Emile de Laveleye a Castellammare
di Giuseppe Zingone
Émile Louis Victor de Laveleye nasce a Bruges il 5 aprile 1822 e muore a Liegi il 3 gennaio 1892. È stato un economista e saggista belga, liberale di tendenze socialiste, pubblicò Lettres d’Italie nel 1880, un libro ricco di considerazioni sul nascente regno italiano post unitario.
Dal 1878 al 1879 visitò il bel paese; a Castellammare alloggiò per diversi giorni all’Hotel Quisisana, (nel Gennaio del 1879) da questo luogo a noi familiare, attraverso delle escursioni, visitò Capri, Pompei e la penisola. Molte delle sue considerazioni sulla politica dei Savoia, troppo attenta agli armamenti bellici e poco ai problemi sociali delle persone, sono ancora attuali.
CAPITOLO XII (libera traduzione)
Castellamare (Hotel Quisisana). Gennaio 1879.
Sono qui in un vero paradiso. L’albergo domina il comune di Castellamare. Ci arriviamo da una strada a zig-zag, sotto una culla di querce secolari e lecci dalla forma strana. Attraverso le loro foglie brillanti, verde scuro, il cielo sembra più blu e le loro ombre tracciano, sulla ghiaia gialla, disegni in movimento di un grigio cenere.
Sopra il giardino, pieno di aranci, limoni e mandarini, due giganteschi pini come ombrelloni stendono le loro chiome aperte a forma di ventaglio. Fiori adorabili ovunque. Le cobee1coprono le balaustre con le loro campane viola; la salvia, di un rosso fuoco, si mescola con le margherite. Le violette profumano l’aria. Da nessuna parte possiamo vedere meglio il Vesuvio come qui. Sorge su un pendio dolce sul golfo. La cima della montagna è tutta nera, e vomita un enorme pennacchio di fumo bianco che il vento porta via quattro o cinque leghe dal cratere in cumuli così fitti da sembrare solidificati. La sera, dalla mia finestra, vedo la bocca del vulcano2tutta rossa per il riverbero della lava nella fusione.
Immediatamente dietro l’albergo si innalzano le montagne su ripidi pendii, tutti ricoperti di castagni. Puoi fare acquisti adorabili lì. Sotto di noi, nel porto, carichiamo le barche a vela che portano le arance di Sorrento a New York. Nell’arsenale, possiamo vedere lo scafo nero e gigantesco dell’Italia l’immensa corazzata in costruzione vanto della Marina Militare Italiana.
Trovo una cucina squisita qui. Una fattoria e un orto sono annessi all’hotel, quindi abbiamo il burro e verdure perfettamente fresche. Da nessuna parte ho mai mangiato un cibo così naturale e accurato allo stesso tempo. Il mio stomaco arrivato stanco, qui è guarito, lo ricordo con gratitudine.
