Archivi categoria: Poetica Stabiese

Gennaro Lambiase

Castellammare anima mia

La Regina delle Acque

La Regina delle Acque

Cara Napoli, io te voglio bbene,
quanno se va fore, me canoscene pe’ tte,
tu c’acciette ‘e figli e tutte quante
t”e strigne ‘mbraccie… comme si fosseno ‘e tuoje.

Ma io so’ ‘nnammurato, e niente ‘nce pozzo fa,
è ‘na bella guagliona, e t’ha vulesse appresentà.
E’ fatta ‘e acqua minerale, sorgenti in quantità
si sulo ‘a guarde ‘nfaccia, te fa emozionà,
pur’essa è bella, mamma e quant’è bella,
tu te putisse offendere, ma ‘a vita mia è chella.

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Vincenzo Veropalumbo

Questi versi raccontano uno spaccato di vita negli anni ’50 e ’60. Le famiglie nominate nel testo vivevano in uno stabile situato ” abbascio ‘a funtanella ” ex via S. Caterina n. 29, anche questo edificio chiamato ” ‘O purtone d”e Fuselle “, non esiste più. I sono stati anche musicati e cantati dal maestro Eduardo Liquori.

Vincenzo Veropalumbo

Panorama notturno (foto Maurizio Cuomo)

Panorama notturno (foto Maurizio Cuomo)

Notte stabiese

Si è nu suonno nun mi scetate,
si stò durmenno lasciateme sunnà,
chesta è notte stabiese;
addò o mare è na cuperta,
a scugliera è nu cuscino,
e cust’aria fresca e fine pure a luna s’è vestuta cu nu scialle chin e stelle.

Nell’incanto e stu paese,
tutt’attuorno a chisto golfo,
ogni luce è nu brillante,
e na barca parte e va,
canta a buordo o marenaro na canzone assai antica e’ tanto tiempo fa.

Dint’ ò silenzio e sta nuttata,
si vuò scuprì chistu mistero,
ti stienni ncopp a rena,
e co core estasiato pe vedè chesta magìa, può sunnà senza durmì. Continua a leggere

Pillole di cultura: Auguri

a cura del prof. Luigi Casale

( alla memoria di Antonio Carosella, grande amico del Libero Ricercatore )

La parola “auguri” rientra nel sistema di etimi tutti riconducibili ad una radice indeuropea. Ma la modesta portata del nostro lavoro non richiede di esaurire necessariamente tutte le possibilità che la linguistica comparata ci mette a disposizione.
Per comprendere la storia del significato di “auguri” ci basterà perciò collegare la parola ad un verbo greco e a tutta la famiglia di parole latine, che trovano riscontro anche nelle antiche lingue italiche.
E su queste porteremo le nostre considerazioni.
Il vebo greco è αυ̉ξάνω [auxàno] = “aumentare”, che trova riscontro nel verbo latino augeo / auxi / auctum / augère, dallo stesso significato; anche se con diverse sfaccettature (accezioni).
I vocaboli latini, molti dei quali ancora vivi nella lingua italiana, sono :
1) Augeo – auctum – augmen – augmentum;
2) Auctor – auctoritas – auctorare – exauctorare;
3) Augur – augurium – augurare;
4) Augustus – augustalis – augusteum;
5) Auxilium – auxiliari (verbo) – auxiliaris (aggettivo);
Li ho classificati per affinità di area semantica seguendo il criterio di analisi che ne fa Emile Benveniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indeuropee (pag. 396-398) [Parigi 1969 – Torino 1976].

Le corrispondenti parole italiane – rispettivamente – sono :
1) Aumentare, aumentato, incremento, aumento;
2) Autore, autorità, procurarsi, congedare;
3) Àugure (antico sacerdote), augurium (rito religioso praticato dagli àuguri), divinare (consacrare, prendere gli auspici);
4) Augusto, Augustale (sacerdoti o feste), augusteo (che riguarda Augusto);
5) Aiuto, portare aiuto, ausiliare (agg.).

