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Ciro Birrese (le pitture)

Piazza Giovanni XXIII

Altre opere aggiunte il 4 agosto 2024

Il fare arte dello stabiese Ciro Birrese si impone con singolare creatività nell’attuale momento operativo, riportandolo ad una connotazione in cui si manifesta la lirica ricerca di una sintassi personale e costruttiva, disancorata da influenze stravaganti.
Nella sua produzione, mai inerte nel suo modularsi, c’è il ritmo vigoroso delle cose, della scena del mondo.
Il M° Birrese riesce a darci quel massimo di libertà che è in natura, al punto che le sue tele somigliano ad intime melodie, le cui note vanno ad insinuarsi in un’ordito poetico.
Le sue pennellate, nel rivelare oggetti e luoghi che rappresentano la realtà con immagini evidenti e magiche, traducono pienamente il profondo dettato interiore dell’artista.

27 ottobre 2015

Dott. Tullio Pesola


Galleria delle sue opere:

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Le antiche Ville di Stabiae

( Cronaca dei giorni nostri del giornalista stabiese Francesco Ferrigno )

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Un colonnato di villa Arianna (foto Luigi Casale)

Al di là del parapetto si scorge quel che resta di un prezioso mosaico del complesso archeologico. L’ultimo pezzo, il resto è franato tutto giù dalla collina. Siamo a Villa Arianna, presso gli Scavi Archeologici di Stabiae. Qui il campanello d’allarme sulla conservazione è suonato da molto, come confermato dal presidente dell’Osservatorio Patrimonio Culturale Antonio Irlando: “Bisogna fare presto, il sito stabiano è in pericolo”. Le Ville dell’Ozio, Arianna e San Marco, sono in preda al degrado e all’incuria. Le infiltrazioni d’acqua bagnano i dipinti che cadono a pezzi e gonfiano i pavimenti; le tessere dei mosaici continuano a venir via; i piccioni defecano un po’ dove gli pare; i lavori di restauro sono un’utopia. Le Ville sono di competenza della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei, quella da cui il sindaco Luigi Bobbio ha chiesto di distaccarsi per crearne una dedicata ai solo siti archeologici vesuviani.
A mostrarci la situazione di emergenza è proprio il presidente Irlando. Già trovare Villa Arianna è una bella sfida. Nessuna segnaletica avverte il guidatore se dallo svincolo di Gragnano si procede in via Passeggiata Archeologica verso il rione San Marco. L’unico cartello si intravede nella direzione opposta, che ci dirige verso l’angusta stradina che porta agli Scavi. Se si sente un forte odore e si sente abbaiare all’impazzata si è arrivati. Il parcheggio e l’entrata, sulla destra, confinano con un canile. Gli animali non sembrano stare proprio benissimo. Secondo i custodi, la signora proprietaria del terreno confinante, l’ha avuta vinta e i poveri cani sono rimasti lì: sporchi, impauriti e feriti.
L’entrata è gratis, ma solo a Castellammare. A Pompei, invece, è possibile acquistare un biglietto che, tra i siti visitabili a poche decine di euro, comprende anche Stabiae. Fortunatamente non siamo passati prima da Pompei, per cui firmiamo un registro ed entriamo. Il libro ci rivela che ad agosto sono passati di qui circa 1100 turisti, di cui 500 stranieri. “Qui ci dovrebbe essere la fila – afferma Irlando – per vedere pitture e colori uniche nel loro genere”. Per i primi giorni di settembre non si superano le 30 persone. Ci incamminiamo verso la grande villa e, superata l’inaccessibile “Palestra”, si giunge nelle stanze. Nel “Triclinio 3” ci sono feci di piccione ovunque, con a destra dipinti sbiaditi dietro plexiglas impolverati. Poco più in là ci sono le stanze dove venne rinvenuta la Flora o Primavera. Un dipinto che oggi gira il mondo in mostre itineranti. Meglio così: le verrebbero i lacrimoni nel vedere oggi la sua vecchia casa. La copertura di una grande sala perde, in terra ci sono delle pozzanghere, e sulle pitture non si sa bene cosa sia colato. In un angolo, i mosaici che compongono il pavimento sono rialzati: infiltrazioni d’acqua anche qui. E in un altro angolo, tra polvere e tessere venute via ci sono anche cicche di sigarette. “Quando piove le tessere galleggiano” dice il custode. Le segnalazioni dei dipendenti alla Soprintendenza sono cosa nota, si attendono lavori che forse partiranno affidandoli a ditte esterne invece che ai propri archeologi. In altre parti della Villa a fianco ai dipinti sbiaditi sono state apposte riproduzioni digitali di ciò che era, forse per “abituare” già tutti a ciò che sarà. In una stanza c’è un dipinto che sta per cedere, staccato dal muro. “Chissà se quando succederà – riflette Irlando – si avrà la stessa eco mediatica di Pompei oppure basterà un colpo di scopa e nessuno saprà mai nulla di questo”. In terra si notano bende su alcuni mosaici. Sono vecchie di anni: un restauro mai completato. Passiamo accanto ad aree off-limits e a depositi pieni zeppi di reperti catalogati troppi anni or sono. Ci affacciamo sulla città, nella zona più a sud della Villa che la domina. Notiamo i mosaici di cui sopra. Ci scorgiamo e vediamo in basso un poligono di tiro dove si spara in continuazione. Stridono con la quiete che dovrebbe essere e non è. C’è anche quello che una volta doveva essere un rilevatore di movimenti con tanto di fotocellule: ora è vandalizzato, ma probabilmente serviva ad impedire l’accesso agli Scavi da parte dei malintenzionati. Ci dirigiamo a Villa San Marco, poche centinaia di metri lungo via Passeggiata Archeologica. archeggiamo e ci incamminiamo tra piccole costruzioni abitate, campi di cavolfiore, panni stesi. “Uno spettacolo indecoroso, qui ognuno dovrebbe fare la sua parte, Comune e Soprintendenza. E’ una situazione che non si smuove dai tempi di Libero D’Orsi “. Forse abbiamo sbagliato strada. E invece no, poco più avanti si scorge un cartello: Antiquarium Nazionale di Boscoreale. Allora abbiamo proprio sbagliato strada, ma di molto. Non ci perdiamo d’animo, e a fianco all’entrata ormai chiusa della Villa, con tanto di tornelli arruginiti, c’è un segnale di “senso vietato” con su affisso un foglio A4 che ci informa: “Entrata Villa San Marco”, di là. Attraverso altri panni stesi si raggiunge l’entrata. Ma è proprio troppo. Ci giriamo per guadagnare l’uscita e incontriamo un turista. Affannato e sudato, ci chiede appunto se ha sbagliato strada. No, “left”, “right” e ci sei. Buona fortuna.

