La Funivia

Faito

Faito

di Giuseppe Zingone

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Passeggiando sul lungomare della Villa Comunale in direzione Hotel Miramare, non puoi evitare di notare che sullo sfondo di questo suggestivo panorama, oltre il mare si erge fiero il Vesuvio, questa montagna fumante, per usare un termine moderno oggi in “Stand by”, è per il cittadino stabiese (e dell’area vesuviana in genere) causa di turbamento e di continua preoccupazione, a motivo del suo passato funestato di vittime e degli interrogativi che suscita in tal senso il suo futuro e di conseguenza anche il nostro. L’eruzione del 79 d.C. raccontata da Plinio il Giovane è provvista di molte notizie riguardanti i moti viscerali della sua eruzione, gli scavi di Stabia sono invece i testimoni illustri e ancora viventi (anche se in cattivo stato e dimenticati) di tale avvenimento; secondo Giuseppe Marotta nel suo libro “L’oro di Napoli”, la morte rimane la più antica cittadina delle nostre terre e io aggiungo il “Vesuvio è stato spesso la sua falce”; penso che qualche anziano ricorderà sicuramente ancora la sua ultima passionale eruzione del 1944, la quale ci fa proferire senza ombra di dubbio che il Vesuvio è proprio napoletano… sa quando tacere e quando farsi ascoltare, il suo torpore non deve ingannare e ricorda proprio la gente di questa calda e burrascosa terra, che quando vuol farsi sentire ha bisogno di gridare la propria disperazione dal profondo dell’anima.

Allo stesso modo però, tornando indietro per quello stesso percorso iniziale, stavolta in direzione banchina ‘e Zì Catiello, non si può non guardare con ammirazione un altro fiero gigante; il Faito, il dirimpettaio naturale del Vesuvio. Il Faito suscita negli stabiesi sentimenti diametralmente opposti allo “Sterminator Vesevo” di leopardiana memoria: luogo ameno di passeggiate, delizia dello sguardo con la sua folta vegetazione che si inerpica sino alla cima, gioia dei fanciulli che ancor oggi con i genitori vi raccolgono le castagne nel periodo autunnale, suolo d’amore e di sfida per gli escursionisti. Anche il serafico Faito comunque ha vissuto le sue tragedie a volte naturali, ma spesso causate dall’incauta mano dell’uomo. Spesso Faito è stato anche lo spicchio di cielo dove i giovani hanno condiviso i loro primi amori, lo è stato per me e spero sia ancora così… Faito paradiso dell’ozio per chi vuol rigenerarsi o luogo di preghiera e di ascesi mistica come insegna la vita del nostro Santo patrono Catello e del suo fratello nella fede Sant’Antonino. Mi spingerei oltre dicendo che il Faito è un sacrario spirituale per l’animo umano, spesso sottovalutato, trascurato e ignorato dai suoi avventori ed amministratori. Aver cura di questa montagna dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti, infinita risorsa naturale e perché no, economica di Castellammare di Stabia;

La situazione attuale:

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Giungere in località Quisisana, cioè sui Boschi, è ancora agevole e da Castellammare ci si impiega un tempo assai breve sia con i mezzi che a piedi. Bisogna constatare però il cattivo stato in cui versa da anni la strada da Castellammare per il Faito, e quindi la sua non percorribilità con l’automobile, del resto ancora possibile a piedi per i più audaci. Ricordiamo la strada per Vico Equense in macchina o con l’autobus. Ma se davvero si vuole vivere un’emozione unica ed intensa non si può rinunciare alla funivia, solo otto minuti per percorrere un tragitto di quasi tremila metri e portarsi così a quota 1100 m sul livello del mare.

La storia: Sento l’acre odore del sudore mescolarsi a quello cristallino e dolce della montagna… D’estate spesso di Domenica frequentavamo il Faito, i miei genitori si adoperavano in cucina per preparare i cibi che poi infaticabili borsoni avrebbero trasbordato fino alla stazione della Circumvesuviana, a farci compagnia anche i mitici tavolini dal cui interno comparivano miracolosamente le sedie, sedie instabili come un edificio malfermo; avere un piatto (di carta) tra le mani, mangiare, e rimanere saldi su quelle sedute era come rimanere immobili durante un terremoto.

'A Panarella blu

‘A Panarella blu

Ah…. quando dico funivia intendo ‘a panarella blu, proprio quella che al superamento di ogni pilastro ti faceva planare il cuore nelle scarpe. Quella sulla quale mia zia Gina una volta fatta la prima esperienza, fermamente decise di non mettervi più piede, colpa di quei vuoti d’aria di cui ho appena accennato. Pensate che la nostra presenza sul Faito era talmente sistematica che ancora oggi rivedo con piacere una fotografia della Funivia che si trova nella pizzeria del caro amico Gaetano Cesarano e nella quale distintamente si vedono mio padre con mia sorella Annalisa in braccio e mia madre con me e mia sorella maggiore.

