Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
articolo del 1 ottobre 2011
In una delle più significative scene del suo ultimo film “Luci della ribalta” il grande attore Charlie Chaplin affermava che il cervello è il “più bel giocattolo del mondo”.
Se è stato tenuto costantemente in esercizio, cioè se non si è del tutto rimbambiti oppure imbambolati da certi spettacoli televisivi, quello dei vecchi contiene un tesoro inestimabile: i ricordi.
Provate ad immaginare una persona senza memoria: è un automa, un vegetale. A volte basta la sollecitazione dei figli, dei nipoti o dei giovani amici per estrarre da questo scrigno fatti e avvenimenti significativi e curiosi del remoto passato. Dal 1935 al 1938 la mia famiglia ha abitato in via S. Caterina n° 8. Nello stesso stabile risiedeva anche la famiglia del mio nonno materno. Nel loro alloggio passavo molte ore al giorno, adescato dalla musica proveniente da un apparecchio radio tenuto acceso tutto il giorno. L’altra calamita che mi attirava erano i numeri arretrati del settimanale sportivo “Il calcio illustrato” che mio zio Vincenzo conservava gelosamente e che io sfogliavo con avidità.
Di quei giorni ricordo molte cose: alcune importanti altre meno. A parte certi gustosissimi piatti di pasta e fagioli (cu’ ‘e tubbettielli) che mia nonna Catella preparava con grande maestria, mi è rimasto impresso e mi ha sempre incuriosito il fatto che mio nonno si rivolgeva a sua moglie dandole del TU, mentre mia nonna gli dava sempre del VOI.
Non solo, ma il tono di voce che il maschio usava nel rivolgersi alla donna era quasi sempre imperioso, per esempio: “Catè’ puortame ‘e scarpe!”
Molto diversa era la richiesta che la moglie rivolgeva al marito: “Luìgì’, che vulite mangià’ stasera?” Mentre la prima era un comando, la seconda era una domanda. E non è la stessa cosa! Allo stesso modo, oltremodo rispettoso, mia madre si rivolgeva con suo padre.
Su questa differenza di atteggiamento, su questa specie di sudditanza, in seguito ci ho molto riflettuto, ma non sono riuscito a darmi una spiegazione. E quindi neanche ora voglio inoltrarmi in una analisi sociologica che non è alla mia portata. Voglio però rallegrarmi del fatto che da qualche anno le donne hanno preso coscienza dei loro diritti, della loro importanza che hanno nella società, della loro dignità.
Gli amici stabiesi più istruiti di me, come i professori: Angelo Del Gaudio, Luigi Casale, Bonuccio Gatti e altri di cui non ricordo il nome, potrebbero fornire precisazioni in proposito.
APPENDICE: Mentre scrivevo questo ricordo mi è venuta in mente una ridicola disposizione emanata in quei tempi dal regime fascista, la dittatura che allora governava l’Italia.
Quella disposizione vietava di usare il pronome personale LEI, ma imponeva che al suo posto si usasse il VOI. Pensate un po’: chi era abituato a rivolgersi al prossimo con il LEI di punto in bianco si doveva abituare ad usare il VOI! Il ridicolo che a volte raggiungono le dittature è senza misura. Inoltre gli ordini che allora emanava il fascismo erano quasi sempre dei divieti. “Sono vietati i raggruppamenti di più di tre persone”; “In certe occasioni sono vietati i fuochi artificiali”. Gli ordini positivi erano invece delle imposizioni. Per esempio: “Il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma tutti devono indossare la camicia nera”. Oppure: “Oggi tutti in piazza a protestare contro le sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni”.
Potrei citarne altre di queste comiche ordinanze, ma non voglio annoiare oltre.
P.S.: Alcuni amici stabiesi ai quali ho fatto leggere in anteprima questo pezzo mi hanno annichilito facendomi notare che nonostante siano trascorsi più di 70 anni, non ho detto nulla di nuovo perché questa stessa tipologia di divieti è imposta anche oggi (siamo nel 2011). Nonostante la dittatura, qui in Italia, sia terminata da un bel pezzo, c’é chi vieta questo e quello, e addirittura c’é chi vuole imporre anche alle gerarchie ecclesiastiche i percorsi delle processioni. Cose da non credere…