Cicco d’oro
di Corrado Di Martino
Dedicato ad un’amica per la quale nutro smisurata stima, una flaneuse
Premessa dell’autore
Secondo Baudelaire e forse anche Nietzsche, il flaneur da cui ho mutuato flaneuse, è un passeggiatore, un camminatore, che senza una meta o uno scopo preciso vaga in luoghi che conosce a memoria stupendosi del fatto che magari in cima ad un palazzo a lui molto familiare ci sia una finestrella mai notata prima, o che un dato campanile abbia un angelo sulla facciata etc.. un vagare alla scoperta del vecchio, dell’antico senza porsi il problema di farlo, tendendo se si riesce al rilassamento. Così l’ho inteso in Cicco d’oro, (metaforicamente) il mio sta diventando un camminare all’indietro nel tempo grazie a voi tutti, e lo faccio senza pretese, per rilassarmi a per rivivere un passato [tiempe belle ‘e ‘na vota] che ho amato tanto, nei colori, nei sapori, nelle vicende che riaffiorano vive come se le rivivessi or ora. Grazie per avermi dato la possibilità di “smetaforizzarmi”. Con stima. Corrado
Un flaneur venendo da Via Santa Caterina, prima che largo Spirito Santo si gonfi come una pera, sulla sinistra incrocia ‘a Chiazza (Via Piazza Grande): una volta era una stradina in basolato realizzata a gradoni. Un luogo ricco di umanità, con una teatralità tutta sua; quell’andar su a gradoni le conferiva l’aria di una palcoscenico a più livelli. Un venerdì di novembre del 1960 (non sono sicuro dell’anno) veniva giù da questo vicolo, urlando qualcosa, una donna vestita di nero, minuta, segaligna, mento sporgente, quasi senza denti, i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca – purtava ‘o tuppo –. Era Filumena ‘e Cuozzo, la madre di Cicco d’oro. Un sonnacchioso venditore di lupini, all’angolo di via Piazza con via Santa Caterina, la guardava incuriosito, svelta per quanto poteva con le sue gambe secche e leggermente arcuate, per l’irruenza quasi investì il venditore di brodo di telline, solo un’agile piroetta salvò il lavoro di una giornata e con ogni probabilità il pranzo dell’intera sua famiglia. Vennero fuori in ordine di apparizione – ossia mano a mano che la donna si inoltrava nella piazzetta –: il merciaio, ‘a gravunara (la carbonaia), un pensionato assonnato – che abitava dopo la rivendita di carboni –, Mammèla, l’orologiaio e orafo, il macellaio – ‘On Viciénzo ‘o chianchiere –, la fruttivendola zi’ Bbacca e ‘a signora Sisìna (la salumiera), che da dietro ai suoi occhiali spessi si accingeva ad assistere divertita alla scena. In un primo momento, non si era capito per quale motivo Filumena urlasse. Infatti Rosa ‘e Putilèo più o meno dirimpettaia dell’orafo, con la sola mimica dello sguardo sembrò chiedere: ma che d’è, ch’è stato? E con ella Tubbiuozzo, ‘a moscia, Nanninèlla, ‘a naso ‘e cane, ‘a vecchina, il tabaccaio. Nella parte larga della piazzetta, sulla sinistra, quindi dalle parti di ‘On Viciénzo ‘o speziale e della salumeria di Cuncètta d’‘a posta, le urla della Cuozzo ancora non si sentivano. Ma cosa era accaduto? Cosa stava accadendo?
Facciamo un passo indietro, per quel che mi riesce di ricordare Filumena ‘e Cuozzo aveva sei o sette figli, una delle figlie femmine era invalida, forse, paraplegica con una evidente deformità dello scheletro; l’unico maschio: Cicco d’oro, era affetto da nanismo, alto quanto un bimbo di otto anni, aveva una grossa testa, magro con un po’ di pancetta, ed un pronunciato valgismo. Cicco d’oro, teneva su i pantaloni grigi – senza passanti – con un corréggia vecchia in pelle, più lunga del suo giro vita, per cui la parte sovrabbondante gli penzolava davanti in maniera oscena. Cicco d’oro per vivere, faceva il venditore ambulante, era il franfellicaro della villa comunale, vendeva i franfelliche e le mele glassate, (il cerimoniale dell’acquisto dei quali è stata deliziosamente descritta dal nostro amico Gigi Nocera).
