Don Giuliano salesiano a Scanzano
di Antonio Cimmino 12-01-2020
Chiunque abbia frequentato l’oratorio salesiano di Scanzano agli inizi degli anni ’60, non può non ricordare don Giuliano Cavarzan, un giovane prete della provincia di Treviso simpatico, dinamico, allegro e, qualche volta un poco manesco quando commettevamo qualche monellata.
Egli fa parte del patrimonio dei ricordi di una intera generazione. Terzo di quindici figli, era nato a Maser (Treviso) il 4 maggio 1932 da una numerosa famiglia contadina ma, quando stava a Scanzano, la sua famiglia risiedeva a Biadene, sempre nel trevisano alla via Groppa n. 25.
Ho conosciuto suo padre il quale, prima che don Giuliano fosse ordinato sacerdote, venne a Scanzano per diverso tempo, alloggiato presso la famiglia Palumbo nelle palazzine San Giuseppe di Viale Terme. Era un vecchio contadino molto simpatico che ci raccontava del suo mestiere. Mi ricordo che una volta ci disse che, per debellare i topi, erano d’uso catturarne uno vivo, inserirgli degli acini di pepe nell’ano e poi lasciarlo libero. Quando il pepe faceva effetto, il topo impazzito per il bruciore azzannava e uccideva altri suoi simili. Allora ci spiegammo cosa significava il detto napoletano mettere ‘o pepe nculo â zoccola.
Ma che ci faceva un giovane prete friulano a Scanzano? Il vecchio Istituto salesiano San Michele che dalla fine dell’800 era stato un collegio con studenti in convitto e aperto anche agli esterni (ho frequentato, da esterno, la IV e V elementare e la I media), alla fine degli anni ’50 fu trasformato in Istituto Teologico Internazionale per chierici che dovevano essere ordinati sacerdoti. Venivano da tutti i continenti e per noi ragazzi di Scanzano, si aprì una finestra sul mondo. Cominciammo a collezionare francobolli e imparammo qualche parole di inglese: “have you the stamps?”.
Egli fa parte del patrimonio dei ricordi di una intera generazione. Terzo di quindici figli, era nato a Maser (Treviso) il 4 maggio 1932 da una numerosa famiglia contadina ma, quando stava a Scanzano, la sua famiglia risiedeva a Biadene, sempre nel trevisano alla via Groppa n. 25.
Ho conosciuto suo padre il quale, prima che don Giuliano fosse ordinato sacerdote, venne a Scanzano per diverso tempo, alloggiato presso la famiglia Palumbo nelle palazzine San Giuseppe di Viale Terme. Era un vecchio contadino molto simpatico che ci raccontava del suo mestiere. Mi ricordo che una volta ci disse che, per debellare i topi, erano d’uso catturarne uno vivo, inserirgli degli acini di pepe nell’ano e poi lasciarlo libero. Quando il pepe faceva effetto, il topo impazzito per il bruciore azzannava e uccideva altri suoi simili. Allora ci spiegammo cosa significava il detto napoletano mettere ‘o pepe nculo â zoccola.
Ma che ci faceva un giovane prete friulano a Scanzano? Il vecchio Istituto salesiano San Michele che dalla fine dell’800 era stato un collegio con studenti in convitto e aperto anche agli esterni (ho frequentato, da esterno, la IV e V elementare e la I media), alla fine degli anni ’50 fu trasformato in Istituto Teologico Internazionale per chierici che dovevano essere ordinati sacerdoti. Venivano da tutti i continenti e per noi ragazzi di Scanzano, si aprì una finestra sul mondo. Cominciammo a collezionare francobolli e imparammo qualche parole di inglese: “have you the stamps?”.
Rintracciato a Melbourne
Su un sito della comunità italiana di Melbourne ho trovato altre notizie su don Giuliano. A 14 anni, lasciò i suoi monti ed entrò nel collegio salesiano di Verona e, dopo 10 anni fu inviato in Australia. Agli inizi, senza conoscere una parola di inglese si trovò in grande difficoltà ma, testardo com’era, imparò in breve tempo la lingua lavorando per 2 anni in una comunità di ragazzi difficili (Boy Town) a Sidney. Trascorse altri 18 mesi ad Adelaide e nel 1959 tornò in Italia a Scanzano per completare i suoi studi di teologia per essere ordinato sacerdote. Mi regalò un piccolo boomerang spiegandomi a cosa servisse. L’ho tenuto conservato per moltissimi anni in suo ricordo, poi nei numerosi traslochi si è perduto.
