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Erano solo dei vecchi?

Erano solo dei vecchi?

E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana.
Essa suona per te.

del dott. Raffaele Scala

Buongiorno Maurizio, sarà perché anch’io, non da oggi, appartengo agli anta, e il grigio dei miei capelli, nonostante, fortunatamente, goda di buona salute, mi porti inevitabilmente, egoisticamente, a prendere posizione contro questo massacro quotidiano dell’abusato termine: morti, ma erano vecchi con altre patologie…mi fa venire un poco brividi, facendomi prendere, ancora una volta, la penna in mano, o meglio il mio portatile per tornare a scrivere qualcosa su questo argomento, chiedendo scusa a tutti per la mia invasività letteraria. Sperando di non aver scritto eresie e di non scocciare troppo, porgo i miei saluti alla Grande famiglia di Libero Ricercatore. Raffaele Scala.

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Sono solo dei vecchi, quante volte l’abbiamo sentito dire in queste settimane? Lo dicevano illustri professori, lo ripetevano i medici degli ospedali ed i giornalisti nei loro notiziari, amplificando una mezza verità.  Lo hanno detto fino alla nausea, inculcando nei ragazzi la convinzione della loro immunità presunta, fino a farglielo credere e così per troppe settimane hanno continuato a far finta di nulla, a riempire bar, pub e pizzerie, piazze, muretti e marciapiedi, incuranti di quello che accadeva intorno, nella loro città, nel Paese. Neanche per un attimo hanno pensato che se anche fosse stato vero, dovevano pur ritornare a casa, frequentare i genitori, i nonni, i parenti tutti e contagiarli, per, in alcuni casi, ammazzarli. A radicare la convinzione che in fondo era solo un influenza, che tutto sarebbe passato in fretta con l’avvento della prossima primavera, non mancavano famosi influencer, carismatici personaggi pieni di sé e vuoti di sostanza, capaci di condizionare, via rete, masse grige prive di gusto, stile e personalità. Continua a leggere

#iorestoacasa (archivio LR)

Il giorno più lungo e il principio di Peter

Il giorno più lungo e il principio di Peter[1]

del dott. Raffaele Scala

Maurizio, mi scuserai per questa mia voglia di mettere nero su bianco alcune mie riflessioni, alcune dure, come quelle che ti invio. Serviranno a me stesso, a chi mi legge per ricordarci di questi giorni, di questa storia, di queste vicissitudini. augurandomi che tu non sarai contrario a pubblicare questa sorta di diario dei giorni sospesi, miei come di altri milioni di cittadini costretti a questa sorta di arresti domiciliari. Sperando che tutto finisca presto e bene. Raffaele Scala

#iorestoacasa (archivio LR)

#iorestoacasa (archivio LR)

Il giorno più lungo è iniziato per noi italiani il 21 febbraio scorso, quando è arrivato l’annuncio, inatteso, del primo decesso in Italia, un giorno di cui non abbiamo ancora visto la fine e chissà quando ancora dovremo aspettare.[2] Nel tempo precedente, poco più di un mese fa, tra la fine di gennaio e quel 21 febbraio, avevamo guardato con sufficienza e disgusto le notizie che arrivavano dalla Cina, a quel focolaio partito dalla lontana, lontanissima, inarrivabile città di Wuhan, a quel mercato dove si vendevano animali vivi, tra cui i pipistrelli, piccoli mammiferi simili a topi di cui si nutriva la popolazione, da sempre, senza conseguenza alcuna. Notizia che ha tanto disgustato i nostri fini palati, facendoci pensare, con malcelata superba superiorità, a quanto fossero barbari questi musi gialli, mangiatori di topi, saziando e soddisfacendo il nostro presunto, sano razzismo. Luca Zaia docet! Nessuno ha pensato, probabilmente, di trovarsi davanti incolpevoli vittime sacrificali di un genocidio annunciato. Si legge che in Europa il contagio sarebbe partito dalla Germania, altri parlano dell’Austria, esattamente da Ischgl, una piccola, ma famosa località sciistica montana del Tirolo, al confine con la Svizzera,  affollatissima, con i suoi 239 chilometri di pista, dove sarebbe nato il primo focolaio a febbraio, ma si sarebbe taciuto per non rovinare la stagione turistica e far scappare le migliaia di villeggianti. Tutto in nome del dio denaro, del sacro profitto. Continua a leggere

