Beppo: il piccolo giornalaio della Stazione di piazza Ferrovia

Beppo: il piccolo giornalaio della Stazione[1] di piazza Ferrovia

articolo di Gelda Vollono e Lino Di Capua

articolo del 05/03/2022

Castellammare – Piazza Ferrovia

          Il lavoro che proponiamo nasce perché abbiamo dovuto interromperne un altro, impossibilitati a consultare i documenti, presenti nell’Archivio Storico Comunale[2], necessari al fine di verificare i dati in nostro possesso.

            Il Comune diversi anni fa lasciò i locali che aveva in fitto presso il palazzo di Nola[3], pertanto l’Archivio fu smembrato e gli uffici trovarono posto in una sala presso l’ex palazzo della Pretura, mentre tutti i fondi, ad eccezione del Fondo antico in capo al notaio d’Ajello[4], il Catasto Napoleonico e poco altro, furono situati presso l’I.C. Karol Woytila[5]. In seguito gli uffici furono traslocati ancora una volta presso la Biblioteca Comunale G. Filangieri[6]. Stante così la situazione, per potere avere la documentazione richiesta, uno studioso, dopo aver fatto una indagine sull’inventario digitalizzato presente nell’ufficio, doveva farne richiesta all’addetto che, a sua volta, inoltrava tale istanza al Comune per avere la disponibilità di un mezzo di trasporto, onde andare a prelevare quanto richiesto. A volte passavano anche dei mesi prima che si potesse consultare quanto desiderato. È evidente che una tale procedura scoraggiava anche i più ostinati, che comunque riuscivano con grande difficoltà e lentezza a procedere nella loro indagine storica.

            Oggi dopo l’ennesimo trasloco non si riesce ad accedere agli Uffici perché nessuno in Comune conosce la nuova sede. È chiaro che perdurando tale situazione, non è più possibile fare una indagine storica, affidabile e completa, condannando la nostra città alla perdita irreparabile della memoria del proprio passato.

            Ciò premesso questo nuovo studio, alquanto diverso da quelli che solitamente proponiamo, è la traduzione di un brano tratto dall’opera: L’Italie d’aprés nature di Louis Figuier[7], Parigi: Librairie Furne, Jouvet et Cie, 1868.

            L’autrice, venuta in Italia come turista, descrive personaggi caratteristici, costumi locali e scorci naturali che sono rimasti impressi nella sua memoria enel suo cuore. L’Italia descritta è quella dei primi anni dopo la sua Unificazione.

In particolare, quando arriva nel Meridione, il Regno di Napoli e delle Due Sicilie non esiste più poiché è stato annesso al Regno Sabaudo. Per questa unione il popolo meridionale ha pagato un prezzo altissimo: migliaia di sudditi, fedelissimi dei Borbone, sono stati trucidati dall’esercito piemontese, le casse del regno sono state saccheggiate, non risparmiando neanche quelli che erano i beni personali di Francesco II[8], ultimo re borbonico. Lo stesso re, addolorato dai tradimenti delle persone più vicine a lui, cosciente dell’appartenenza alla sua gente, e che quella dei piemontesi non è stata una liberazione ma una vera e propria ingiustificata occupazione, si rivolge da Gaeta ai suoi sudditi con un emozionante discorso del quale riportiamo un breve ma incisivo passo:

            Cheà dato questa rivoluzione ai miei popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le Finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l’amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti: in vece di libertà. Lo stato di assedio regna nelle provincie, ed un generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli dei miei sudditi che non s’inchinano alla bandiera di Sardegna. L’assassinio è ricompensato; il regicidio merita un’apoteosi; il rispetto al culto santo de’ nostri padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori al proprio paese ricevono pensioni che paga il pacifico contribuente. L’anarchia è da per tutto.

            Nello specifico, Castellammare, durante il regno borbonico, aveva sviluppato una doppia anima quella industriale e quella turistica: era diventata il primo cantiere navale del Mediterraneo per numero di operai e unità di navi varate, non a caso nel febbraio del 1860era stata appena varata il Borbone, prima nave costruita col motore a vapore e spinta ad elica, che in seguito entrò a far parte della flotta sabauda col nome di Giuseppe Garibaldi (fig.2).