Ratifico il nome della casa Quisisana, Qui guariamo, e lo consiglio a tutti. Visitiamo Pompei in diverse occasioni. Io non mi stanco, e anche se la vedo per la terza volta, la mia impressione è più vivida di quanto non lo sia stata a trent’anni. Quanto diceva la vita antica dalla nostra! Era ben equilibrata e quindi allegra. Com’è tutto allegro in questa affascinante città! I marmi e gli stucchi si stagliano contro il cielo abbagliante. Arabeschi dai colori vivaci adornano tutte le pareti3e i dipinti che rappresentano gli amori degli dèi. Nessuna traccia di malinconia. Anche i bassorilievi delle tombe ci mostrano cacce vivaci, tritoni amorosi che abbracciano nereidi, o le danze delle feste di Bacco. Volevano simboleggiare in questo modo la vita persistente e l’eterna giovinezza? L’esistenza era semplice, anche tra i ricchi: guarda quanto sono piccole le camere da letto. Non c’è quasi spazio per un letto. E per abito c’era una semplice tunica per l’uomo come per la donna, e sopra un mantello o una clamide di lana bianca. Questi sibariti (ricchi, N.d.r.) erano vestiti come i nostri monaci. Nessun cambiamento di moda; pochi armadi e mobili per custodire gli effetti. La sala da pranzo è grande, ci sono un divano per chiacchierare più comodamente ma la cucina è piccola pochi fornelli, perché l’ordinario non è sovraccaricato. Ricorda il menù di Horace. In breve, tranne i mostri di cui Trimalchion è il tipo, 4l’uomo antico ha pochi bisogni e quindi piccole preoccupazioni. È facile per lui dire Omnia mecum porta.5
Il barile di terracotta di Diogene è quasi grande come un gabinetto pompeiano. E poiché l’educazione era mirabilmente compresa, gli antichi stavano attenti a non morire dissanguati, per imparare lingue morte. Rafforzare il corpo,6e flettere i muscoli era la cosa più importante per loro. Trascorrevano lì diverse ore al giorno a fare il bagno, ginnastica, gare, giochi atletici e sempre all’aria aperta mai in appartamenti chiusi e senza sole dove si appassisce, come adesso.
In tutto la casa antica, anche in camera da letto, il sole e l’aria penetrano liberamente. Ci siamo istruiti attraverso le interviste, attraversando i cancelli. Anche la morte era senza tristezza. Noi moltiplichiamo e variamo costantemente le nostre esigenze. Noi quindi moltiplicando in proporzione i mezzi per ottenere la ricchezza in questa incessante ricerca, diventiamo incapaci di goderne Et propter vitam vitae perdere causas.7
A che serve l’opulenza, a che serve il tanto lavoro, a che servono gli onori se il corpo soffre? La salute è l’essenziale. Noi facciamo tutto per riconquistarla quando l’abbiamo persa, ma niente per mantenerla. Non è strano che quelli che lodano incessantemente Greci e Romani ci impongono un piano educativo che è completamente l’opposto di quello che facevano gli antichi?
A Pompei non abbiamo ancora scoperto un quartiere di poveri come quelli in cui vivono gli emarginati delle nostre città attuali. Era perché gli schiavi erano ospitati dai loro padroni e nelle loro case,8come noi facciamo per i nostri animali domestici. La schiavitù ha prevenuto il pauperismo. Fu il fondamento della società. Il lavoro pesante svolto da esseri dotati di forme umane, ma senza diritti e dunque considerati come bestie da soma per l’uomo libero, senza volgari cure, e l’occuparsi dello sviluppo delle sue facoltà è governo dello stato, questa è l’idea che abbiamo avuto dell’ordine razionale.
Il Cristianesimo, portando al mondo l’idea di perfezione e quella di uguaglianza, diffonde il seme delle nostre preoccupazioni e delle nostre rivoluzioni.
Ma questa è la sua grandezza. Assetato di giustizia persegue l’ideale che ci tormenta. Stiamo attraversando un periodo di transizione. Stiamo camminando verso quel regno di Dio, annunciato dal Vangelo, dove gli ultimi saranno i primi.
Le gioie della bestia felice e soddisfatta non si sentono più, come ai tempi del paganesimo e dell’iniquità che esiste ancora alla base delle relazioni sociali non lascia a riposo né chi ne soffre, né chi ne approfitta. Non è un abitante di Pompei colui avrebbe detto con Musset: In fondo ai vani piaceri che chiedo il mio aiuto, provo un tale disgusto che mi sento morire. Le popolazioni intorno a Napoli sono le più felici9e gioiose d’Italia. Il clima è così dolce, la terra è così fertile!
Anche in povere abitazioni di campagna, regna la pulizia. Il letto in ferro, con una bella coperta bianca, è molto pulito. A volte sentiamo risate e cantare. Tuttavia, le persone si lamentano. Si rammaricano delle cipolle egiziane dell’epoca dei Borbone. Il prezzo del cibo è raddoppiato o triplicato e i salari non sono aumentati in proporzione. I mezzi da impiegare no, non si sono sufficientemente moltiplicati. Ci vorrebbe più iniziativa, più genio imprenditoriale tra coloro che detengono il capitale.
