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MESSAGGIO di NATALE ( Natale del Signore 2011 )

del prof. Luigi Casale

E’ tempo di Natale. Festa della memoria e della tradizione.
L’atmosfera della festa la si respira nell’aria già a partire dagli ultimi giorni di novembre. Con ogni condizione di tempo. Neve o nebbia, bruma o pioggia, o anche bufera e tempesta.
Ma specialmente quando risplende la bella giornata dicembrina con il sole basso nel cielo e le ombre che si allungano sulla terra: quando i diversi piani di luce si sovrappongono trasparenti, ma ancora distinti e chiaramente individuabili nel riverbero della foschia pomeridiana, mentre si prepara il tramonto.
Sempre e comunque, però, la tipica atmosfera di festa resiste la durata di un mese. E a Santo Stefano subito si cambia registro. Tanto che la cultura popolare – quella condensata nei proverbi – per dire che qualcosa: un’emozione, un fenomeno, una promessa, un impegno, è di breve durata, esclama: “E’ durato Natale e Santo Stefano”.
In effetti succede che l’Avvenimento, presente nella evidente attualità storica e nella sua perenne contemporaneità psicologica, fuga dalla coscienza la tensione accumulatasi durante l’attesa della festa, ed esplode nella pienezza della gioia, il giorno della Festa.
Così passato il Natale svanisce anche il cosiddetto clima natalizio. Quello festaiolo e superficiale, naturalmente. E si ritorna alla consapevole realtà dell’oggi.
Perciò, quello che anche noi inseriti come siamo nella cultura popolare, semplicisticamente continuiamo a dire “tempo di natale”, la Liturgia cristiana, opportunamente invece, chiama “Tempo di Avvento”. Cioè tempo proiettato verso la venuta. Quindi, “Tempo dell’Attesa”. Tempo animato dal desiderio che genera fervore, mentre si avvicina il momento della gioia piena, quando la Festa sarà presente nel suo “essere”.
Il sabato del villaggio? Solo in parte! La differenza è che il Poeta dice che, dopo, ritorna la noia.).
La fiducia e la speranza cristiana ci fa dire invece che ritornano serenità e certezza.

* * *

Quanti si muovono alla ricerca del significato dei gesti, e quindi alla scoperta del loro fondamento nella esperienza esistenziale e alla loro conseguente esplicitazione, fino ad una rilettura più profonda e motivata del mito, e della sua rappresentazione, fanno opera educativa di carattere sociale. Fanno cultura. E qui non c’entra la religione. Anche se essa resta di primaria importanza.
Per parte nostra, noi, allungando lo sguardo a ritroso sulla vicenda umana: personale, di gruppo, o universale fino alle più recondite e misteriose origini, notiamo come la consapevolezza (la retta coscienza) dell’innato bisogno di trascendenza abbia sviluppato nella persona umana, insieme al processo di conoscenza o di crescita, la cosiddetta coscienza morale e il sentimento religioso. Questa ricerca, questo sviluppo umano che è crescita culturale, come detto, (e nella visione cristiana è segno dell’alleanza di Dio con l’uomo), ha prodotto quel sublime dato culturale (religioso) presente nelle Sacre Scritture. A cui l’uomo attinge la rivelazione del Dio (Epifania = manifestazione). Dio è nelle Scritture. O meglio nella Scrittura.
Ed è la stessa manifestazione di Dio che ritroviamo nella vita dell’uomo, quella che poi come storia esemplare ed emblematica confluisce nelle Scritture. Quelle antiche, con la esemplarità del “popolo eletto”. Le nuove, il Vangelo, con l’esemplarità della vita di Gesù.
Dio, quindi, è nella nostra vita e nella storia dell’uomo. Un modo diverso e interessante per cogliere il senso della “creazione” e della “redenzione”. Storia di salvezza.
Alla luce di questa certezza, diamo significato al Natale di Gesù, e alla sua Attesa.
Con questo spirito auguro a tutti un Buon Natale.

l.c.

Lettera ad Antonio La Trippa ( politico stabiese )

Egregio sig. Antonio La Trippa,
chi le scrive è un cittadino di Stabia, uno dei tanti che ha saputo che lei è il più anziano dei candidati iscritti nelle liste di questa Città. Voglio ringraziarla ancora una volta per questa sua “coraggiosa” scelta, perché sono sicuro che se lei sarà eletto, cercherà, come di suo costume, di amministrare al meglio questa nostra città, tanto cara, quanto sfortunata e difficile da gestire. Spero vivamente che lei ascolterà sempre i bisogni dei cittadini e prima di ogni altra cosa farà l’interesse della nostra Castellammare. Sono altresì certo, che lei darà spazio e aria a tutto ciò che, ad oggi, purtroppo risulta essere ancora chiuso e precluso alla pubblica utilità, come: l’arenile e i boschi di Quisisana (abbandonati o quasi a se stessi), la Reggia ancora in attesa di una nuova vita e un sogno da realizzare, spazio e tanta musica per la Cassarmonica, una nuova dignità alle Terme Stabiane e alle celebri 28 sorgenti, lavoro per i Cantieri, un teatro comunale intitolato a Viviani (così faremo felice Italo) ed avremo nuovamente “Burattini nel Verde”, ecc. ecc., chiedo ciò perché sono certo che lei comunque vadano queste elezioni, avrà il suo posto di assessore all’utopia, che come sempre sarà la base dei sogni di tutti noi, onesti stabiesi. Auguri quindi e mi raccomando non ci deluda!

