Castellammare da Carlo Tito Dalbono
a cura di Giuseppe Zingone
Carlo Tito Dalbono, fu uno storico, un romanziere e un critico d’arte nato a Napoli il 2 gennaio 1817 e ivi morto il 2 novembre 1880.
Tra le Guide di fine Ottocento ad uso dei viaggiatori e dei turisti quella di Carlo Tito Dalbono è una delle più famose, ma non l’unica e non priva di qualche inesattezza (com’egli stesso afferma nella prefazione) rimane però un punto di riferimento per tutte quelle persone (italiani principalmente) di buona estrazione sociale che si ritrovano a visitare un territorio da pochi decenni in via di unificazione.
Ci piace riprendere queste sue parole d’elogio della propria terra e della gente che vi abita:
I Napolitani, e qui facciam seguito a quanto innanzi sponemmo, sono meridionali e vulcanici. Le loro ire sono brevi ma facili, il loro ingegno è acuto, speculatore e però talvolta inciampa nella diffidenza. Si piegano a tutto con assai alacrità, ma riescono, i distinti per condizione, nella scherma e nelle arti, nella musica e nella pittura singolarmente, negli studi forensi e nella avvocheria, nella leggiera e nella grave letteratura; quelli di condizione meno eletta, nella comune pittura decorativa e nell’artificiosa rappresentativa a rilievo (scoltura in legno) nel guidare carrozze, nel immattonar pavimenti, nello scucire e cucire (murificando) cioè togliere il marcio da un edificio, e notisi che il nostro murifabro lavora con gran coraggio sopra assicelli e strette tavole. Il facchino è operoso e troppo, sicché talvolta all’asino, al bue ed al cavallo toglie l’ufficio. Si appaga di assai discreto guiderdone, ma ha il difetto di chiedere d’avanzo. Papa Ganganelli (Papa Clemente XIV n.d.r.) scriveva che a Napoli s’incontrano uomini che han l’aria di malandrini e di prepotenti, e non sono né l’uno né l’altro. I francesi si dilettarono sovente a chiamarci con parole poco gentili e poco vere. Il tempo e i fatti han mostrato a Janin, a Lamartine, a V. Hugo la verità dello cose. Il nobile napolitano tiene troppo alla sua toletta, quello del volgo scendo sovente fino al sudicio: il clima dolce non fa che il popolano accorgasi delle lacerazioni della sua camicia.
Il lazzaro di Masaniello, pel quale tanto ci apostrofarono i nostri detrattori va disparendo, e tra non molto il credulo cittadino superstizioso, sarà un mito.
Il tempo e i fatti in questo non hanno operato molto, ma il nostro Mario Pagano dice che le nazioni passano alla civiltà, quando abbiano migliorata l’educazione, alla qual cosa le scuole pubbliche provvederanno. Esse sono in Napoli oggi circa 150 con oltre 400 insegnanti e ad esso vanno aggiunte le molte quasi d’iniziativa privata. Nel 1872 si faceva assegnamento in medio, sopra 5013 frequentatori. A tali scuole van pure aggiunte quelle de’ Circondari fuori Napoli—Barra—S.Anastasia—Somma Vesuviana—Portici—Torre del Greco etc. Ciò basti.1
PORTICI – RESINA – ERCOLANO – LE TORRI
Descrivendo la sezione Mercato arrivammo sino al ponte dove nell’assedio di Napoli ‘a tempi di Alfonso fu gittata nel campo la testa del fratello. Or da questo ponte che scavalca il Sebeto, traendo sempre innanzi direttamente si va a S. Giovanni detto a Teduccio (comune operoso e ricco), ed a Portici, Resina, Torre del Greco, Annunziata, Castellammare, Sorrento.2
CASTELLAMMARE – (Stabia) – SORRENTO VICO – META – PUNTA DI SCUTOLO
Anche Castellammare, in antico Stabia, è città sepolta un dì dal vulcano e venuta fuori per opera di cavamento; anch’essa, come Pozzuoli, vanta tesori di acque, e si rende giovevole nella state. Appartiene all’agro Campano, dista tre miglia da Pompei. Il nome gli venne imposto, dalle iscrizioni, e studiando, si trovò che pur dagli Osci fosse una volta popolata, e acerba una punizione subisse essendo console Pompeo. Non taceremo che Silla l’adeguò, quasi al suolo. Il nome di Oppido o Oppidulum gli è dato da parecchi latini scrittori, e il battesimo di castello è provato dal pittoresco castelletto fra gli scogli, che lo precede. Esso è visibile dalla ferrovia, come si sta per giungere. Castellamare fu il primo tratto ferroviario inaugurato a Napoli con immensa, indescrivibile gioia. Si scelse3e si fece per render facile la comunicazione, non pur dei trafficanti, ma di tutti quelli che lavoravano o accudivano nelle svariate officine del cantiere di Castellammare, dal quale in tutti i tempi son venuti fuori bellissimi legni a vapore ed a vela, ultimo una corazzata. La sua posizione può veramente di grande vantaggio tornare a Napoli, tantochè Napoleone I trovava utilissimo far di Castellamare un gran porto con arsenale corrispondente. Il cominciamento della sua floridezza, come cantiere, Parte dal Sovrano rescritto di Ferdinando II dalla data del 5 Gennaio 1841.