Fig.2 Varo del Borbone 11 febbraio 1860 (stampa da Illustrated London new)

Fig.2 Varo del Borbone 11 febbraio 1860 (stampa da Illustrated London new)

            Le attività industriali meccaniche e cantieristiche, artigianali, agricole e alimentari, avevano raggiunto, come testimoniano i numerosi premi vinti in esposizioni nazionali ed internazionali[9], livelli eccelsi dando occupazione e benessere a tutta la popolazione stabiese.

            I reperti archeologici scoperti sulla collina di Varano e quelli emersi in vari punti del territorio stabiese, durante opere di consolidamento di muri o scavi[10]per costruire nuove ville, attiravano archeologi italiani e stranieri che soggiornavano per periodi medio-lunghi in città.

            Analogamente le proprietà miracolose delle acque termali riconosciute dai più valenti studiosi richiamavano ogni anno migliaia di visitatori che soggiornavano negli alberghi lussuosi o nelle casine di delizie sparsi dalla collina al mare.

            Siffatta molteplicità di offerte l’aveva resa una delle città europee più alla page cosicché tanti turisti, sia italiani che stranieri, la sceglievano come meta per le loro vacanze.

            Questo, tuttavia, non era bastato a tenerla al riparo dalla grave crisi economica che subentrò, in seguito alla politica antimeridionalista del nuovo governo sabaudo.

            Nel brano che riportiamo, l’autricefotografa in maniera crudele ma reale la miseria economica e morale in cui erano precipitati i ceti meno abbienti della nostra città, attraverso l’incontro che ha avuto con Beppo, un piccolo giornalaio, cha a soli sette anni, contribuisce al mantenimento della sua sfortunata famiglia, stazionando dalla mattina alla sera presso la stazione ferroviaria di Castellammare.

            Di seguito la traduzione dei passi più significativi del brano:

            “Privato delle comodità di casa il turista accetta con trasporto le poche abitudini che gli sono state trasmesse dalla sua vita errante, e prova una vera delusione quando non trova certi volti dove di solito li ha incontrati. Pietre poetiche miliari piantate per caso, durante il viaggio, queste immagini vivono per sempre nei suoi ricordi.

Un pastore vestito di vello bianco, seduto all’ombra di un vecchio pino; una contadina dai capelli finemente intrecciati , con le orecchie allungate da pesanti gioielli, al collo bruno, un laccio di corallo; una vecchia rugosa con i vestiti a brandelli, fila la conocchia sulla porta di casa; marmocchi cenciosi con grandi occhi stupiti; una fiorista con una gonna variopinta che porta sul fianco un grande cesto pieno di garofani bianchi e rossi; facchini dalla carnagione abbronzata, dalle gambe pelose, che offrono i loro servizi, con un grande berretto di lana in mano; un cappuccino che cammina al sole, a capo scoperto, bisaccia sulla schiena e rosario in mano; una ragazzina dai capelli scuri, che porta acqua sulfurea , trotterellando lungo gli argini, con le brocche di coccio legate sulla schiena da una corda, che sferragliano rumorosamente l’una contro l’altra intorno a lei; tutti voi , infine, tipi caratteristici e pittoreschi della campagna napoletana, vi rivedo attraverso i miei ricordi, come sagome vigorose che si stagliano sullo sfondo della campagna, a cui avete dato animazione e vita.

          Tra queste diverse immagini, ce n’è una che spesso viene nei miei pensieri. È quella di un povero piccolo venditore di giornali. Aveva sette anni. Da mattina a sera, nella stazione del treno di Castellammare, offriva, con una voce dolce, la sua mercanzia ai viaggiatori. La prima volta che andai a Pompei, la bellezza, la gentilezza e l’espressione singolare dei grandi occhi neri di questo bambino, mi attirarono e mi affascinarono. Non riuscivo a staccarmi dall’osservare i suoi lunghi e setosi capelli ricci, i suoi tratti delicati e puri, la sua espressione intelligente e buona. Acquistai volentieri da lui la metà del suo negozio ambulante, vale a dire il Pasquino, giornale illustrato, l’Abate Taccarella; piccole gazzette napoletane, il Lampione, che corrisponde al nostro Charivari, l’Arca di Noè, le cui caricature non subiscono alcuna censura, inoltre qualcuno dei nostri giornali illustrati, tradotti in italiano.

          La libertà che qui governa ogni cosa, permetteva al bambino di seguirci sui binari, e di restare per lungo tempo prima che il treno si mettesse in moto. Ci guardava silenziosamente con uno sguardo profondo e ci sorrideva mostrandoci i suoi bianchi denti. Era il suo modo di ringraziare.