La saluto molto cordialmente. Enzo Cesarano

Boschi di Quisisana (foto Ferdinando Fontanella)

La cura ( Lettera aperta alla città )

( l’appello del naturalista stabiese Ferdinando Fontanella )

Carissimo visitatore leggi con attenzione, rifletti e se puoi dai anche tu un aiuto. Ciò che sta accadendo in alcune zone sensibili di Castellammare è frutto di un comportamento becero e vergognoso, che mortifica fin dentro l’animo chi ama realmente la nostra cara Città. Quello che leggerai a seguire non è il solito appello politico… ma la segnalazione di un semplice cittadino, Ferdinando Fontanella, che nel suo quotidiano vivere e con il suo appassionato operato da naturalista, onora Castellammare e tutti noi stabiesi…

la_cura

parco palazzo reale di Quisisana

Caro Maurizio e cari Liberi Ricercatori, vi scrivo per condividere con voi tutti lo sdegno e il disgusto che provo nel constatare il misero stato in cui versa il parco del palazzo reale di Quisisana. Purtroppo la nostra amata Castellammare è affetta da una grave malattia, il cui sintomo più evidente è l’indifferenza e l’apatia dei suoi abitanti. Una malattia che debilita e distrugge e che alla fine ci condurrà alla morte. Non mi riferisco certo al decesso fisico degli apatici stabiesi, ma alla fine della nostra identità, della nostra storia, della nostra Stabia.
A Quisisana (ma questo vale anche per la Villa Comunale, la baia di Pozzano, il rione “Spiaggia”, la foce del Fiume Sarno, il Centro Antico, e tutti i luoghi simbolo della città) si manifesta evidente, come la tumescenza di un cancro maligno, questa malattia che ci affligge e ci consuma. Frotte di stabiesi affollano il parco di secolari Castagni in un contesto di assoluto degrado, bivaccano sui miseri tavolini da pic-nic immersi in un mare di rifiuti, entrano con le macchine fin dentro al bosco, sporcano, devastano, offendono la storia e la natura di questo luogo ameno, che dovrebbe essere il simbolo della nostra cultura e del nostro saper vivere civile.
Le istituzioni cittadine, i custodi del bene pubblico, dove sono, cosa fanno, chi sono? Sono stati contagiati anche loro dal morbo!?
Come spiegare altrimenti questo assurdo andazzo del vivere quotidiano a Castellammare?
Solo una malattia debilitante, che distrugge il nostro senso civico, la nostra memoria storica, l’amore innato per la natura, che ci rende incapaci di indignarci per il soffocante “fetore” della quotidianità che ci circonda, che ci fa sentire a nostro agio tra i rifiuti, la puzza, la malavita, può spiegare l’attuale stato delle cose.
Mi chiedo se una cura esiste, in poche parole Castellammare ha ancora una speranza reale di una vita normale o è condannata all’oblio?
Chi può aiutare questa città e i suoi sventurati abitanti?
Se qualcuno conosce la cura, per favore può aiutarci!?

Un caro saluto a tutti voi. Il vostro naturalista e amico, Ferdinando Fontanella.

 

Happy Birthday Mister Terremoto

( Amaro sarcasmo e tante piccole verità ).
di Ferdinando Fontanella

fatepresto

32 anni di attesa!!!

Tanti auguri Mr. Terremoto. Oggi è il tuo compleanno e a me non sembra vero che tu sia ancora qui tra noi. Nonostante io sia solo un po’ più grande di te, ricordo benissimo quella domenica sera del 1980 quando sei entrato nelle nostre vite. Il tuo vagito fragoroso per 90 interminabili secondi ci ha scosso e un po’ spaventati, non eravamo pronti alla novità, ma poi ti sei acquietato e ti abbiamo accolto, accudito, e fatto di tutto affinché tu restassi con noi.

