlo e frequentarlo, oltre ad essere stato un valente pianista, sarebbe stato anche un valido maestro di ballo.
Per ultima la terza parete accoglieva uno scaffale nel quale erano gelosamente custodite opere letterarie, poetiche e musicali di studiosi stabiesi. E… donna Puppinella, persona che si era plasmata alla scuola della strada, perfezionando quotidianamente la sua formazione, per questo gruppo di ospiti nutriva una stima, oserei dire, quasi reverenziale, perché, a suo avviso, erano persone che davano un considerevole tocco di prestigio alla sua tazzina di caffè. All’esterno, una robusta pergola in ferro era ricoperta di glicine con i suoi fiori dalla delicata tinta bianco-viola raccolti in spighe pendenti e profumatissime. Un effetto scenografico meraviglioso, molto gradevole, che si trasformava, per così dire, in un prezioso elemento architettonico. E se in inverno l’assenza di foglie permetteva al sole di scaldare l’area antistante, evitando il ristagno di freddo e di umidità; d’estate, la sua bella copertura perfettamente ombreggiante offriva ristoro alla mente e al corpo della clientela incrementata dal fatto che il Bar in argomento era situato a pochi metri di distanza dallo Stabilimento “Bagni del Molino”, i cui ospiti curanti alloggiavano nell’annessa Pensione “Cascone”.
Che dire? Non vi era tavolo che non fosse occupato! E tutti intuivano perché fosse così; perché chiunque entrava in quel locale trovava un ambiente casalingo, protettivo, rilassante, un ambiente che induceva le persone a fermarsi più a lungo. Un sorriso a chiunque entrava in quel locale era un biglietto da visita eccezionale. E… naturalmente, dalla festività di San Giuseppe, ossia con l’avvento della primavera, costituiva punta d’orgoglio scegliere e sedersi all’esterno del Bar Umberto per sfoggiare il proprio cappello estivo: la paglietta, un cappello rigido di forma ovale e con fondo piatto, che veniva poi dismesso tassativamente al tempo della vendemmia. In ogni momento della giornata era una girandola di ovali dalle più svariate tonalità di colore bianco-paglierino che risaltavano tra il glicine e su cui andavano a posarsi gli occhi di tutti i passanti. Si completava, così, l’apparato decorativo del Bar Umberto.
Ancora più bello, però, resta il ricordo dell’apparato decorativo che veniva dato al Bar Umberto in occasione dei passati festeggiamenti che si tenevano in onore di San Ciro e di Maria SS. della Misericordia, quando, di sera, assumeva la scenografia di un lunghissimo e fantasmagorico tunnel, tutto realizzato da migliaia e migliaia di luci coloratissime…, una sensazione difficile da descrivere, ma che voi, dando spazio alla vostra fantasia, potreste provare ad immaginare!