 

Le Fonti di Plinio

La mostra illustrata sulle acque di Castellammare attualmente in esposizione (libera) nell’area mescita del parco idropinico delle Nuove Terme di Stabia nasce da un’idea della locale A.C.S.T. e di ProNatura Onlus. L’allestimento dei pannelli (120×120 cm) è stato interamente curato da liberoricercatore.it con testi e contenuti fotografici gentilmente concessi dall’Ass. Onlus Ex Diversis Unum di Castellammare e con il contributo del prof. Bonuccio Gatti.

( Per visualizzare un maggiore ingrandimento è necessario cliccare sulle immagini )

Antonio Matrone

Caro, Maurizio qualche settimana fa, sono andato sul Faito, insieme all’amico naturalista Ferdinando Fontanella. In quella occasione abbiamo visitato i faggi secolari con le neviere. S’è creata una bellissima atmosfera che mi ha indotto a scrivere una poesia sul “nonno Faggio”, una mia vecchia conoscenza. Ti chiedo la cortesia di pubblicarla sul tuo sito alla voce dei poeti stabiesi, perchè sono sicuro che piacerà a tutti gli amanti della natura. Grazie di cuore e complimenti per il  tuo bellissimo sito. Ciao, Antonio Matrone (C.mare, giugno 2010)

faggio

 

Nonno “Faggio”

A Castellammare, ‘ncopp’ ‘a muntagna d’‘o Faito,

ce tengo nu parente, che m’è caro assaje.