O tu che governi l’Italia, abbi pietà delle povere persone! Non aumentare le tasse e abbassa le spese. L’attacco del Passannante è un avvertimento.10Nelle risposte del suo interrogatorio s’intravede ciò che passa nel cervello di chi è irritato dalla situazione di cui soffrono le classi minori. Se ho colpito il Re Umberto, dice Passannante, è perché è nato da un padre che si è arricchito con le tasse sulla macinatura. Odio, aggiunge, i tiranni e le miserie che creano. Cristo, con la sua barca e con la sua dottrina salverà il mondo; ma noi, noi dobbiamo combattere con le armi e la rivoluzione. Il Parlamento continua a votare finanziando milioni per fortificazioni, per navi corazzate, per uniformi, per fucili, per palazzi11e archi trionfali. Non vede che si sta preparando il terreno delle rivoluzioni politiche e sociali.
Se consideri che tutto questo edificio così costoso, presumibilmente eretto per mantenere l’ordine, non ha altro effetto che creare miseria a chi lavora, c’è da meravigliarsi se nei loro cervelli turbati nasce l’idea di distruggere la macchina che li schiaccia?
Grazie alle indicazioni del sindaco di Castellamare, sig. Scherillo, e del sottoprefetto, conte Gabardi, ci viene mostrato in tutti i suoi dettagli l’arsenale e la colossale corazzata che vi è in costruzione, l’Italia. L’Italia è più grande del famoso Duilio, di cui tanto si è detto. Avrà cannoni da cento, forse centoventi tonnellate. La nave è così enorme che per le più piccole manovre sarà necessario utilizzare il vapore, e per trasmettere gli ordini, il telegrafo elettrico.
Costerà ventiquattro milioni, e tanto il Lepanto, quanto il Duilio e il Dandolo ventidue milioni. Queste quattro navi, armate ed equipaggiate, ammonteranno quindi a cento milioni.
Non esito a dire che questo è folle (Leggi anche: I cantieri di Castellammare alla vigilia della Grande Guerra.)
Non puoi sopprimere un sentimento di indignazione quando vediamo la miseria della popolazione rurale. io ritengono, inoltre, che le strutture del tipo Italia non rendernno alcun servizio. Sono destinati a visitare il fondo del mare al primo incontro. La torretta perché i cannoni e la sala macchine sono12le uniche parti veramente invulnerabili.
L’intero scafo dell’edificio è in lamiera sottile, due o tre centimetri al massimo. È doppio, è vero, e la parte in mezzo sarà riempita di carbone. Inoltre l’edificio è diviso in un gran numero di scomparti stagni, in modo che possa essere raggiunto e forato dalle palle senza affondare. Ma supponiamo due o tre di questi compartimenti vengano forati, qualsiasi palla lì penetrerà, non appena l’acqua entra, l’edificio perde necessariamente parte della sua velocità e manovrabilità e, quindi, va perduto. Una nave ariete, piccola ma veloce, l’affonderà senza difficoltà.
Tutto così come a Lissa, Tegethoff [12 Wilhelm von Tegetthoff, a volte citato anche come Guglielmo di Tegetthoff nato a Marburgo, i 23 dicembre 1827 e morto a Vienna, il 7 aprile 1871, è stato un ammiraglio austriaco, artefice della vittoria della flotta austriaca nella battaglia di Lissa.]affondò le corazzate italiane con le sue navi di legno. Queste costruzioni colossali sono le prede designate delle torpediniere e barche di pesce spada.
