Educazione… stradale
Dietro questo titolo amaramente scherzoso si nasconde una realtà ben conosciuta da quei bambini appartenenti a famiglie di ceto medio-basso, vissuti come me negli anni del 1930.
Allora ogni famiglia era gravata da una “chiorma” di figli, almeno 3 o 4. Inoltre si viveva in alloggi abbastanza piccoli, ed i ragazzi, dall’età di 7/8 anni, venivano spinti a giocare per le strade del rione: per me Via S. Caterina – Piazza dell’Orologio – ‘a banchina ‘e zì Catiello.
Il pericolo di essere arrotato da una automobile non esisteva; al massimo potevi cadere dal predellino dei vagoni ferroviari che “assaltavi” per farti portare all’Acqua della Madonna; oppure cadere dal traino sul quale abusivamente balzavi affrontando l’ira del cocchiere che cercava di allontanarti brandendo una schioccante frusta.
Quindi più che la scuola, l’educazione e l’esperienza ce le davano la strada, il contatto con la sua cruda realtà, con le sue cose belle e brutte. Ascoltando furtivamente, con finta noncuranza, i discorsi dei grandi.
Se eri sveglio, furbo e intelligente diventavi quello che si chiama figli ‘e ‘ntrocchia. Cioè riuscivi a sfuggire, e a risolvere, certe situazioni pericolose in cui potevi incappare. Una di queste situazione mi vide protagonista e dalla quale ne uscii con prontezza e senza danni proprio grazie a quelle esperienze. Ecco i fatti:
Mio nonno era un grande importatore di carrube (‘e sciuscelle). Quando i velieri provenienti dalla Sicilia arrivavano con il carico, i sacchi pieni di questa leguminosa venivano depositati in un magazzino che si trovava in Piazza Orologio. Incaricato proprio da mio nonno, il custode e il factotum di questo locale era un omino di piccola statura, untuoso, viscido, cioè una figura poco gradevole. In quel locale io ci giocavo salendo e scendendo da quel cumulo di sacchi, dai quali ogni tanto estraevo un frutto dolce e saporoso e lo mangiavo. Ma a lui dava fastidio questo mio divertimento e con modi sgarbati cercava di impedirmelo. Allora avrò avuto 11/12 anni e portavo naturalmente i pantaloncini corti. Un giorno con un inganno mi attirò a se e lestamente infilò una mano nei calzoncini cercando di toccarmi “là” davanti. Io, sgusciandogli come una vipera, arretrai di un passo e con destrezza e violenza gli sferrai un calcio nel basso ventre, proprio “là”. E mai indirizzo fu più preciso. Scappando fuori dal locale mi voltai per vedere se mi inseguiva, ma lui era piegato in due e con le mani a cucchiaio cercava di trovare sollievo dal dolore che certamente gli aveva procurato quella mia improvvisa e inaspettata reazione.
Questo episodio che ho raccontato ha una morale? Non lo so.
Certo è che oggi è un bene che ai giovani, in grado di capire certi concetti, si parli apertamente di tutto, anche di argomenti scabrosi, trattati però con delicatezza e parole acconce. Oggi i mezzi di comunicazione ci portano a conoscenza di numerosi fatti analoghi che avvengono in tutti il mondo e quindi anche i bambini sanno di cose sgradevoli delle quali possono essere vittime. Ma noi, bimbi di allora, ignari di queste brutture, ai quali certi argomenti erano proibiti, come potevamo difenderci? Io, come avrei potuto fronteggiare una così scabrosa situazione se l’acume, l’intelligenza, la malizia e la prontezza di spirito affinati nel frequentare la “strada” non mi avessero soccorso? Se non ci fosse stata “l’educazione… stradale”?
Gigi Nocera.