Alla eruzione del 79 (era cristiana) Stabia restò sepolta. La chiesa cattolica vi cita i suoi Vescovi all’avvicinarsi del V secolo. Obliata stette gran tempo. Al 1738 ritornò a luce, ristorata per riprender posto tra le città. Ne’ suoi pressi trovaronsi ruderi importanti, ma non copiosi nè vasti. Si rinvennero a Varano, ai pittoreschi scogli di Revigliano, alla croce di Pozzano, e dove or sorge chiesa così nomata. Non s’incontra dubbio nell’asserir che fu sempre stazion di mare, e, i Senatori di Stabia ne curarono il porto per render sicuri gli approdi. Anche è testimonianza che fu luogo di approdo e di ricovero, lo avervi trovato alberi di navi antiche, ed altre cose, agli usi del mare attenenti.
Ad ogni modo, la costruzione del castello che gli dà oggi il nome, dai più riportasi ai tempi del I Carlo Angioino il quale (è narrato) si dilettasse ivi grandemente della compagnia delle figliuole di messer Neri degli Uberti. Altri si fanno forti del titolo Castellammare di Stabia (Castrum de Stabia ad mare) per attestar che anche prima vi si vedesse un castello. Potendo queste contraddizioni dr campo a dissertazioni, facciam punto. Certo, è che il Sarno fiume, che non difetta di vaghe posizioni, discendendo dall’Ausono e dalla Laura, confonde sue acque col mar di Stabia. Par che Carlo II, non un castello ma una quieta abitazione4vi edificasse, che dal sito stesso di buona respirazione detto Casa-sana indi più volgarmente tra noi qui-si-sana. Fu Castellammare in più modi bersagliato dai corsari, dal 1500 al 600, e il duca di Guisa vi sbarcò dopo la morte infelice di Masaniello.
Ad aver chiara idea di esser città, uopo è dire che è divisa tra marina, parte piana e parte alta, la quale parte alta piglia le radici dal monte Gauro, nomato e scritto a Pozzuoli. Formando il monte fondo alla città ne deriva un cotal po’ di umido, che d’altra parte in state volgesi in piacevolezza di temperatura.
All’entrare di Castellammare non mancano alberghi ed asini, dei quali v’è bisogno per potersi recare in allegra gita alle alture di Pozzano, e di Quisisana. Né va dimenticato che la massima di queste gite e, come direbbesi la più romantica, è quella di Monte Coppola.
Tra i pioppi e gli alberi diversi che fanno riparo del monte al sole, è bellissima vista quella che si spiega 1’ascendere e discendere da Quisisana, e non lungi le vie alborate, il mare sottoposto col castelletto adagiato fra gli scogli, e non lungi ancora in dolce pendio i ruderi d’altro castello col ricordo della città di Lettere. I visitatori del Napoli da noi descritto si rammenteranno di avere osservato nella chiesa di S. Domenico (pag. 26) il monumento di Mariano d’Alagno, fratello di Lucrezia bella favorita di re Alfonso.