Prigioniera

Gioacchino Ruocco

Me manca ll’aria

In tema di CORO ultimo contro i provvedimenti adottati da qualche giorno dal GOVERNO, ricordo che avevo auspicato fin dall’inizio, quando fu adottata la prima zona rossa, memore dell’attività prevenzionistica che come ispettore del lavoro,avevo svolto presso la ASL RMD di Ostia Lido senza mai negare una contravvenzione a nessuno, la chiusura delle frontiere e una zona rossa che comprendeva tutto il territorio italiano per la durata del periodo di incubazione del virus per almeno 15 giorni per prendere coscienza dei provvedimenti da adottare nell’immediato e per il futuro. Parlarono in tanti sottovalutando il rischio che invece deve essere previsto da subito come pandemia.
In famiglia fui guardato come il matto del momento anche se i fattori erano talmente evidenti per chiudere le frontiere e dare quindici giorni di ferie pagate a tutti senza avere sul groppone i morti, le maldicenze e tutte le altre considerazioni che ci sono piovute addosso dall’estero e dall’interno del paese ad opera delle opposizioni e di tutti gli esperti del caso con un turno di ferie anticipate per il periodo della quarantena  da recuperare nel tempo avvenire  senza caricarci di ulteriori spese,cassa integrazione e aiuti ai settori più danneggiati.
A volte, anche io, sento la necessita di uscire, non di prendere aria che a casa mia, a secondo della direzione del vento, mi arriva o dal mare o dalla pineta, abitando ad Ostia Lido ad un passo dal mare e a 100 metri dalla Pineta che lambisce il tratto ferroviario della Metropolitana di Roma perché uscire dà un senso di libertà che il prendere aria non assomma nella sua limitatezza e allora anche a me sembra che….

Prigioniera

Prigioniera (foto Enzo Cesarano)

Me manca ll’aria
( Gioacchino Ruocco – marzo 2020 )

Me manca ll’aria
e me stongo affliggenno
pe chesto cerco ‘e ascì
cu ogne bbona scusa
pecchè si no m’arrenno.

Ma cerco ‘e me st’attiento
‘e fà ‘e st’asciute uso
justo p’’o nicessario
pecche cu ll’uocchie ‘a fora
me sento carcerato
comme nun maie
m’ero capitato.

Forse è ‘a vicchiaia
ca m’è data ‘ncuollo,
ma suro int’a sti panne
ca tu m’è miso ‘ncuollo
e sento ‘a voglia ‘e ascì
fore ‘o terrazzo,
fore ‘o balcone,
fore a stu palazzo
si no ‘devento pazzo.

Si fosse nu guaglione
pateme alluccasse
ma io le rispunnesso:
– Sule duie passe.
Sicuro? Me dicesse:-
Addò vuò Jì?

Fattelle’ncopp’a ll’asteche
o dint’’o ciardino
ca stà areta ‘a casa,
fore ‘o terrazzo
o attuorno ‘o palazzo
facenno attiento
a sta luntano a ll’ate,
comme è raccumadate
e lascia perde
ogne tentazione.

‘A nnammurata
sta bbona addò mo stà.
Pienze a passà ‘a jurnata
ca ‘int’’a nuttata duorme
senza me turmentà.

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Eravamo felici ma non lo sapevamo!

Eravamo felici ma non lo sapevamo!

