articolo del Dott. Carlo Felice Vingiani
L’invenzione della fotografia è databile al 1839, anno in cui il francese Louis Mandé Daguerre e l’inglese William Henry Fox Talbot ufficializzarono la loro rivoluzionaria scoperta e le procedure che avevano rispettivamente impiegato per arrivare ad imprimere un’immagine su carta.
Appena un paio d’anni dopo, nel 1841, un altro inglese, Sir Charles Wheatstone, trovò il modo per utilizzare la nuova invenzione al fine di creare immagini che oggi definiremmo “in 3D”.
Il principio, in realtà piuttosto semplice, era basato sulla nostra capacità -definita visione stereoscopica– di vedere le cose in rilievo, grazie all’impiego combinato dei due occhi. Essi guardano l’oggetto da direzioni differenti l’uno rispetto all’altro, e le due immagini, lievemente diverse fra loro, vengono elaborate dal cervello per ricavare la percezione della profondità.
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Gli stereoscopi progettati da Holmes (a sinistra) e da Brewster (a destra)
Lo strumento grazie al quale si poteva ottenere questa visione fu chiamato Visore Stereoscopico, Stereovisore, o Stereoscopio. Rispetto a quello originale, nel corso degli anni furono sviluppati modelli più complessi e funzionali, grazie ad Oliver Wendell Holmes e a David Brewster.
L’apparecchio era costituito da un visore provvisto di due lenti, da un distanziatore alla cui estremità veniva posta una coppia di immagini gemelle e da un separatore che impediva che gli occhi incrociassero i rispettivi coni visivi.
Anche la procedura attraverso cui venivano scattate due fotografie da angolazioni lievemente diverse, tali da trarre in inganno l’occhio umano, richiese una prolungata fase sperimentale. Alla fine il metodo che risultò più pratico fu quello che impiegava fotocamere doppie, con due obiettivi ed altrettanti otturatori, che scattavano simultaneamente grazie ad un unico pulsante attivatore.
I soggetti in formato stereoscopico che, sul finire dell’800 e l’inizio del ‘900, erano maggiormente richiesti dall’alta borghesia riprendevano panorami, monumenti, immagini naturalistiche o erotiche e così, anche Castellammare, meta privilegiata del Grand Tour, stazione termale, balneare e polo culturale di spicco, richiamava i fotografi dell’epoca, alcuni dei quali riprodussero anche scorci in stereoscopia.
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