L’Italia ha dodici corazzate; ma ce n’è solo quattro o cinque che sono in grado di prendere il mare, e quasi nessuna in crociera. Diamo agli ufficiali di marina un eccellente istruzione teorica, ma la pratica li fa difetto. La bandiera italiana si vede appena nei mari lontani. Tutti i soldi a disposizione sono spesi per costruire navi da guerra gigantesche che nessuno saprà come gestire. Prepariamo con cura gli elementi di una nuova e colossale Lissa.
Non è così che stanno facendo gli Stati Uniti, ai quali13però i soldi non mancano, visto che tutti gli anni ripagano tre o quattrocento milioni del loro debito.
Mantengono le loro vecchie navi che mandano soprattutto nei mari, e così si formano bravi marinai, che è l’essenziale. Le innovazioni sono così comuni, ma la costruzione di una nave appena completata perde di valore. Noi stimiamo che l’Inghilterra abbia un totale di tre navi serie. L’Italia voleva avere corazzate più potenti rispetto a quelli di altri Stati, ma non forma gli uomini che le dovranno manovrare. Li sprechiamo milioni per realizzare le idee spesso chimeriche dei ministri che si susseguono. A che serve l’intera flotta di corazzate? Non è via mare che la Francia o l’Austria invaderà mai l’Italia. L’era degli sbarchi è superata, per due motivi. Primo, gli eserciti sono troppi e poi, grazie alle strade di ferro e ai telegrafi, possiamo immediatamente portare forze maggiori nel punto in cui atterra il nemico. Come avrebbero potuto nel 1854 gli inglesi e i francesi mantenersi in Crimea, se la Russia avesse avuto le ferrovie? Nel 1870, la Francia dominava completamente il mare a cosa serviva?
Questo è ciò che rende l’Inghilterra così debole oggi. Quali sono i cinquantamila uomini che lei14può lanciare su entrambe le coste? (Leggi anche: La flotta inglese a Castellammare)
Un po’ di più di un corpo d’armata e lì la Russia ne ha venti, la Germania e la Francia o l’Austria altrettanto. Poveri contadini italiani. Che miserie, che sofferenza, quante lacrime e anche quanti vizi e i crimini rappresentano i cento milioni che costeranno queste quattro corazzate.
Follia colossale e colpevole! Parlo con l’ufficiale che ci guida; la marina mercantile d’Italia da alcuni anni, soffre crudelmente. Non molto tempo fa noi avevamo costruito centomila tonnellate di navi all’anno. Nel 1877, siamo scesi a quarantatremila, nel 1878 a trentatremila e in questo momento i cantieri della Liguria sono deserti. Il tonnellaggio totale è diminuito di diecimila tonnellate nel 1877 e quarantamila nel 1878. Il deputato Boselli e il Professore di Economia politica di Genova, Virgilio,15ne hanno indicato le ragioni. Il trasporto è stato drasticamente ridotto, di 15, 20 e 30 per cento. Perché?
Primo, perché la crisi l’industria generale ha ridotto la quantità di merci da trasportare: causa transitoria. In secondo luogo, a causa della concorrenza dei piroscafi. Le navi italiane sono fatte di legno, a vela e di piccolo tonnellaggio.
L’economicità del ferro e del carbone permette (1. Alcuni ufficiali della marina italiana, tra gli altri il conte Lovera di Maria, attaccò questo passaggio, (Ma la stampa mi ha difeso bene) ossia di costruire16grandi scafi a basso costo lunghi e velocissimi da 2.000 a 3.000 tonnellate. L’equipaggio non aumenta in proporzione alla stazza, e siccome il battello a vapore fa tre o quattro viaggi mentre la barca a vela ne fa uno, il capitale e il personale danno un effetto utile triplo o quadruplo quindi enormi risparmi. Con le nuove caldaie viene utilizzato tre volte meno carbone. Invece di tre chilogrammi all’ora e per cavallo, non te ne servono più d’uno. Ne consegue che i vapori tendono a sostituire le barche a vela.
