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Viviani e il maestro Vincenzo Gemito

a cura di Enzo Cesarano

In questo brano estratto dall’autobiografia “Dalla vita alle scene“,  il grande autore e attore stabiese descrive della conoscenza col Maestro Vincenzo Gemito. Raffaele Viviani sostenne nel 1926 venti lunghe sedute di posa nello studio dello scultore per il suo ritratto da modellarsi in argilla. La terracotta, oggi esposta nella sala museale della Certosa e Museo Nazionale di San Martino dedicata a Viviani.

Vincenzo Gemito (foto archivio Carbone)

Vincenzo Gemito (foto archivio Carbone)

“Papà” come affettuosamente io lo chiamo, ha avuto per la mia testa, per ripetere le sue parole, “sempre ‘na passione”. Ed io ebbi sempre l’ambizione di farmela tramandare ai posteri da lui.

Quale sogno! Lasciare una testa di Viviani eseguita da Gemito! Sarebbe stata per me una vera soddisfazione, ma le molteplici mie occupazioni non mi avevano mai consentito di attuare la cosa, per non potermi dedicare a posare. Lui, bontà sua, aveva avuto una simpatia specialissima per me e per l’arte mia, tanto che ebbe la bontà di farmi tenere una sua piccola fotografia, in data dell’11, con dedica: “Al caro Raffaele, il suo Gemito”, fotografia che è, tra i miei cimeli, al posto dovuto. E una sera che venne a sentirmi al teatro Fiorentini, nel gennaio del ’25, fu talmente preso dalla mia napoletanità e dalla mia maschera, che venne sul palcoscenico per darmi un bacio e mentre io glielo ricambiavo, carezzandogli la folta barba bianca, soggiunse:

Io t’aggi’a fà ‘na bella capa ‘e terracotta guagliò!

E poiché, ripeto, in me questa idea era un desiderio già lungamente vagheggiato, accettai con entusiasmo e pochi giorni dopo incominciò il mio pellegrinaggio al suo studio di Parco Grifeo. Venti sedute di un’ora ciascuna, ecco tutto!

Vivere in compagnia di Vincenzo Gemito costituisce, per un artista e per un sensibile, uno spettacolo di schietta bellezza spirituale. Egli vi spoglia di ogni soggezione e vi porta subito nell’atmosfera placida della sua anima buona. Vi dice cose sapienti, benché frammentarie, parole pronunciate a metà che hanno la loro logica appunto, perché dette così. Si esalta ed esaltandosi vi scopre momenti magnifici del suo profondo sapere, del suo scultoreo dire. Ci si convince che Gemito, anche parlando, scolpisce.

Quanti hanno accennato al suo dire dinamico e quanti hanno concluso che il periodo di semistasi mentale abbia lasciato nell’artista tracce evidenti di una certa discontinuità.

No, non è così: Vincenzo Gemito, con la stecca in mano o con la matita, o con lo scalpello o con i due pollici affondati nella creta per dare vita immortale a un suo soggetto, parla il suo migliore linguaggio, sfoggia la sua suadente eloquenza che non ha l’uguale nel mondo! Vi convincerete, osservandolo lavorare, che il suo spirito d’artista domina il suo cervello ed inverdisce i suoi 75 anni. Chi lavora con quello sguardo, con quella mano, chi cerca il dettaglio, chi cura il particolare più minuto, chi impazzisce alla ricerca di un ultimo capello che completi l’incanto di una chioma non è un vecchio, è un genio senza età: a cento anni sarà sempre Gemito che disegnerà.

Il periodo che io ho posato per il mio busto è stato d’infinito gaudio per il mio spirito, perché ho potuto vivere le sue ansie di ricerca e la sua soddisfazione, direi da “guaglione”, quando con un colpo di stecca poteva decidere magistralmente qualche particolare che dava all’opera maggiore evidenza e i suoi occhietti cerulei sfavillavano di gioia.

