( a cura del dott. Tullio Pesola )
In Via B. Brin n° 48 (di fronte all’imbottigliamento dell’acqua Acetosella) è ubicata una graziosa chiesetta dedicata al “SACRO CUORE DI MARIA IMMACOLATA”.
Non dispongo di notizie storiche, per cui mi astengo dall’invadere un settore che risulterebbe di pertinenza unicamente di persone competenti. Di sicuro, però, posso ribadire quanto è già di pubblica conoscenza, e cioè che questa chiesa fu voluta da un gruppo di fedeli quanto meno non più tardi del 1852, cioè otto anni prima del 1860, epoca in cui si costituì in Confraternita con l’approvazione del re Francesco II. Credo sia sufficiente a supporto di quanto appena affermato la testimonianza desunta dalla lapide marmorea posta a ricordo del I° Centenario che fu celebrato il 7 settembre 1952 dall’allora padre spirituale Don Antonino Mauro.
La Confraternita del Sacro Cuore di Maria Immacolata era –come, d’altronde, ogni altra istituzione di pari struttura giuridica- un’associazione ecclesiastica di fedeli, prettamente laici, canonicamente eretta, avente un proprio Consiglio Direttivo (Governo) con un Superiore (Priore), un Padre Spirituale, due Assistenti e due Vicari. Alla stessa maniera di altre Confraternite, essa curava la dignità del culto e l’animazione delle celebrazioni liturgiche nella Chiesa in cui aveva sede; inoltre, promuoveva nello spirito del volontariato, la solidarietà umana e cristiana con iniziative socio-caritative e, in caso di morte, anche se non provvedeva – da quel che mi risulta – alla sepoltura dei confratelli, né ad accogliere le loro ossa in colombaie che non possedeva, disponeva per essi suffragi in ottemperanza alle proprie norme regolamentari. Storicamente non saprei risalire alla sua costituzione; si può, però, asserire senza timore di smentita che si trattava di un ente morale che, avente solo scopo di culto, non era oggetto di leggi speciali e, quindi, non era assoggettato allo Stato che le concesse tranquillamente l’autorizzazione di cui aveva bisogno per svolgere la propria attività.
L’immagine riportata, risale all’8 dicembre del 1978 e riproduce l’interno della chiesa. Come si può notare dalla stessa, questo tempio era all’epoca nel suo pieno splendore, tanto più che pochi mesi prima erano stati ultimati i lavori di ristrutturazione. Indipendentemente dall’aspetto estetico, però, va sottolineato che si è sempre riscontrato notevole impegno nel culto rivolto alla Vergine Maria, ad opera soprattutto, se non unicamente, della dedizione in prima persona dell’ultimo Priore di tale Confraternita, il sig. Antonio Piccione.
Va detto, inoltre, che in questa chiesa, si tributava tra l’altro venerazione a Santa Fara.
Santa di origine francese, Fara, da bambina, fu benedetta e votata a Dio. Divenuta adulta, però, il padre, incurante della promessa fatta, pensò di maritarla. La fanciulla, allora, si ammalò gravemente e perse totalmente la vista, rimanendo in tale stato finché non si capì che sarebbe guarita allorchè la si fosse lasciata libera di consacrarsi a Dio. Il padre promise e la giovane riebbe la salute. Promise, ma non mantenne. Fara, allora, accortasi che si cominciava a riparlare di nozze, abbandonò la casa paterna e si rifugiò, con un’amica fedele, presso la chiesa di S. Pietro.
Scoperta, pregata di ritornare in famiglia, minacciata di morte se avesse rifiutato, non recedette dalla decisione presa. Sant’Eustasio, informato di ciò che stava accadendo, intervenne e ammonì severamente il padre della fanciulla, alla quale successivamente impose il velo. Più tardi Fara, ricevuto in eredità dal padre un terreno tra due fiumi, vi fondò un monastero di cui fu badessa per quarant’anni. In esso fu adottata prima la regola di San Colombano, poi quella benedettina. Fara morì il 7 dicembre 675.