È una rivoluzione inevitabile. Nel 1873 fu stimato il tonnellaggio generale del mondo a 14 milioni e mezzo di tonnellate a vela e 3 milioni e mezzo di tonnellate a vapore. Nel 1879 abbiamo contato 14.300.000 tonnellate a vela e 6 milioni di tonnellate sotto vapore. Questi sono quindi quasi raddoppiati. Che cosa può fare la marina italiana? Acquista vapori di ferro in Inghilterra. Per il materiale, l’economicità del ferro e il carbone dà un deciso vantaggio agli inglesi; ma, sulle navi costruite in Inghilterra, gli italiani possono navigare sul mercato migliore, perché i marinai sono più sobri e gli ufficiali meno pagati. Se, attraverso i diritti di protezione, noi costringessimo gli armatori a costruire le navi in ferro in Italia, il prezzo di costo sarebbe troppo alto e la concorrenza impossibile a causa di interessi e il deprezzamento di un capitale molto più grande.17
La strada da Castellamare a Sorrento è molto bella, e c’è la vista del Vesuvio e di Napoli. Ma questa via è più selvaggia e più africana, siamo qui a mezzogiorno e protetto dal vento del nord. Questo è un altro tempo metereologico. Ravello e il suo castello moresco abitato da un inglese, che ne ha fatto un paradiso, anche tutto questo è incomparabile. Da Amalfi ci porta una barca in cinque ore a Capri. I barcaioli sono contenti. Cantano le canzoni napoletane: Ci son tre sorelle e O Pescator dell’Onda. Eppure si lamentano. La vita è diventata così costosa. Il prezzo del pane è più che raddoppiato e gli stipendi non l’hanno seguito. Non rimpiangono i Borbone, ma i vecchi tempi di vent’anni fa. Se fossero elettori, voterebbero chi prometterebbe loro un miglioramento, per il prete, per il repubblicano o piuttosto ancora per l’Internazionale.18
(Sempre su Capri) Lo scirocco solleva le onde che vengono dall’ampio infrangersi sugli scogli della piccola marina. Tra le pietre, nell’acqua trasparente, cerchiamo animali marini. Non ne troviamo nessuno come sulle nostre spiagge; nemmeno le alghe. Molto pochi i gabbiani o altri uccelli marini. Sembra che questo mare sia troppo limpido, troppo puro per nutrire piante o esseri viventi. Anche io sono stupito dalla scarsità di pesce. In albergo qui e a Castellamare,19ci viene servito tutti i giorni, ma è sempre triglie, aguglie con aghi verdastri o sogliole molto piccole. Non vediamo qui, sul mercato, questa varietà di pesci grandi che abbondano da noi. Il mio stimato collega e amico Van Beneden,20che è ad Ischia, fa questa osservazione.
Anticamente, le donne di Capri avevano un bel costume colorato che sembrava dipinto da artisti. Ora eccoli fino al collo in cotone viola. Quando venimmo qui vent’anni fa, portavano ancora all’esterno il corsetto dai colori sgargianti, che sorreggeva la camicia gonfia. Da allora, i sacerdoti mossi da questa indecenza, hanno imposto un indumento che copre la parte superiore del corpo, come ovunque, è una brutta giacca di cotone che sostituisce il grazioso costume di una volta. Addio Capri, la più affascinante delle isole; la visita si chiude con rammarico. Qui, almeno, ho potuto godere delle bellezze della natura senza rattristarmi alla vista del miseria e sofferenza umana Approfittiamo di una grande barca da cui prende la farina Torre del Greco e che ci lascerà a Castellamare. Il mare è pesante. Il cielo è senza nuvole, ma velato in una foschia cinerea. Galleggiano sull’acqua delle pietre pomice biancastre, che la recente tempesta ha strappato alle ceneri vulcaniche d’Ischia. Il Vesuvio manda ben oltre Napoli il suo pennacchio di fumo.21
Lo scirocco soffia ancora, ma senza violenza. Attraversando la piazza di Castellamare, noto, alla porta di una baracca, i manifesti di una fiera rappresentazione. Eccoli: Si rappresenta la 61a parte di Orlando intitolato: L’arrivo di Rinaldo e Isoliere alle bocche della Senna. Ossia l’indorato carro di Galerana, Clarice e la gran lotta sostenuta da Rinaldo. Orlando Furioso e Antiforte di Barrosia. L’Ariosto, dunque, serve ancora cibo intellettuale alla gente comune, ai marinai e ai lavoratori del porto. Le campane suonano a tutto volume. Nelle chiese, mettiamo ai santi e alla Vergine i loro vestiti più belli e le colonne sono ricoperte da una guaina di cotone rosso. Domani è domenica. Le cerimonie del culto cattolico sono quasi l’unica distrazione dei popoli del sud.