Mentre studiava teologia, don Giuliano fu destinato all’oratorio diretto dall’olandese don Carlo Kruse un’altra splendida persona che, quando facevamo chiasso, diceva sempre: “ boni, state boni”. Da montanaro, ci insegnò l’amore per la montagna e spesso si organizzavano delle salite a Faito e sul Molare. Quando si va in montagna – diceva – per guardare il panorama bisogna fermarsi; quando si è stanchi mai sedersi, perché nel rialzarsi i muscoli si indolenziscono, ma appoggiarsi ad un albero; per dissetarvi, bevete piccoli sorsi di acqua; non gettare mai pietre abbasso.
Era una persona dinamica e poliedrica; organizzò una filodrammatica di cui era anche regista, attore e sceneggiatore. Per simulare i tuoni nelle recite, faceva scuotere tra le quinte, un grosso foglio di compensato; i lampi, si simulavano con la scintilla di due elettrodi che servivano a fornire luce al grande proiettore da 32 mm che stava proprio sul retro al palco. Sul frontale del palcoscenico c’era scritta la frase Castigat Ridendo Mores 1 che noi maccheronicamente traducevamo castiga il moro ridendo.
Prima di ogni rappresentazione, faceva portare dietro le quinte dalle suore della cucina, del vino caldo zuccherato che doveva servire a schiarire la voce. Mi ricordo le commedie “Il monello ed il soldato” e “Lo scoglio delle sirene” di cui ho trovato le foto, che ebbero un buon successo tra il pubblico rappresentato dai nostri parenti ed amici. Dopo le Olimpiadi di Roma del 1960, nell’oratorio organizzammo una nostra olimpiade; mi ricordo che una gara, tra le più impegnative, era una corsa in bici da piazza Caporivo per salita Santa Croce fino al cortile dell’Istituto. Vinse un ragazzo che fino a qualche anno fa era un chirurgo dell’Ospedale San Leonardo. Il tripode con la fiamma olimpica era collocato sul tetto del caseggiato posto dietro la porta del campo di calcio pavimentato con asfalto, su cui si disputavano numerosi campionati, con relative sbucciature di ginocchia nelle inevitabile cadute.
In estate, andavamo in colonia montana, prima a Isernia e poi a Sicignano degli Alburni.
Era una persona dinamica e poliedrica; organizzò una filodrammatica di cui era anche regista, attore e sceneggiatore. Per simulare i tuoni nelle recite, faceva scuotere tra le quinte, un grosso foglio di compensato; i lampi, si simulavano con la scintilla di due elettrodi che servivano a fornire luce al grande proiettore da 32 mm che stava proprio sul retro al palco. Sul frontale del palcoscenico c’era scritta la frase Castigat Ridendo Mores 1 che noi maccheronicamente traducevamo castiga il moro ridendo.
Prima di ogni rappresentazione, faceva portare dietro le quinte dalle suore della cucina, del vino caldo zuccherato che doveva servire a schiarire la voce. Mi ricordo le commedie “Il monello ed il soldato” e “Lo scoglio delle sirene” di cui ho trovato le foto, che ebbero un buon successo tra il pubblico rappresentato dai nostri parenti ed amici. Dopo le Olimpiadi di Roma del 1960, nell’oratorio organizzammo una nostra olimpiade; mi ricordo che una gara, tra le più impegnative, era una corsa in bici da piazza Caporivo per salita Santa Croce fino al cortile dell’Istituto. Vinse un ragazzo che fino a qualche anno fa era un chirurgo dell’Ospedale San Leonardo. Il tripode con la fiamma olimpica era collocato sul tetto del caseggiato posto dietro la porta del campo di calcio pavimentato con asfalto, su cui si disputavano numerosi campionati, con relative sbucciature di ginocchia nelle inevitabile cadute.
In estate, andavamo in colonia montana, prima a Isernia e poi a Sicignano degli Alburni.