Chesta statua faciarrà addventà statue a tutte l’ati statue!

Si può essere più scultore di così?

Lo studio di Gemito, prima del riconoscimento governativo e della giusta ricompensa, era una cameretta, non più di 10 metri quadri, ingombra di vecchie cose, ma carica di modelli in cera originali, che per se stessi valgono una fortuna.

A vedere il vegliardo con forza muscolare magnifica, sollevare da una base all’altra bronzi enormi, con mossa rapida e sicura, come se si fosse trattato di piccoli gingilli, sentivate che non era il settantacinquenne patito per la sua lunga pausa di incertezza mentale, ma era il Maestro – Lui aveva la forza del Maestro – era il grandissimo artefice che abbracciava e sollevava l’opera sua, fosse stata questa anche di più quintali, era Vincenzo Gemito, l’anima sua che sosteneva lo sforzo e che dominava l’opera sua: spettacolo di forza artistica veramente stupefacente!

Le lettere scrittemi da Gemito, che io conservo come reliquie, sono brani dell’anima sua sensibile: si trovano massime e pensieri che sono assiomatici, parole dette alla buona che sonano sentenze.

Lui, pur non parlando di sé, ha già detto abbastanza con l’opere sue: L’Acquaiolo, Il Pescatore, il Filosofo, La strega, il Fortuny, il Verdi, i suoi disegni, le sue terrecotte sono il suo linguaggio migliore. Beati coloro che possono parlare così, con l’opera data d’immortale splendore per l’arte e per l’Italia.

Raffaele Viviani

Palazzo del Fascio

Palazzo del Fascio

Palazzo del Fascio
( a cura del prof. Giuseppe D’Angelo, testo tratto da: “Rivivi la Città” )

Al posto dell’attuale Palazzo del Fascio vi esisteva un antico spiazzo, da sempre chiamato Ponticello. Senonché, nel 1909, l’avv. Giuseppe de Rosa fece richiesta al Comune di censirgli tale suolo per costruire il proprio villino.

Piazza Nino Bixio

Piazza Nino Bixio (rarissima immagine d’epoca – coll. privata)

Questa circostanza fece riflettere il Comune che, nello stesso anno, decise di trasformare la piazzetta – nel frattempo ribattezzata Nino Bixio – in un giardino, con ringhiera in ferro.
Ma inopinatamente, negli anni ’40 del ‘900, la piazzetta fu definitivamente occupata dalla severa e stereotipa Casa del Fascio. Al termine del periodo fascista e quindi in tempi a noi più vicini, il palazzo, fu dapprima sede della biblioteca Comunale per poi essere occupato per numerosi anni da alcune famiglie terremotate senza tetto che lo presero a ricovero. Continua a leggere

L’Ippocampo ritrovato

L’Ippocampo ritrovato

( muto testimone dell’antico splendore delle Terme stabiane )

articolo del Sig. Riccardo Scarselli

L' Avv. Franco Scarselli con il Presidente della Repubblica Antonio Segni.

L’ Avv. Franco Scarselli con il Presidente della Repubblica Antonio Segni (archivio liberoricercatore.it).

Era un pomeriggio del 1958, e mi interessava seguire mio padre Franco Scarselli; standogli a fianco le giornate non erano mai uguali, quanto apprendevo era un qualcosa di nuovo che mi portava al normale dibattito che si ha a quell’età con il proprio io.

È vivo ancora in me quel dopo pranzo, ci recammo alla maestosa fabbrica di ceramica Solimene a Vietri sul mare e già l’apparire di quella costruzione così inconsueta mi diede una certa impressione che fu ancora più forte quando nell’entrare, un uomo con fare cortese e sorridente ci venne incontro, era colui che mio padre chiamava affettuosamente, per il consolidato rapporto, < Cenziniello >, il titolare di quel magnifico opificio, il quale cortesemente ci invitò a fare un giro per i 4 piani dove avveniva la lavorazione a mano con singoli e particolari disegni sull’oggettistica in ceramica dei più svariati tipi.