Occupano l’immaginazione e incantano gli occhi. Sostituiscono le feste del paganesimo. È grazie a loro che il popolo resta attaccato al cattolicesimo. La fede tuttavia, non è più quello di una volta. Cominciamo a ridere delle vecchie superstizioni, ma non rinunciamo all’emozione delle feste religiose. Siamo increduli, ma adorniamo l’altare del santo della parrocchia.22
Al ritorno da Capri, mi fermo di nuovo qualche giorno nel nostro Eden di Castellamare, a leggere i libri che ricevo da tutti i lati. Il ministro dell’Agricoltura. Majorana Calatabiano,23 cortesemente mi ha inviato le segnalazioni dei funzionari sui raccolti in Italia e sul miglioramento della campagna romana, nonché un atlante agricolo molto interessante.24
Articolo terminato il 12 settembre 2021
- Genere di arbusti rampicanti appartenenti alla famiglia delle Polemoniacee, tipica della flora tropicale americana con fusto alto fino a 20 metri, fiori a corolla campanulata e foglie composte. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 291. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 292. ↩
- Trimalcione o anche Trimalchióne è un personaggio inventato protagonista di un largo frammento del Satyricon di Petronio. ↩
- Locuzione in lingua latina, usata per esaltare le doti dell’animo rispetto ai beni terreni. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 293. ↩
- Forse una citazione dalle Satire di Giovenale: Per turpissima cosa avrai l’anteporre la vita all’onore, e pur di salvare la vita, perdere ogni ragione di vivere. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 294. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 295. ↩
- Giovanni Passannante nacque a Salvia di Lucania il 19 febbraio 1849 e morì a Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910, è stato un anarchico italiano. Nel 1878 fu autore di un fallito attentato alla vita di re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 296. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 297. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 298. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 299. ↩
- Jacopo Virgilio, nacque a Chiavari il 18 agosto 1834 e morì a Genova nel 1891, patriota, economista, giurista, fondò a Genova l’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali. Diresse: Il commercio di Genova, La Borsa, Il Giornale degli operai. Contribuì a risolvere i problemi del porto di Genova e scrisse numerose opere di diritto e di economia marittima.. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 300. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 301. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 311 e 312. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 324. ↩
- Édouard Joseph Louis Marie Van Beneden, nasce il 5 marzo 1846a Lovanio e muore il 28 aprile 1910 a Liegi, è stato un embriologo, citologo e biologo marino belga. Fu professore di zoologia all’Università di Liegi. Ha contribuito alla citogenetica con i suoi lavori sul nematode Ascaris. In questo lavoro ha scoperto come i cromosomi hanno organizzato la meiosi (la produzione di gameti). ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 325. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 326. ↩
- Salvatore Majorana Calatabiano nacque a Militello in Val di Catania il 24 dicembre 1825 e morì Roma il 23 dicembre 1897. E’ stato un economista e politico italiano. Capostipite della famiglia Majorana Calatabiano, fu senatore del Regno d’Italia nella XIII legislatura e ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d’Italia nei governi Depretis I e Depretis III. ↩
- Émile Louis Victor de Laveleye, Lettres d’Italie: 1878-1879, BRUXELLES 1880, pag. 327. ↩