Quando nel 27 a.C. Ottaviano [Caio Giulio Cesare Ottaviano] si fece attribuire dal Senato il titolo di Augustus, che poi passò in eredità a tutti i successori fino a designare l’Imperatore come istituto e come figura giuridica, intendeva dire una cosa e farne un’altra. Intendeva dire che egli, restaurata la Repubblica, deponeva le cariche e ritornava ad essere privato cittadino. Quindi normale senatore, ma “augustus”, capace cioè di accrescere e fare aumentare la fortuna dello Stato. Una persona “autorevole” a cui poter ricorrere in ogni momento e per ogni decisione (praticamente sempre). In effetti però intendeva essere l’arbitro assoluto di ogni decisione politica, quindi il sovrano, il monarca, l’unico.
Egli astutamente già aveva caricato di significato un’altra figura assumendone il nome. Il “princeps” che significa il principale, il più importante. Questi precedentemente era un senatore anziano che aveva il compito di preparare l’Ordine del giorno per il Senato. Non era una magistratura, ma una funzione di ordine pratico. Intanto con Ottaviano “princeps” andrà a significare di fatto “il più autorevole”.
Ma la perfezione della mossa era stata già compiuta con l’attribuzione a lui da parte del Senato di due funzioni; queste sì costituzionalmente sature di conseguenze politiche: 1) la “tribunicia potestas”, che lo rendeva intoccabile per via di quella “sacrosancta potestas” che essa conteneva, insieme al diritto di veto sulle leggi (prerogative dei tribuni della plebe), e l’ ”imperium consulare et proconsulare” , cioè la potestà di condurre le legioni in guerra, propria dei Consoli in esercizio delle proprie funzioni. Oggi diremmo il comando supremo, proprio del comandante in capo dell’esercito.
Immaginate voi, tra attribuzione di funzioni costituzionali e nomine onorifiche apparentemente irrilevanti come princeps e augustus, quanto potere si era concentrato nelle sue mani. Altro che privato cittadino!
Ma se lo era conquistato, prima ancora, sui campi di battaglia, poi con l’abile diplomazia delle alleanze, e in fine con la propaganda e la politica del consenso attuata attraverso la persona di Mecenate .
Questo per dire la forza delle parole, ma non solo.
Proprio per questo motivo il Benveniste riflettendo sulle parole augur, auctor, ed auctoritas, non si accontenta di porre alla base del verbo augeo il significato di aumentare: significato con cui questo verbo è accettato in epoca storica. (Per questo motivo prima ho seguito la sua organizzazione schematica e metodologica).
E la conferma della tesi del Benveniste, se proprio ce ne fosse bisogno, sta proprio nella capacità di Ottaviano di inculcare la nuova dimensione del potere nella mente e nel cuore dei suoi concittadini.
Benveniste, attraverso la rilettura dell’uso delle parole augur (area della religione), auctor (capacità – più che far crescere – di far nascere e di creare), e auctoritas (area del diritto e della morale), ritiene che all’origine anche augeo dovesse significare “avere la forza di avviare dei processi” in maniera misterica e sacerdotale.
A conclusione di queste considerazioni voglio ricordare il motivo per cui in questa lezione ho voluto trattare il lemma “Auguri !” e dedicarla alla memoria del professore Antonio Carosella.
Si tratta di un motivo felice e triste insieme; comunque pieno di emozioni per il cuore degli uomini.
Il 17 e il 18 abbiamo celebrato il compleanno – identico numero di anni – di due nostri grandi amici. E abbiamo gioito per loro e con loro. Gli “augùri” erano auspici di bene e di accrescimento di fortuna per sé stessi e per noi.
A Gigi Nocera confermiamo questi sentimenti.
Gli stessi sentimenti vogliamo mantenere vivi anche per il professore Antonio Carosella che l’indomani del suo compleanno, seguendo le leggi di natura, ci ha lasciati.
E lo facciamo esaltandone merito e valore personali, recuperandone il pieno significato proprio dai vocaboli di carattere religioso, come augur (funzione sacerdotale), auctor (capacità di creare), e auctoritas (autorevolezza sociale e morale), a maggior ragione ancora applicabili a lui, ora che vive nel mistero della morte.
Ognuno, secondo il suo destino, è vincitore della morte e resta inchiodato nella vita e nella storia, se trova uomini degni di meritarlo. Auguri, professore! Per noi!

Pillole di cultura: Pulcella

a cura del prof. Luigi Casale

È difficile per un parlante napoletano mantenere la pronuncia della prima “l” nella parola “pulcella”. Come è difficile far pronunciare la r ai cinesi. Allora la parola pulcella alla distanza diviene purcella, e se poi – perdendosene il significato – la lingua si fa opaca, la parola impropriamente viene applicata anche al maschietto che in maniera vezzeggiativo viene detto purciello. Il purciello, crescendo, viene chiamato scherzosamente puorco. Da qui il termine ritorna ad estendersi anche alle fanciulle e diventa porca. Almeno così succedeva nella mia famiglia. Per cui puorco, porca, purciello e purcella erano dei temini affettivi che confidenzialmente i genitori riservavano a tutti noi, specialmente quando dimostravamo sagacia, intelligenza e simpatia.
L’enigma di questo che sembrava un paradosso linguistico solo tardi ce lo svelò zia Rosa, fornendoci la chiave di lettura.
Pulcella (pron. Pulsela) altro non era che pulzella = giovane, vergine. Per cui il termine era indicato in maniera appropriato solo per le ragazze. In seguito l’uso l’aveva generalizzato e poi in qualche modo banalizzato in “porco o purciello”. Ora si capisce anche perché in casa nostra esso era sempre accettato come un complimento affettuoso.
Pulzella (o pulcella) come diminutivo deriva da pullus (pulla), che a sua volta è diminutivo di purus (o pura). Perciò va ad indicare la vergine.