E’ considerata patrona della Provvidenza, in quanto un giorno si presentò a San Colombano recando in mano spighe di grano raccolte di fresco e fuori stagione. Va inoltre ricordato che Santa Fara viene invocata specialmente contro il male degli occhi.
Posizionandoci con le spalle alla nicchia di S. Fara ci troviamo di fronte ad un’altra che è speculare alla prima. Di colore bianco, con fregi dorati, di elegante fattura, realizzata con maestrìa nella cura finanche dei minimi particolari, presenta un lavoro di intaglio di bellezza unica sulla parte alta frontale da non avere nulla da invidiare ad un’opera d’autore.
Questa nicchia – vuota, come si ha modo di rilevare, da svariati anni – accoglieva un tempo una statua prestigiosa raffigurante il Sacro Cuore di Gesù. Attualmente qualche anima pia vi ha sistemato con estrema semplicità una croce recante i simboli della passione di Cristo e che un tempo si utilizzava in quello stesso luogo sacro per il rito della Via Crucis. Vien da sé che non manchino devoti che si chiedano cosa ne sia stato di questo simulacro. A dire di qualcuno fu scelto, non molti anni fa, per la sua purezza di lineamenti, il suo sguardo mistico, la sua intensità di espressione, la sua solennità, per esaltare una manifestazione particolare, al termine della quale si ritenne opportuno lasciarlo dove era giunto, piuttosto che riportarlo al suo luogo di origine. Oggi, infatti, questa statua può essere ammirata più di quanto non lo si potesse fare prima, quando, cioè, occupava quella nicchia di cui si è parlato precedentemente, in un tempio che, ahinoi! viene riaperto ai fedeli solo in rare circostanze. Dopo la funzione che le viene richiesta nel mese di giugno di ogni anno, che è quella di ricordarci che Gesù, fonte d’amore, di pace e di salvezza, è disposto a spargere le effusioni della sua grazia su tutti quelli che coltivano questa amabile devozione, viene riportata nella cappella di San Catello nella Concattedrale della nostra città, dove le è stata assegnata una degna sistemazione.
Nella stessa Concattedrale, inoltre, durante una celebrazione liturgica ho potuto riconoscere i preziosi paramenti di proprietà della Chiesa del Cuore di Maria, che il Priore Luigi Piccione custodiva gelosamente in casa sua in appositi contenitori in legno dai quali li prelevava delicatamente solo in occasione di riti liturgici particolari. Analogo trattamento ebbero quando nel giugno 1951 la guida della Confraternita passò nelle mani del figlio Antonio. Essi erano stati realizzati con le antiche tecniche di ricamo con filati d’oro e seta su preziosi tessuti, arricchiti dalla presenza di pietre dure e che venivano indossati unicamente durante le celebrazioni più importanti dell’anno. Erano costituiti da casula, tunicelle, stole, manipoli, piviale e velo omerale. A completamento fece poi ingresso il sontuoso pallio a 6 aste con bellissimi ricami in oro e seta ed applicazione di lustrini che la Confraternita del Cuore di Maria usava per la processione di Gesù Bambino che si effettuava il 6 gennaio (giorno dell’Epifania) di ogni anno. Provai immenso piacere a rivedere tali beni, soprattutto per il fatto che con un sottile orgoglio rilevavo che, nonostante gli anni che avessero, continuavano a fare bella mostra di sé, suscitando lo stupore ed attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Ma… perché questi paramenti non sono rimasti dove abitualmente venivano custoditi? E’ presto detto. Il sig. Piccione si è fatto carico per anni, fin dal 1951, con tenacia ed abnegazione, delle esigenze di questa chiesa. Instancabile e con sistematicità ogni anno, avvalendosi naturalmente del supporto della Confraternita, seguiva la tradizione della Chiesa e dei suoi predecessori. Così, dedicava il mese di maggio alla Vergine Maria. provvedeva per il novenario ai defunti, per la dodicina all’Immacolata, per il triduo in onore di Santa Fara, per la preparazione al Natale ed altro. Col passar degli anni, però, il sig. Piccione si ritrovò affiancato solo da due collaboratori e ben presto da solo. Alcuni confratelli erano deceduti, diversi si erano trasferiti in altre zone della città, altri si erano semplicemente allontanati. Ciò non lo scoraggiò, anzi continuò imperterrito fino a quando il carico degli anni cominciò a farsi sentire. A questo punto, resosi conto che ben presto non sarebbe più potuto uscire di casa e considerato che non c’era persona a cui passare il testimone, ritenne saggiamente indispensabile portare in Curia, per formale consegna, non solo i paramenti sacri ed il pallio di cui si è parlato prima, ma anche le chiavi della chiesa in argomento ed altri oggetti che andavano ad affiancarsi a quei beni della Madonna del Cuore di Maria ed a quelli di Santa Fara da sempre in custodia di detto Ufficio.