Si grida al miracolo
Qui il caseggiato della colonia si trovava fuori dal paese e la strada, non interessata al traffico automobilistico, era in discesa. Don Giuliano caricava diversi ragazzi su una carrettella con le ruote di cuscinetto a sfere, come era d’uso ai quei tempi e giù fino al tratto pianeggiante; aveva inventato un sistema di frenata con due asticelle di legno da infilare sotto una traversa in corrispondenza delle ruote posteriori. A Isernia, era il mese di luglio del 1962, trascorremmo la prima parte delle festività in allegria e in movimento, con giochi vari e gite alle grotte di Pertosa e al castello Giusso. Poi avvenne un episodio che cambiò per sempre la sua vita e colpì anche noi ragazzi e le nostre famiglie. In una delle escursioni in montagna e precisamente il 21 eravamo andati al santuario della Madonna di Castelpetroso, che era in costruzione. Dopo messa una trentina di noi si eravamo con don Giuliano, la cima della montagna, un’altra metà rimase nei dintorni del santuario. Verso le 9,30 delle urla disperate attrassero l’attenzione del sacerdote. In cima capirono subito che era accaduto qualcosa di grave; uno smottamento aveva ferito alcuni ragazzi, mentre un altro Gaetano B. era stato colpito da un masso più grosso, che gli aveva fracassato il cranio. La situazione sembrò immediatamente disperata, uno dei sacerdoti presenti diede l’Estrema Unzione al ragazzo, ma Don Giuliano non volle arrendersi al destino crudele, prese il ragazzo ormai esanime tra le braccia e corse per più di un’ora giù per i sentieri verso il paese per portalo in ospedale. All’ospedale di Isernia Gaetano ricevette le prime cure, poi fu portato d’urgenza al Policlinico di Napoli dove rimase in coma per oltre dieci giorni. Noi spaventati gli tenemmo dietro. Lui stesso ha raccontato, io non lo ricordo però, che disse a chi gli stava vicino:” Se non hai mai pregato nella tua vita, questo è il momento di farlo’’. Arrivato in paese sempre con il ragazzo in braccio, si inginocchiò davanti ad una chiesa e vide una statua della Madonna con il Cristo morto tra le braccia, proprio come stava lui. In quel momento disse a se stesso:” Se Gaetano non muore, io tornerò in Australia”. Gaetano fortunatamente non morì e don Giuliano, dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta a Roma nel 1963, tornò in Australia. Mi ricordo che gli piaceva stare nel napoletano e, come lui stesso disse, non voleva più ritornare in Australia; amava le nostre canzoni, specialmente quella che iniziava con:”Comm’è bella ‘a muntagna stanotte bella accussì nun ll’aggio vista maje”. Venuti a conoscenza dell’incidente molte famiglie vennero a Sicignano a riprendersi i loro figli, mio padre invece no, aveva fiducia in don Kruse ed in don Giuliano. Venne con la lambretta assieme a mia madre solo per rassicurarsi che io e mio fratello stavamo bene. Ma gli ultimi giorni di colonia non erano più allegri, don Giuliano era triste e nervoso, don Kruse tentava, senza riuscirci, di tenerci in allegria, ma tutto inutile fino al termine, quando l’autobus ci riportò a Scanzano.
Dopo aver preso messa, don Giuliano lasciò Scanzano e non lo abbiamo più visto, ma tutti lo ricordano con affetto e nostalgia. Vedere le sue foto – scattate durante il pranzo di addio agli emigrati trevisani di Melbourne al Veneto Club Bulleen – oggi che ha superato gli 86 anni, non sembra lui. Me lo ricordo alto, snello ed energico ma purtroppo l’inesorabilmente scorrere del tempo non fa sconti a nessuno. Nell’ottobre 2016 ha lasciato quindi definitivamente l’Australia, dopo 52 anni di servizio alla comunità italiana. Sembra che ora stia presso una casa di cura vicino al collegio salesiano di Castello di Godengo, un paesino vicino al suo villaggio natale di Maser, ove vivono ancora otto sorelle e due fratelli. Credo, che moltissimi “giovani settantenni e dintorni” di Castellammare, rivedrebbero volentieri il mitico don Giuliano Cavarzan!
Dopo aver preso messa, don Giuliano lasciò Scanzano e non lo abbiamo più visto, ma tutti lo ricordano con affetto e nostalgia. Vedere le sue foto – scattate durante il pranzo di addio agli emigrati trevisani di Melbourne al Veneto Club Bulleen – oggi che ha superato gli 86 anni, non sembra lui. Me lo ricordo alto, snello ed energico ma purtroppo l’inesorabilmente scorrere del tempo non fa sconti a nessuno. Nell’ottobre 2016 ha lasciato quindi definitivamente l’Australia, dopo 52 anni di servizio alla comunità italiana. Sembra che ora stia presso una casa di cura vicino al collegio salesiano di Castello di Godengo, un paesino vicino al suo villaggio natale di Maser, ove vivono ancora otto sorelle e due fratelli. Credo, che moltissimi “giovani settantenni e dintorni” di Castellammare, rivedrebbero volentieri il mitico don Giuliano Cavarzan!
- correggere i costumi con l’ironia ↩
Grazie Antonio. Lo ricordo molto bene quel suo viso sempre sorridente e sincero da vero uomo di montagna.