Appena l’aggio visto, so’ rimasto sbalordito:

“Pecché me chiamma, che va truvanno maje?”

Nun è persona canusciuta, ma n’ albero affatato,

Ca, pe’ caso, l’aggio ‘ncuntrato ‘na matina ‘e maggio.

Comme nu familiare, me l’aggio subbito abbracciato,

ed essendo viecchio assaje, è diventato “nonno Faggio”.

Dint’‘o bosco e vicino ‘a fossa, addò ‘nce steva ‘a neva,

qualcuno dice che so’ tre secule, c’hanno piantato là.

Cu tanti foglie, ‘o sole nun passava e ‘o frisco ‘a manteneva,

e mò, co’ progresso, se sente inutile e nun sape c’hadda fà.

Ma ce stong’io, che d’‘a muntagna, so’ tanto annammurato,

c’ogne mese saglio, e ‘o vaco a fa nu poco ‘e cumpagnia.

E ammiezo a stu bosco verde, ce parlammo uno cu n’ato,

po’ chianu, chiano, me rilascio, e passa tutt’‘a frenesia.

Pirciò ringrazio a Dio, che so’ accussì sensibbile,

E prego, cu tutt’‘o core, ca’ nisciuno ‘o va a taglià.

All’ombra ‘e stu gigante, pare assaje incredibbile,

me gira ‘o munno attuorno e… nun ce sto’ a penzà.

* * *

Ciao, Maurizio, ti invio una mia poesia, spero che ti piaccia e che possa essere pubblicata sul sito degli stabiesi doc. Saluti carissimi e ancora complimenti per il sito. Antonio Matrone.

‘O pudismo staggiunale

Ogn’anno, comme vene ‘a primmavera,

scenne a correre tutt’‘a guagliunera.

E annanze e arrete ‘ncopp’‘o lungomare,

sfilane ‘e chiattulelle ‘e Castiellammare.

Chi in tuta, chi in pantaluncine,

vonno dimagrì’ sti signurine.

Ma pure si ll’abbigliamento è fatto ad arte,

se vede ch’esce ‘o grasso ‘a tutte parte.

Hanno magnato fino a mo,

sciù, bignè e roccocò.

‘Nu passo a ppère, manco pe cumbinazione,

hanno guardato ‘o sport, sulo pe televisione.

E mo hanno stabilito, ca dint’a ‘nu par’‘e mise,

s’hanno ‘a truvà’ dimagrite ‘e sette chile ‘e piso.

Ma sentite a me, che so’ ‘nu veterano,

e tengo ‘o fisico bello, asciutto e sano.

Me sceto ampressa, all’orario d’‘e galline,

e vaco a correre quase ogne matina.

Me faccio doje ore ‘e corsa o suppergiù,

pe me magnà’ ‘nu piatto ‘e pasta c’‘o raù.

Si po’ veco ca me sta criscenno ‘a panza,

riduco ‘e calurie e aumento la distanza.

Corro e me votto a mare pure a Capodanno,

pe stà’ gagliardo e tuosto tutto ll’anno.

Pirciò, signurine mie belle,

nun ve magnat’‘e briosce c’‘a nutella.

E si a mare ‘o fisico avit’‘a sfuggià’,

penzatece pe tiempe, si no, lassate stà’ !

Giovanbattista Di Martino (Poetica stabiese)

‘A sora grossa

è comme  ‘na mamma,

è ‘o ricorde ‘e mammete.

È chella ca te chiamme

ogni juorne pe’ sape’

si te serve quaccose,

si staje buone.

È chella ca nun caccia lacrime

ma ‘nsieme a te soffre dinte ‘o core.

T’è cunsigliére ‘ncoppe a ogni cosa

e te sta sempre vicine, …’e vote forse

troppo vicina.

Ma è fatte accussì, semplice,

verace, genuina, nun lascia

niente ca cammine,

si nun vede a luce da matine.

‘O scure ll’he sempre fatte paura,

si mancava ‘a luce, ‘e notte se scetave,

pure ‘o suonne insomma nun ‘a cummanava.

Qualcuno potrà pensare e ‘na rannate…

no è sule ‘na sore e ringrazio o padreterno

che me ll’ha data.