(Malinconiche riflessioni su questi giorni tristi, note dalla clausura di casa)

del dott. Raffaele Scala

Caro Maurizio, buongiorno, per combattere la noia dello stare in casa ho buttato giù, a caldo, stamattina, queste note/riflessioni, giusto per lasciare traccia di questi giorni bui. Ti sarei grato dell’eventuale pubblicazione, se ovviamente, lo ritieni utile allo scopo. Come sempre, con amicizia al grido di: Siamo stabiesi, ce la faremo!

Villani Paola “Il filo della speranza” – Arenile Castellammare di Stabia

Eravamo felici ma non lo sapevamo quando andavamo in villa comunale per la nostra passeggiata e percorrevamo, un poco annoiati, i suoi lunghi viali, o quando, in maniera svogliata, ammiravamo il nostro golfo con il Vesuvio sullo sfondo e inalavamo il profumo della salsedine del nostro lungomare e ancora più distrattamente davamo un’occhiata ai cani che si rincorrevano felici sulla sabbia nera ricoperta, in parte, di un manto d’erba, criminale eredità di errori commessi, voglio credere in buona fede, da nostri lontani, amati amministratori comunali.

Ridevo dei tuoi eccessivi selfie, delle tue femminili arrabbiature e allora per distrarmi mi limitavo a guardare, non so, l’eterno cantiere chiuso della Casa del Fascio, pensando che prima o poi i lavori si sarebbero completati e riavremo, un giorno, la nostra biblioteca, o magari un Archivio Storico Comunale degno della sua importanza, finalmente liberato dall’abbandono nel quale versa, oppure uno sguardo fugace verso le finestre chiuse dell’Hotel Stabia, un pezzo di storia della nostra Castellammare, come l’antico edificio dell’ex Banca d’Italia, ora banca Stabiese. E all’improvviso, come sempre, tu, consapevole della mia noia, mi strattonavi svegliandomi dalle mie fantasie di stabiese innamorato della sua bellissima Città, dicendomi: Andiamo! Continua a leggere

James-Fenimore-Cooper-by-Jarvis

Castellammare nel romanzo The Wing and the Wing

Castellammare nel romanzo The Wing and the Wing

di Giuseppe Zingone

James Fenimore Cooper, by Jarvis

James Fenimore Cooper, Portrait by John Wesley Jarvis, 1822

Anche al più famelico e ardito lettore, forse, il nome di James Fenimore Cooper1risulterà nuovo e quasi sconosciuto; niente paura, Liberoricercatore, sovviene in vostro aiuto: citando uno dei suoi romanzi più famosi pubblicato nel 1826: L’ultimo dei Moicani. Un autore prolifico, non sempre amato dai suoi colleghi contemporanei, certamente il titolo di questo suo romanzo è rimasto indelebilmente impresso nella memoria di tutti, grazie alle immagini del film del 1992, con protagonista l’attore Daniel Day-Lewis e la meravigliosa colonna sonora.

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  1. Una interessante biografia dell’autore si trova in Anonimo, Solitudine ossia Raccolta di letture per le ore tranquille: novità, varietà, amenità, istruzione, per i tipi di G. Radaelli, 1849, pag. 185-192. James Fenimore Cooper nacque a Burlington, in New Jersey, il 15 settembre 1789, undicesimo figlio del giudice William e dodicesimo di Elizabeth Cooper. All’età di un anno, la sua famiglia si trasferì alla frontiera del lago Otsego, nello stato di New York, dove il padre fondò un insediamento in vasti territori ancora disabitati, creando quella che sarebbe diventata la città di Cooperstown nell’attuale Contea di Otsego. Il padre era giudice e membro del Congresso degli Stati Uniti. James frequentò le scuole ad Albany e New Haven e tra il 1803 e il 1805 il College di Yale. Fa piacere ricordare inoltre che proprio in questi luoghi americani, molto più tardi si stabilirà, profeticamente, una folta comunità stabiese. Vedi anche: Stabiesi nel mondo (a tutti gli STABIESI a vario titolo sparsi per il mondo).