Ricorderanno che vuolsi espressa viva nella figura svelta della Maddalena da lunghi capelli in chiesa Monteoliveto (pag. 6). Ricorderanno infine i visitatori il palazzo di lei (pag. 217). Orbene questo castelletto che ne’ suoi ruderi, di Lettere si addimanda, fu donato alla favorita da re Alfonso I, e rimane ancora (a testimonianza di ardenti amori, come la donna che li svegliò), di forme scheletriche. Queste cose notiamo perchè chi va ad osservare una città, come a Firenze ricorda i Buondelmonte, i Donati etc., a Venezia la Capello etc. a Siena la Pia, a Rimini la Francesca etc. ed anche5a Napoli ha obbligo di ricordare la Lucrezia d’Alagno, la quale non è poi Lucrezia Borgia. Offro a chi fosse vago di averne piena contezza la lettura del mio libro Vizii e Virtù di illustri Famiglie 1874.
Se non possiamo più veder quali erano a Stabia i templi di Ercole, di Giano Vitifero (primo introduttor della vite nel Lazio), del buon genio, (Bonus Eventus) di Cerere che aveva qui per sua sacerdotessa Celadia Lasca, vediamo quello che ci hanno lasciato, come dice Maria Guacci, l’Aquila vincitrice Aragonese– che i gigli d’or cacciato avea di nido, cioè castelli, poggi e riposi.
Nella grotta di S. Biase rimane alcun mitico ricordo del tempio di Plutone, chiamato qui Giove Stigio, come a Pozzuoli, Serapide, ma di antiche memorie le tracce si dissiperanno ognor più, tra perchè i cittadini sono dediti a costruzion di legni e a traffichi di mare, tra perchè nessuna commissione artistica vi sta sopra, onde avvien che si fabbrichi senza tener conto di quel che si trova di sotto.
Le chiese di Castellamare non han cose che le distinguano, sebbene il Duomo sia grandetto. È lavoro del 1700, rammodernato. Quella del Gesù ha una tela di Paolo de Matteis e altra ne ha di una delle sue tre figlie, pittrici, non rilevante. La via della marina, chiamata oggi col consueto nome di corso è abbastanza larga e conduce al cantiere, il quale già cennato merita una visita, massime quando v’è lavoro. La dote più bella di Castellamare è quella dello sue acque le quali vicine talvolta, l’una all’altra, sono meravigliosamente diverse e differenti per gusto, per natura e per effetto. L’acqua acetosella assapora con quella di Roma ed è maggiore nel grado di effetto. È utile ai calcoli dell’orina e alle fiacchezze di stomaco. Quella del muraglione, in sulla via che volge a Sorrento è purgativa e devia le vertigini – La solfurea e6la ferrata somigliano a quelle di Napoli con assai maggiore forza ed attività, e si distinguono a primo gustarle: sono limpide e piccanti.
Il luogo dove la gente per le acque affluisce, non ha il pregio di nessuno eleganza, ma i dintorni di questi siti anche danno acque solubili per bocca, e balnearie. È antico molto il grido di acqua e Stabiane. Columella le chiama Fontibus celebris Stabiae. Nel tempo in che si bevono, gli abitatori di Castellammare popolano tutti i non pochi alberghi e le case da fitto, ove la popolazione ordinaria ammonta a circa 20.000 anime.
Le feste cittadine sono per consueto religiose, e notasi quella, che s’intitola dalla Madonna di Pozzano. La chiesa di Pozzano ha un’antica immagine sulla quale si discute. Dicesi trovata in un pozzo vicino, dove si discende. In quanto agli altri dipinti, son di mano incerta. Il santo protettore della città è il Vescovo Catello detto dal volgo Catiello.
Castellammare diede alla luce qualche uomo di merito. Capitani, costruttori di navi, ecclesiastici, e quando nacquero questioni di dissenso tra le vicine terre non escluso Sorrento, fu il dottor Raniero d’Apuzzo di Castellammare che andò a dirimere le questioni e ricompose la pace. Giuseppe Bonito, pittor distinto, nacque a Castellammare. Tra Castellammare e Sorrento è Vico, ricordo degli Equi e patria di Giovanni Battista della Porta.7
Articolo terminato il 17 giugno 2021
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. VI. ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. 573. ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag.598. ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. 599. ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. 600. ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. 601 ↩
- Carlo Tito Dalbono, Nuova Guida di Napoli e dintorni, Napoli 1884, pag. 602. ↩