Sai Mr. Terremoto per te la nazione tutta si è mobilitata. Antichi rancori sono stati accantonati, nuove alleanze stipulare. Insomma tutti, ma proprio tutti, hanno contribuito al tuo benessere. Con grandi sacrifici è stato ricamato un corredino d’inciuci, connivenze, corruzione e omertà, che ti ha protetto e tenuto al caldo per tutti questi anni.
Per te è stata sacrificata la migliore Italia. Sono stati fatti anni di abusi in tuo nome e successivi condoni edilizi hanno legittimato quelle che oggi, con un termine moderno, chiamano new town, le città nuove. Tu sei stato un precursore, le tue città nuove hanno devastato il paesaggio e la campagna fertile, ben prima che le costruissero in Abruzzo. Queste opere hanno tutte le stesse caratteristiche: sono brutte e poco funzionali, cosicché tutti rimpiangano gli artistici centri storici, affollati di vita e cultura, che tu da neonato hai lesionato e spopolato. Sapessi l’emozione che proviamo quando qualche vecchio palazzo del Settecento crolla con uno schianto improvviso e fragoroso, è come se in quegli istanti tu tornassi a nascere.
Proprio così, nascere. Perché per noi Mr. Terremoto sei come un figlio, e scusaci se ti abbiamo trascurato un pochino quando nelle altre regioni d’Italia sono arrivati i tuoi fratelli minori, non soffrire per questo, sono cose che capitano a tutti i primogeniti. I nuovi arrivati, del resto, hanno quel non so che di tenero, che te li fa adorare. Per loro però il destino è di essere secondi e, volenti o nolenti, dovranno accettare che tutto quello che avranno a te è stato già dato.
Oggi è il tuo trentaduesimo compleanno, hai compiuto tanti di quegli anni che ormai non rimane più niente da augurarti e da regalarti. Ma non preoccuparti, non sei vecchio, e se i tuoi fratelli più giovani hanno più visibilità, non è un problema, sono certo che l’Italia tutta non ti dimenticherà mai. Ti aiuteranno i nostri burocrati a restare in forma. Qualcosa s’inventeranno stanne certo, faremo di tutto affinché tu non finisca nel dimenticatoio.
Ci batteremo per tutelare e rinverdire tutti i danni che hai fatto in questi lunghi anni, per non far rinascere il tessuto sociale e architettonico che hai distrutto, per non contrastare la criminalità che grazie a te è entrata in affari con lo Stato. Lotteremo per far tacere tutte le malelingue che avrebbero voluto confinarti negli errori da non ripetere. Non temere Mr. Terremoto sei e resterai per sempre nei nostri cuori. Buon compleanno!

Due “testate” a confronto

“L’Illustrazione Italiana” – “L’Illustrazione popolare”

Con questo (nuovo) brevissimo studio/ricerca, il dott. Giuseppe Plaitano dimostra come un tempo, e non solo a Napoli… ci si industriava per sopperire alla eventuale mancanza di materiale fotografico, creando dei veri e proprio falsi storici d’epoca!

Entrambe le testate erano edite dalla casa editrice Treves, azienda fondata da Emilio che ne fu il primo direttore, affiancato nel 1872 dal fratello minore Giuseppe, esperto uomo d’affari. Da quel momento la casa editrice prese il nome di “Fratelli Treves”. La prima nacque come “Nuova Illustrazione Universale” e vide la luce il 16 dicembre 1873, diventando dal primo gennaio 1876 l’illustrazione Italiana.
Il periodico si avvalse della collaborazione, in qualità di articolisti, di alcuni dei nomi più importanti della letteratura italiana, quali Carducci, Deledda, Pirandello, Verga, De Amicis e D’Annunzio.
Accanto alla normale periodicità di uscita, in occasione delle festività di fine d’anno, l’Illustrazione pubblicava anche dei numeri “Speciali”, in qualità di autori c’erano nomi come Matilde Serao e Ada Negri, mentre la parte iconografica veniva affidata a pittori come Edoardo Dalbono e Francesco Paolo Michetti.
Nel corso degli anni i fratelli Treves incrementarono il numero e la tipologia delle riviste e dei periodici rivolti ad un pubblico differenziato. Nacque quindi l’illustrazione popolare, erede del vecchio “Museo di famiglia”, che si presentava all’epoca come il settimanale illustrato più a buon mercato d’Europa e il più diffuso in Italia.
Che le due testate potessero scambiarsi delle illustrazione poteva definirsi un lecito gioco di squadra, singolare invece notare che le due pagine, pubblicate in anni diversi, differivano in qualche lieve “particolare”…

 ( Per visualizzare un maggiore ingrandimento è necessario cliccare sulle immagini )

illustrazione_italiana

Varo Duilio: L’Illustrazione italiana n. 31 del 28/05/1876 (coll. G. Plaitano)

illustrazione_popolare

Varo Savoia: L’Illustrazione popolare n. 26 del 01/07/1883 (coll. G. Fontana)

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Bizzarro notare che non solo a Napoli ma anche a Milano si adottava… “l’arte di arrangiarsi”.

Bibliografia consultata:
A. Comandini – Emilio Treves, in “Nuova Antologia”, 1916