          Quando ritornammo, il giorno dopo, a Pompei, il bambino ci aspettava. Espansivo e gioioso, corse da noi. Una magnifica piuma di pavone dondolava all’estremità del suo vecchio cappello a punta; la sua camicia aperta lasciava vedere una medaglia d’argento rappresentante la Vergine, e dei nuovi giornali, salivano, a piramide, dal suo banco portatile fino al suo mento!

           Noi non eravamo più estranei l’una all’altro; noi ci ritrovammo come vecchi conoscenti. Dopo avermi mostrato la medaglia e i giornali che aveva comprato con i soldi che gli avevo dato la sera prima, il piccolo napoletano fissò i suoi grandi occhi nei miei: Vorrei tanto che la signora mi portasse in Francia, mi disse fermamente; la servirei fedelmente.

          Credetti che fosse un capriccio di bambino, e per liberarmi dalle sue ossessioni, gli risposi che la sua famiglia si sarebbe senza dubbio opposta alla sua partenza.

          Passarono alcuni giorni, e un mattino, mentre partivo per Ercolano, ritrovai il piccolo mercante, assorto e pensoso, seduto in un angolo della stazione, i suoi giornali sparsi e in disordine intorno a lui. D’un balzo mi fu vicino: Signora, mi disse, con la sua voce melodiosa, mio padre è un pover’uomo che fa fatica a guadagnare il pane per la sua famiglia, mia madre è una storpia che bada alla casa, e mia sorella è una lavandaia che non ha né collane né orecchini[11]: Tutti vogliono che io parta per servirvi. So tutte le preghiere, noi siamo cristiani devoti alla Madonna. Portami, signora, portami!

          E, guardandomi con aria supplichevole, faceva finta di non volermi lasciare. Ho avuto molte difficoltà a far capire a un povero piccolo che non mi era possibile realizzare il suo desiderio, e fu a malapena che riuscii a convincerlo a non salire con noi dentro il vagone. La sera, al mio ritorno, lo trovai allo stesso posto dove l’avevo lasciato il mattino. Pallido e agitato, serrava nervosamente la medaglia d’argento che gli pendeva dal collo. Quando passai vicino a lui, abbassò la testa, e due grosse lacrime gli scesero sulle guance. Mi avvicinai per lui per comprare il resto della sua mercanzia; egli non sollevò gli occhi; solamente un singhiozzo, a lungo represso, sollevò il suo petto.

          Una settimana dopo, prendemmo, per l’ultima volta, il treno da Castellammare. Cercai il piccolo napoletano. Domandai di lui all’impiegato, ma invano; egli non era più venuto al suo solito posto. Io non l’ho più rivisto. Si chiamava Beppo; aveva due grandi occhi, una bocca vermiglia, dei denti aguzzi, un gilet rosso e dei pantaloncini di stoffa blu, con frange alle ginocchia. Che fine ha fatto?

          La scorsa primavera, con le rondini, una banda di piccoli italiani si è abbattuta su Parigi. Tutti li hanno visti, uno con il cappello ornato da un fiore, l’altro con una piuma, quell’altro con un nastro. Questi bambini, impacciati e pallidi, vagano tristemente sotto un cielo opaco, che si scontra con la civiltà, come gli uccelli che appena imprigionati si scontrano con le sbarre della loro gabbia. Napoletani e cardellini si assomigliano: un piumaggio brillante, il sole e la libertà sono necessari alla loro esistenza.

          Povero Beppo! Forse anche tu eri tra queste bande itineranti!”

            A noi, come all’autrice, la figura di questo bambino, ci è rimasta nel cuore e vogliamo credere che sia riuscito a venire fuori dalla sua miserevole condizione vista la determinazione, la dignità e la maturità con cui affrontava la vita.


Note:

[1]L’edificio della stazione, inaugurato nel 1843, in stile neoclassico ispirato alla maniera pompeiana, ha la facciata composta da un portico con sei colonne neodoriche, sormontata da un cornicione sporgente che al centro sorregge un’edicola nella quale è situato il quadrante dell’orologio.

