di Antonio Cimmino
Le Terme di Stabia sulla collina del Solaro, distrutte e vandalizzate e il suo parco, forse mira di famelici palazzinari, le antiche Terme ormai vecchie ed inutilizzate, chiuse da anni, ricettacolo di immondizia e colonizzate dai ratti, rappresentano le vestigia di un passato di ricchezza e splendore.
Le antiche terme fino alla seconda metà del secolo scorso, erano piene di “forestieri” che venivano principalmente dalle regioni viciniore. Tutta la zona prospiciente lo stabilimento rappresentava un immenso indotto economico, specialmente per il fitto di appartamenti ed anche di bassi. Piazza Fontana Grande era il capolinea di un pulmino che, quasi ogni giorno, collegava Castellammare con i paesi del foggiano. Dalla fermata della Circumvesuviana di via Acton, oltre ai dipendenti del cantiere e della corderia, sciamavano i “pendolari” delle cure termali. I nostri attempati “dongiovanni” facevano le “acchiappanze” con le mature forestiere spesso appartandosi nel boschetto a monte della mescita delle sorgenti Vanacore. Molti erano gli operai del cantiere che, di domenica, con il vestito della festa, andavano “a caccia” nelle Terme, chiudendo un occhio sulla qualità e vetustà della “selvaggina”. Divertenti e boccaccesche storielle circolavano il lunedì nei reparti, molte però erano sbruffonate ma, a detta degli esperti, nelle Terme “si campava”…
A seguire propongo la lettura della divertente e sagace descrizione dei “Bagni” che ne fece Francesco de Bourcard nel 1866 (Usi e costumi di Napoli e contorni, descritto e dipinto, Stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, Napoli,1866), uno spaccato di un’epoca scomparsa eppur, per certi aspetti, ancora viva nei ricordi dei più anziani.
Pel villeggiante di Castellammare andar alle acque il mattino è una occupazione, un affare, un obbligo o, direi, quasi un dovere. La sera al caffè vi sentirete domandare da tutti: ”Domani andrete a prendere le acque?”. “Non mancate domani alle acque”. “Ci vedremo alle acque”. E, vogliate o non vogliate, abbiate o pur non il desideri di andarvi, dovrete levarvi dal letto di buonissima ora per non mancare alle acque.
Eccoci dunque alle acque. Qual varietà, qual movimento in quel recinto che diletta ed affligge, che offre uno spettacolo misto di allegria e tristezza! Vecchi e giovani, uomini e donne, belle e brutte, ricchi e poveri, nobili e plebei, ammalati e sani, tutti vanno alle acque. (…) Che brutte figure!… Che visi pallidi!… Che fisionomie sparute!… Vedi là quella giovinetta?… Ella è tutta intenta a curare sua madre, la quale, seduta sopra un banco di pietra, debole, pallida, e stecchita, tenta di riacquistare la sanità bevendo la tonica acqua ferrata del pozzillo. Guarda quell’uomo dal ventre gonfio che passeggia, con un grosso bicchiere pieno della catartita e dioretica acqua media in una mano, e delle ciambelle nell’altra. Egli spera di far scemare l’idropica sua epa-croia; e, diventando snello e mingherlino, rendersi più gradito agli occhi della sua Dulcinea. Ma chi è quel giovane biondo da’ mustacchi volti all’insù, che tutto si dondola e si pavoneggia presso quel gruppo di fanciulle sedute all’ombra degli alberi? E’ forse un ammalato?… Oibò!… Egli non manca mai di andare alle acque il mattino, non perché il suo fisico ne risenta il bisogno, ma perché là conviene una quantità di belle giovanette, le quali sarebbero desolate di non trovarlo, per ridere alle costui facezie ai suoi motti arguti o forse alle sue spalle. Egli è uno di quegli odierni lions che corrono dovunque è molta gente, più per farsi osservare ed ammirare, che per ammirare ed osservare!… E quando da un lato veggo costui, dall’altro scorgo un uomo in su’ quarant’anni, gracile, debole, sparuto con un bicchiere colmo di acqua sulfurea-ferrata atto a guarirgli un erpete chi gli à preso il mento: e, bevendo bevendo, guarda con occhio di commiserazione quel giovane bellimbusto, e pare gli dicesse: Giovinotto, vent’anni or sono anche io ero vispo e gaio come te, ma ora… guarda a che mi à ridotto una sregolata e tempestosa gioventù?… Oltre alle acque che sono nello stabilimento vi è la stomatica e dioretica acqua acetosella, che è acidetta anzi che no; e la terribile acqua del muraglione, della quale vi sono de’ pazzi che ne bevono ne bevono ne bevono, fino a che…Basta!… sul merito di ciascuna di queste potrebbesi dire con Dulcamara, che