Dopo questa doverosa digressione, riprendendo la visita a questo luogo di culto e procedendo in avanti, sempre sulla sinistra, troviamo nella navata centrale l’altare dedicato a San Giuseppe.
Di fronte ad esso si può ammirare il pulpito ligneo, una struttura dal fascino particolare, anche se non presenta molto di architettonico, a cui accedeva un tempo attraverso una scaletta interna (si veda la porticina in basso) il predicatore, per rivolgersi ai fedeli. Ciò non si verificava per le omelie domenicali, bensì per momenti più incisivi, per i quali occorreva che l’oratore si rendesse visibile e potesse dominare l’uditorio.
Come si può notare, guardando verso la sinistra dell’immagine, al posto del crocifisso è stata impropriamente posta la bandiera che normalmente è nella mano sinistra del Cristo Risorto, che possiamo ammirare in una delle foto che seguono. Ciò è dovuto al fatto che detto crocifisso, una rara scultura in legno, fu trafugato anni addietro da ignoti unitamente ad altri prestigiosi ed eccezionali oggetti di elevato valore. In un secondo momento dall’esterno fu portata via anche la campana.
Andando oltre, sulla stessa mano del pulpito sono collocate le Anime del Purgatorio, figure di cartapesta restaurate con grande perizia nel 1979 dal confratello Sig. Vero Ucci. Sull’altare maggiore, invece, domina superba la stupenda immagine del Sacro Cuore di Maria Immacolata, ai cui lati si possono ammirare le statue di Sant’Anna e di San Vincenzo Ferreri.
Il controsoffitto che sovrasta l’altare maggiore e che si può meglio osservare nella fotografia che segue, è stato decorato dal M° Francesco Filosa (1978).
Come è facilmente desumibile dalle immagini riportate il degrado di tale ambiente è notevole. Cosa, tra l’altro, che tantissimi fedeli avranno potuto e possono constatare di persona negli unici giorni in cui questa chiesa si riapre al pubblico: 7 ed 8 dicembre di ogni anno.
E’ triste constatare il progressivo deterioramento di tale struttura. Occorrerebbe un complesso di interventi per riportare questa chiesetta agli antichi splendori. Lavori relativi all’eliminazione di infiltrazioni d’acqua e risalite di umidità in alcuni punti, al rifacimento dell’impianto elettrico in rispetto alle vigenti normative, al restauro delle finestre e delle porte in legno (quella d’accesso e quella della sagrestia), al rifacimento della facciata esterna, alla sistemazione dei controsoffitti e ad un’adeguata opera di tinteggiatura varrebbero a renderla di nuovo fruibile quanto prima.
Questa sarebbe una delle più belle soddisfazioni che i fedeli proverebbero, se si potesse un giorno confidare nel buon senso di persone disponibili a voler rendere più bella e accogliente la Chiesa del SACRO CUORE DI MARIA IMMACOLATA.