Nel novembre del ‘60 nell’ambito di Campanile sera, – il primo gioco collettivo televisivo – in diretta, già condotto da Mike Bongiorno, all’epoca coadiuvato da Enza Sampò e da Enzo Tortora; la città di Castellammare di Stabia (Sud) incontrò in questo un gioco molto simile a giochi senza frontiere (1) una città del Nord dell’Italia; da Castellammare collaborava con Mike Bongiorno, Enza Sampò. Campanile Sera, serviva a far incontrare diverse realtà di uno stesso paese, a pochi lustri dalla fine della guerra si tentava attraverso il medium televisivo, di costruire un’unità nazionale, almeno, dal punto di vista linguistico e culturale: il pubblico veniva a conoscenza della realtà dei piccoli paesi italiani, ad esempio con il breve il filmato che dava inizio alla puntata del quiz che descriveva il paesaggio e la realtà produttiva dei comuni in gara. Non l’avessero mai girato quel filmato introduttivo. Abitualmente Cicco d’oro vendeva i suoi prodotti – dal produttore al consumatore – nei pressi della vecchia giostra di Scognamiglio – nel ‘60 era gestita da altri, mi sembra –, per l’occasione il regista dell’unità mobile che girò l’anteprima fece spostare Cicco d’oro con il suo carretto davanti all’ingresso del cinema Montil, una carrellata dall’alto verso il basso, centrava l’inquadratura su questo simpatico rampollo del centro antico. Cicco d’oro era assurto, ignaro predecessore di tronisti, veline, schedine, e naufraghi di orwelliana memoria, alla notorietà nazionale. Tutta la fascia in ascolto (2) sapeva che al mondo esisteva un franfelliccaro unico più che raro come Cicco d’oro. Tutto il mondo, ma Filumena ‘e Cuozzo no! –‘a mamma n’‘o sapeva!– Filomena era così povera che ancora non poteva permettersi un televisore, ne tanto meno avvertiva il bisogno di confrontarsi culturalmente con il resto della nazione. Quindi nell’immediato la donna non seppe dell’improvvisa fama acquisita dal figlio, non subito, tuttavia gliene parlò una vicina che aveva seguito l’evento in tv, e lei appena appresa la notizia decise di gridare al mondo intero – il suo mondo intero, quel microcosmo formato da: ‘a Chiazza, ‘o Spiritu Ssante, ‘o vico ‘e Mascella, ‘o Ponte fino a dinto Visanola – il suo orgoglio, il suo disprezzo, verso quanti più o meno palesemente ironizzavano, spesso anche pesantemente, sulle deformità della sua progenie. Ecco perché Filumena ‘e Cuozzo correva e imprecava, quella mattina… e lo faceva alzando al cielo la sua mano destra. Per malizia, la malizia di chi scrive, che per tenere l’interesse vivo nasconde le notizie più sugose alla fine, devo dire che la mano destra di Filumena era affetta da una paresi che non le consentiva di schiudere completamente le dita: anulare e medio; per cui la sua mano sembrava fare sempre il gesto delle corna. Ora non si comprende bene, se il suo gesto con la mano destra alzata servisse per richiamare l’attenzione, oppure più probabilmente, a rivolgere uno sberleffo al suo mondo della vita quotidiana… a questo gesto abbinava anche improperi vari: – mo’ che diceno sti cheste e sti chell’ate?, mo’ ca Cicco d’oro è asciuto ‘a dint’‘a televisione?– queste urla di rivalsa, reclamo di una dignità mai ricevuta, rimostranza di una madre ferita, reazione ad una natura ingrata, erano forse un ultimo rantolo contro la diversità.
Un flaneur venendo da Via Santa Caterina, prima che largo Spirito Santo si gonfi come una pera, sulla sinistra incrocia ‘a Chiazza (Via Piazza Grande), ma non rivivrà quella teatralità, non incontrerà quella umanità, oggi veline, tronisti, schedine, naufraghi hanno soppiantato Cicco d’oro e vi assicuro la colpa non è della tv.
se non erro quella trasmissione fu registrata a casa del mio bisnonno ,dott comm salvatore imparato,palazzo spagnuolo,io l’ho cercata nei filmati di rai teche,ma non l’ho trovata.distinti saluti
Caro Corrado,
devo dire che mi sono ampiamento riconosciuto nella tua premessa di “camminatore, che senza una meta o uno scopo preciso vaga in luoghi che conosce a memoria stupendosi del fatto che magari in cima ad un palazzo a lui molto familiare ci sia una finestrella mai notata prima, o che un dato campanile abbia un angelo sulla facciata etc.. un vagare alla scoperta del vecchio, dell’antico senza porsi il problema di farlo, tendendo se si riesce al rilassamento”. Sarà l’età, sarà che i ricordi sono tanti, a volte troppi e senti il bisogno, la necessità di vagare senza una meta, alla ricerca del tempo perduto, come un innamorato alla ricerca della bella, la tua, mia, la nostra Castellammare.
Di Cicco d’oro ho scritto pure io qualche tempo fa su Libero Ricercatore, a proposito della ormai lontana e perduta giovinezza.
Grazie, comunque per questo bellissimo ricordo
Raffaele Scala