a cura di Antonio Cimmino
da Napoli a Biserta e tragico ritorno
La Signora Lucia Amendola, nipote del marinaio stabiese Ferdinando Amendola caduto nell’adempimento del suo dovere nel 1943, ha fornito fotografie e notizie per ricordare suo zio. Noi intendiamo additarli ai giovani di oggi, spesso attratti da effimeri valori, quale esempio di dedizione al dovere e amore verso la Patria.
Ferdinando Amendola di Aniello e di Lucia Troiano, nacque a Castellammare di Stabia il 24 febbraio 1906.
Suo padre, detto don Aniello ‘o sergente, era un bravo maestro d’ascia, responsabile di un piccolo cantiere navale a lui intestato datogli in concessione dal Comune di Castellammare dal 1900, fino al 1938, anno della sua morte.
La città possedeva una miriade di piccoli cantieri navali che, fin dal 1500 erano specializzati nella costruzione di naviglio in legno. Tutti vivevano all’ombra del regio cantiere ove fin dal 1786 anno della sua fondazione ad opera di Ferdinando IV, venivano costruite navi di ogni tipo e dimensioni.
Il regio cantiere non offuscò i piccoli cantieri navali che gli facevano da coronamento; essi costruivano golette e barche ed esistevano numerosi scali per l’alaggio, la riparazione e la manutenzione dei piccoli bastimenti. Creatosi un articolato indotto artigianale, i maestri d’ascia continuarono a creare naviglio di forme slanciate ed ottime qualità nautiche. Ai cantieri navali Donnarumma e Bonificio, ad esempio, negli anni tra le due guerre, la Regia Marina commissionò rispettivamente tre e due M.A.S. (Motoscafi Anti Sommergibile) contrassegnati dai numeri 314, 315, 339, 341 e 342.
Il mestiere di maestro d’ascia, quindi, era molto antico e caratteristico ed il giovane Ferdinando era particolarmente attratto dal lavoro di carpenteria navale. Nonostante studiasse per conseguire il Diploma di Capitano di lungo corso, nel tempo libero aiutava il padre in molte delle attività connesse alla gestione della piccola azienda.
Conseguito il Diploma nautico, Ferdinando proseguì negli studi arrivando, nel 1930, a laurearsi in Scienze Economiche e Marittime presso l’Università di Napoli. Nell’anno 1931-32 riuscì a vincere, per la sua preparazione e passione, il concorso per Capitano di lungo corso. Gli piaceva intraprendere la carriera diplomatica e, per questo, era stato anche in Francia, ma i doveri verso la Patria lo avevano chiamato in Italia più volte. Allo scoppio della guerra d’Africa fu richiamato e destinato a diverse attività belliche di naviglio militarizzato e nelle basi di terra.Dalle note di sua nipote la Signora Lucia si evince che Ferdinando era:
“Versatile e fecondo di iniziative, le sue parole e il suo consiglio erano preziosa guida ai compagni di lavoro e ai superiori che lo eleggevano a collaboratore. Non temerario ma audace, non superbo ma conscio della propria personalità, eloquente e persuasivo nella parola fluida e chiara. Poco più che ventenne ha partecipato con il padre alle trattative per un bastimento commissionato al cantiere da Achille Lauro, difendendo il trattamento economico degli operai e meritando in quell’occasione l’encomio di Lauro che pronosticò al padre Aniello un glorioso futuro per il figlio Ferdinando”. Nel 1939 si sposò con Amelia Ottaiano di Napoli. La moglie, quasi centenaria è ancora viva ma, purtroppo non tanto lucida da fornire notizie e ricordi più vivi di suo marito. Ripete spesso che dopo il fatidico 5 maggio del ‘43 non si è mai voluta sposare perché non avrebbe mai trovato un uomo che fosse in grado di colmare il vuoto lasciato da suo marito.
Il porto di Biserta era una delle destinazioni del traffico dei convogli che partirono da Napoli con piroscafi e motonavi, scortate da navi da guerra, per rifornire le truppe in Africa Orientale. L’attività organizzativa e tecnico-militare per la gestione di tale scalo, era indubbiamente di alta responsabilità anche perché si intensificarono, nei primi mesi del 1943, gli attacchi aereo-navali ai convogli con perdite enormi in uomini e mezzi da parte italiana. Le numerose navi affondate nel 1943 al largo di Biserta, fino alla capitolazione del 6 maggio, dà l’idea dell’enorme responsabilità di cui erano investiti gli Ufficiali addetti al traffico nel porto, alla sua difesa antiaerea e dal fronte terrestre, alla protezione del materiale sbarcato, alla gestione dei soldati giunti dalla madrepatria, all’aiuto da dare ai naufraghi recuperati.
Il breve periodo trascorso dal Capitano Ferdinando Amendola a Biserta, fu caratterizzato da un lavorio non indifferente accompagnato dalle connesse responsabilità che fanno capo ad un Ufficiale di Porto. Il previsione della caduta della base, qualche giorno prima fu imbarcato per tornare a Napoli e riprendere il suo posto di combattimento nella città che ben conosceva e nel porto da cui era partito appena 4 mesi prima.
Ma la città di Napoli continuava ad essere martellata da pesanti e luttuosi bombardamenti aerei continuati ininterrottamente fin dal 1940. La città partenopea, infatti, era il porto principale verso la sponda africana ed il capolinea delle rotte marittime verso la Libia e la Tunisia , mentre nelle sue zone limitrofe erano presenti stabilimenti industriali importanti obiettivi di interesse militare. Le principale erano: le officine Avio dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, il silurificio di Baia, i cantieri navali di Castellammare di Stabia e quelli della Società Bacini e Scali Napoletani, lo spolettificio di Torre Annunziata e altre importanti industri di interesse strategico come l’ILVA di Bagnoli che resero la città e la zona, bersagli preferenziale delle incursioni aeree alleate.
Il mese di maggio del 1943 fu l’anno peggiore per il numero e l’intensità dei bombardamenti effettuati dagli aerei americani Liberator che partivano ogni notte dalle basi egiziane. 181 furono le incursioni aerei sulla città di Napoli.
La popolazione civile fu la più colpita; si calcola che oltre 20.000 furono le vittime di tali indiscriminati attacchi che distrussero anche il patrimonio artistico e culturale. Il 4 dicembre ‘42, per esempio, fu semidistrutta la Basilica di Santa Chiara.
Nel solo bombardamento del 4 agosto del 1943 morirono oltre 3.000 persone, mentre il 28 marzo lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, causò più di 3600 vittime tra morti e feriti. La deflagrazione fu devastante: il molo sprofondò e un gran numero di edifici venne distrutto o gravemente danneggiato. Alcune navi vicine si incendiarono e affondarono mentre parti roventi di nave e di carro armato furono scagliate a grande distanza, finendo e molte zone della città, perfino sulla collina del Vomero; i feriti ed i morti riempirono letteralmente le strade.
Come si nota, il Capitano Ferdinando Amendola aveva lasciato Napoli, una città martoriata dai bombardamenti, per andare a Biserta, una base navale soggetta ad attacchi dal cielo, dal mare e da terra e ritornava di nuovo a Napoli per andare incontro al suo destino.
Nel bombardamento del 5 maggio del 1943, il sessantesimo dall’inizio della guerra, cadde nel porto della sua città testimoniando con la sua vita, l’attaccamento alla Marina ed al dovere in cui aveva sempre creduto.
P.S.: Un particolare ringraziamento alla sig.ra Lucia Amendola per la gentile concessione di notizie ed immagini.