Ricordo che quando ritornammo all’ingresso, nell’area operativa del titolare, la discussione di circa 2 ore si imperniò sulla sfumatura tra il giallo ed il verde di un cavalluccio marino che doveva sostituire gli usuali getti d’acqua in acciaio delle mescite dei banchi delle Terme di Castellammare.

Terme stabiane (anno 1950)

Terme Stabiane anni ’50 – da dx il Sindaco degli Uberti, di spalle in camice bianco il Prof. Marotta, il Prof. Bossa, il Sottosegretario alla Sanità, il Ministro (per l’industria ed il commercio) sen. Silvio Gava, il preside Libero d’Orsi (foto gentilmente concessa dal dott. Tullio Pesola).

Il ricordo di questo particolare oggi mi evidenzia le due figure, quella di chi conosceva la trasformazione del colore durante la cottura nei forni e la parte artistica di mio padre acquarellista ed affascinato sempre dal simbolo dell’ippocampo come fonte e difensore delle acque.

L’Ippocampo ritrovato

Dopo aver raccontato questa storia alla famiglia Solimene……… immaginate la gioia che ho avuto nel ricevere in dono dai SOLIMENE uno di quegli ippocampi ritrovato tra gli archivi della fabbrica: G R A Z I E.


Vincenzo D’Angelo e il Duce

di Corrado Di Martino

L'artista D'Angelo negli anni '70

L’artista D’Angelo negli anni ’70

Vincenzo D’Angelo (Pozzuoli, 9 marzo 1906 – Castellammare di Stabia, 10 gennaio 1984) artista poliedrico, fu pittore, poeta e scrittore di fama nazionale. Mosse i primi passi alla scuola di Leon Giuseppe Buono, di Giovanni Brancaccio e successivamente, del leccese Vincenzo Ciardo. Nel 1930 si trasferì a Castellammare di Stabia, dove nel 1936 costituì, in ricordo di Errico Gaeta, la Scuola dei Pittori di Quisisana e, successivamente, quella di Via Coppola. Era molto conosciuto e apprezzato a Bruxelles, a Helsinki, a Praga, a Bucarest, a Varsavia, a Cracovia, a Sofia, e naturalmente, in Italia. Alcune sue opere si ritrovano in collezioni private, come: la Pirelli a Milano, la Martinez a Parigi, la Sormani ancora a Milano, come anche la Villani; e in collezioni pubbliche come quella del Museo civico di Pescara, del Banco di Napoli, del Palazzo Strozzi di Firenze, del Museo Civico di Milano, e del Comune di adozione Castellammare di Stabia. partecipò al Premio Bergamo, al Premio Michetti, al Premio Suzzara, Premio Posillipo, alla Quadriennale di Roma (1937, 1951) ed alla Biennale di Venezia (1950) solo per citare la partecipazioni ai maggiori eventi.

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I personaggi stabiesi prendono vita

I personaggi stabiesi prendono vita

di Corrado Di Martino e Giuseppe Zingone

San Catello, patrono della Città di Castellammare di Stabia (da una foto di Enzo Cesarano)

Da un’idea di Carlo Vingiani

Oggi la tecnologia fa “miracoli”.  Noi di Libero ricercatore, allora, attingiamo a piene mani per promuovere ancora di più la cultura cittadina.
Da qualche settimana il sito MyHeritage.it, mette a disposizione dei suoi utenti una nuova funzionalità, nota come “Deep Nostalgia” la quale ci permette di dare vita (in poche decine di secondi) a vecchie immagini, di persone che oramai ci hanno lasciato, o che non abbiamo mai incontrato nella nostra vita. E allora, con la costante finalità che abbiamo sempre perseguito, cioè valorizzare il patrimonio storico della Città di Castellammare, abbiamo utilizzato i servizi di MyHeritage.

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