[2]L’archivio storico comunale, riorganizzato all’inizio degli anni ’80, raccoglie i documenti della città dal 1513 al 1948. Tali documenti sono distribuiti in più fondi che sono: Fondo istituzionale, Fondo Museo, Fondo Iconografico oltre a tutta una serie di miscellanea nella quale sono conservati l’Indice del Catasto provvisorio (borbonico). N. 5 voll. di supplemento al Catasto (borbonico, opuscoli, giornali, manifesti, foto ecc…

[3]Palazzo Di Nola fu edificato a fine ‘800 da un industriale gragnanese della pasta, Gerardo Di Nola, che si trasferì a Castellammare di Stabia e comprò anche un vastissimo fondo circostante, su cui negli anni ’60 sono stati edificati diversi parchi residenziali dell’attuale Via Raiola (Gennaro Giambianchi).

[4]Vincenzo d’Ajello jr. nacque a Castellammare di Stabia nel 1710, figlio del notaio Nicola, fu avviato come i fratelli agli studi notarili. Iniziò la sua attività molto presto tanto che uno dei suoi primi atti fu stipulato nel 1734. Grazie alla carica di cancelliere della città e al matrimonio con la nobildonna Felicia Mangrella, figlia del notaio Tommaso, ereditò tutte le scritture antiche e i libri dell’Università Stabiese  insieme all’archivio notarile del suocero. Pertanto, nella sua abitazione, istituì un grande archivio dedicandosi a riordinare tutti i documenti e gli atti riguardanti Castellammare, che raccolse in 20 volumi, conservati fino al secolo scorso nell’archivio del notaio Giovanni Greco.

[5]L’Istituto Comprensivo “5° – Karol Wojtyla”, ubicato a Castellammare in via Traversa Tavernola 15, nasce il 01/09/2012 dalla fusione del 5° Circolo Didattico e dell’I.C. “K. Wojtyla” per effetto del Piano di dimensionamento della rete scolastica Regione Campania.

[6]La Biblioteca Comunale G. Filangieri, istituita nel 1868 con un patrimonio bibliografico molto esiguo, fu inaugurata nel 1887. La sua prima sede fu nel palazzo dell’ex seminario a piazza Giovanni XXIII. Attualmente è una delle biblioteche più importanti della Campania, possedendo circa 40.000 volumi, molti opuscoli e una discreta emeroteca. La sede odierna è ubicata nei locali dell’ex Villa Gentile al CVE n. 90.

[7]Juliette Bouscaren, conosciuta come Juliette Figuier, nata a Montpellier il 4 febbraio 1827 e morta a Parigi il 6 dicembre 1879, è stata una drammaturga e scrittrice francese. Scrisse anche sotto vari pseudonimi come quello di Claire Sénart e, utilizzando il cognome del marito come Madame Louis Figuier. Fu autrice di commedie in un atto, ma anche di opere teatrali più importanti rappresentate sui palcoscenici secondari di Parigi tra il 1871 e il 1876.

[8]Francesco II delle Due Sicilie, soprannominato Franceschiello, fu l’ultimo re delle Due Sicilie, salito al trono il 22 maggio 1859 e deposto il 13 febbraio 1861 dopo l’annessione al Regno d’Italia; è divenuto Servo di Dio il 16 dicembre 2020, con l’apertura del processo di canonizzazione (cfr. Wikipedia).

[9] La presenza della nostra città alle esposizioni universali, sin dalla prima esposizione nel 1851 a Londra, era diventata una costante che si protrasse ben oltre il XIX. In esse non solo il territorio, vedi le meritevoli menzioni ricevute per i suoi ittioliti in quella del 1873 o per le sue acque minerali nel 1867, nelle industrie più o meno grandi, tra queste il cantiere navale, la corderia, la Real fabbrica di catene ma anche artisti, inventori e singoli artigiani venivano premiati con medaglie e menzioni onorevoli. Alcuni nomi: L’ingegnere A. Cottrau direttore dell’opificio meccanico vinse una medaglia d’oro nell’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e una medaglia di prima classe in quella del 1855; il sig. Bonifacio Agnello all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 presenta tre modelli di bastimenti a vela ed un modello di una nave mista in legname; l’artista Gaeta Enrico fu premiato nell’Esposizione Universale di Parigi e di Filadelfia del 1878.

[10]Cfr. Gelda Vollono, Lino Di Capua: Castellammare oltre la porta del Quartuccio. Ritrovamenti e rinnovamenti. Roma 2019.

[11] All’epoca sarebbe stato umiliante per una ragazza sposarsi senza avere alle orecchie due grossi orecchini.

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