( di Maurizio Cuomo )
In uno scenario di crisi generale che oggigiorno si diffonde velocemente un po’ in tutti i settori lavorativi, come una vera e propria macchia d’olio che si espande e si allarga in ogni dove, le manifestazioni di protesta e i numerosi scioperi portati in piazza, sono la prova tangibile, o meglio una vera e propria cartina di tornasole per valutare la reale entità del disagio occupazionale. Non scopriamo nulla di nuovo, quindi se diciamo che Castellammare e più ampiamente l’intera zona Torrese-Stabiese, oggi è un territorio in piena crisi. “Il lavoro nobilita l’uomo”, recita un vecchio adagio, e perciò non riusciamo a spiegarci come possa essere possibile che nella moderna “Stabiae”, terra assai antica e nobile, oggi non si riesca più a lavorare. Un paradosso del destino, figlio dei tempi, che purtroppo non ha avuto alcun rispetto per un territorio che per tantissimi anni, è risultato essere tra i più importanti poli dell’industria del Sud Italia. Uno stato dei fatti che sfiora l’inverosimile, se si pensa che negli anni d’oro, la città di Castellammare di Stabia, poteva vantare le maestranze dell’allora Italcantieri, dell’AVIS, della CIRIO, o anche della Meridbulloni, e la ricettività delle stesse Terme, senza dimenticarsi dell’Aranciata Faito e delle altre realtà industriali più piccole che comunque contribuivano e non poco a dare occupazione; e come dimenticare che un passo più a nord, nello specifico a Torre Annunziata, invece, insistevano dei veri e propri colossi industriali, tra cui: Dalmine, Deliver, Scac e Italtubi, solo per citarne alcuni e gli stessi pastifici che per lunghi anni, hanno caratterizzato proprio l’economia torrese, e che adesso sono solo un caro vecchio ricordo. Un’amara realtà che oggi, purtroppo, condanna migliaia di famiglie alla dura legge della sopravvivenza quotidiana. Uno stravolgimento totale di valori economici, sociali e di conseguenza civili, che vede concentrato al Nord dell’Italia il reale potere… una vera e propria migrazione della “nobiltà lavorativa”, quindi, con tutti i nessi e connessi del caso, che oggi alloggia ai piani alti delle industrie del Settentrione. Uno stato dei fatti che in qualche modo stravolge anche la nostra tradizione e la millenaria cultura che ne deriva, che alla luce dei fatti, oggi, contraddice anche il cosiddetto “Viecchio antico” (per chi non è della zona leggasi: “Sapere del popolo”), che da sempre ci ha tramandato dei buoni consigli e che ora vede compromessi anche alcuni dei suoi più azzeccati e longevi detti dialettali, uno su tutti quello che recita “‘A carne, fa carne, ‘o vino fa sanghe e ‘a fatica fa jettà ‘o sanghe!”, con il quale per “fatica” voleva intendersi il sacrificio del lavoro, e che oggi può essere senz’altro inteso come sacrificio (e stenti di sopravvivenza) di chi non riesce ad avere un lavoro per “campare”. Che dire quindi, nella nostra tanto amata Italia dei controsensi, quella, che non più tardi di tre settimane fa, ha festeggiato il 150° anniversario della sua Unità e che oggi fonda i suoi saldi principi sulla Costituzione e sull’uguaglianza, il diritto al lavoro non è proprio uguale per tutti, visto che a noi del Sud, restano solo le briciole, tante promesse (che sistematicamente si perdono tra la burocrazia e la cattiva politica) e il sogno di lavorare per avere una vita dignitosa, serena e civile. Speriamo solo che il grande Eduardo ancora una volta abbia ragione: “Addà passà ‘a nuttata!!!”, diceva, e noi nell’attesa non possiamo far altro che fidarci!