La Funivia

La Funvia della ex Pizzeria da Biagio

In genere ci si dava appuntamento alla stazione della Circumvesuviana ognuno col proprio fardello ed in più con la propria nidiata di cuccioli, naturalmente i tempi non coincidevano per tutti, ma avevamo un nostro punto di riferimento sul Faito. Il campo base andava raggiunto velocemente affinché nessuno occupasse il suolo che presumevamo aver ereditato per concessione divina ed al quale si accedeva da quella scala che ancor oggi fiancheggia la stazione a monte della funivia dove prendevamo posto ai piedi di alcuni pini che spesso ci hanno dato una mano a distendere un’amaca per la gioia dei più piccoli. I momenti di libertà che vedevano noi ragazzi gli attori principali della domenica al Faito, era lo spazio che intercorreva tra l’arrivo al punto d’incontro e l’ora sacra del pranzo; e allora via a corse, piccole escursioni, guerre di pigne, alla osservazione degli spazi circostanti, la raccolta di more, fragoline, lilium davidii. Del bar della Funivia ricordo il Juke Box ed alcune interminabili sue canzoni, le prime sperimentazioni dei suoni elettronici; Donatella Rettore di cui ricordo il ritornello Dammi una lametta che mi taglio le vene, Alberto Camerini con Rock’n’Roll Robot, Pupo e il suo Gelato al Cioccolato, le Cicale di Heather Parisi, che veniva eseguita anche da mia cugina Annabella, inoltre una novità che presto avrebbe ingarbugliato le nostre vite, il mondo del virtuale, i primi video games rudimentali, ma che già esercitavano il loro profondo fascino sugli uomini e che oggi silenziosamente ed in maniera impersonale invadono le nostre vite… ricordate il sottofondo di Space Invaders? I genitori hanno verso i propri figli (soprattutto se meridionali) una solerzia alimentare continua; “facimme magnà prime ‘e criature” oppure “n’atu poco a mammà” questa poi è fantastica “l’urdemo muorzo è d”o Rre” ancora oggi fatico a comprendere perché ‘o Rre volesse per forza questo ultimo boccone di qualsivoglia cibo; la famiglia napoletana poi, tende sempre ad ingozzarti come un maialino ripieno tutte le feste finiscono a tavola, sarà che i nostri genitori hanno vissuto momenti di certo meno lieti, ma in questo caso a Faito…non ve n’era bisogno “Sarrà l’aria…” la fame diveniva davvero incontenibile e noi sempre i primi ad apprestarci a divorare tutto e di più, del resto chi legge, anche se non stabiese, avrà capito di certo cosa si ammassava in quegli enormi borsoni. La domanda è puramente retorica… forse non è neanche una domanda… Mancava solamente tutto quello che il Buon Dio non aveva permesso di cucinare a mia madre e alle sue sorelle e cognate, si capisce per ragioni di tempo… dall’antipasto al dolce, passando dalla pizza di pasta con le sue sfumature e sperimentazioni familiari, alla pasta al forno ancora tiepida, alla carne da arrostire successivamente, ‘e pizzelle ‘e mulignane e via discorrendo, senza annoiarvi con ulteriori sapori che potrebbero indurre il lettore a pregustare i cibi suddetti e ad obbligare le proprie inconsapevoli mogli e madri ad adoperarsi per una gita fuori porta nella propria sala da pranzo.

Ho nostalgia di questi momenti di festa, la presenza degli amici dei miei cugini più grandi che rendevano ancor più allegra l’intera brigata, un po’ meno delle interminabili partite a Ramino, Scala 40, Stoppa, nelle quali tutti venivano coinvolti, ragion per cui a dieci anni ero già consapevole della noia mortale che mi avrebbero arrecato quei passatempi e decisi di accantonarli, [passatempi?] che per di più mi distoglievano dalle altre attività ludiche e ricreative proprie degli adolescenti… quanto amavo correre fino alle antenne, le corse poi innalzavano colonne di polvere pronte a coprire tutto come la cenere del Vesuvio, percorrere quegli spazi significava anche osservare da vicino le altre famiglie come noi accampate in anfratti seminascosti quasi a celare agli invadenti occhi degli adolescenti le proprie vettovaglie, l’osservazione in realtà aveva l’unico scopo di scovare una faccia amica e perché no, il volto di una coetanea carina.

Belvedere

Belvedere, cartolina Giuseppe Zingone

Dopo le Antenne ancora di corsa verso il Belvedere, senza pensare neppure per un istante di potersi rompere il collo… per quel sentiero che si trova tra la stazione e l’hotel Faito. Quando il sole ormai stanco anch’esso del nostro girovagare, iniziava a percorrere la strada del riposo e a donare alla natura dei colori più dolci come quel turchese intenso e qualche sfumatura d’arancio che ho impressi nella memoria, i grandi cominciavano a rassettare i contenitori a sistemare le buste da buttare via; si riponeva qualche plaid che inizialmente era servito a delimitare il sacro luogo sul quale avevamo bivaccato, si spegneva con attenzione la cenere di un fuoco che non molte ora prima ci aveva deliziato arrostendo la fumosa carne napoletana (chissà perché da noi, ogni cosa che va arrostita produce un fumo spropositato…!), si nascondevano i sassi per le successive braci; insomma tutto volgeva al termine, qualche richiamo per riportare i più giovani ad un improbabile ordine e di nuovo via di corsa a fare la fila per la discesa nella montagna russa su piano inclinato che appartiene solo agli stabiesi ‘a panarella blu. Oggi a ripensarci quelle giornate mi sembrano delle enormi maratone. Dopo aver salutato e congedato tutti, veloci fino a casa per essere ripuliti della polvere che aveva incrostato ogni centimetro della nostra pelle ancora umida di sudore, ricordo che dovevo sforzarmi continuamente di deglutire poiché il passaggio così veloce da un’altezza ad un’altra mi otturava le orecchie; poi a letto per il meritato riposo, domani è Lunedì si va al mare alla Calce e Cementi a Pozzano.

Caro Faito ci si vede Domenica prossima, e Tu, Gesù, me raccummanno nun fa chiovere…!

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