Gennaio, un anno a Castellammare
di Giuseppe Zingone
È dopo Dicembre che ci si scopre più soli, le giornate sembrano tediose, le luci natalizie sono ormai spente da tempo ed insieme ai presepi riposte in soffitta. Qualche chilo in più fa di noi dei fiacchi plantigradi, a causa del freddo, ci sarebbe gradito un flessuoso letargo per svegliarci più in là, in un tempo senza tempo, dove il riposo è legge ed il frastuono della vita quotidiana è solo un sogno.
È Gennaio austero, dispotico e risoluto, un mese che ben rispecchia il carattere, dell’astuto Generale Inverno.
Si, proprio Lui ha messo gli occhi su Castellammare, il suo intento è conquistarla prima di Primavera e farne la sua residenza personale avanzando pretese anche sulla restaurata Casa Reale.
Come Silla, ha in mente di metterla a ferro e a “gelo” assoggettandone la popolazione per schiavizzarla, farne uomini e donne incapaci di reagire alla riconquista dei propri diritti, una umanità apatica, gelida, litigiosa.
Castellammare secondo il nuovo tiranno, possiede una mirabile posizione ad anfiteatro che fa di essa il luogo ideale da cui approntare la conquista della capitale del Regno, Neapolis; inoltre le sue famose officine potrebbero rivelarsi utili per l’armamento e l’invasione dal mare; ed il suo cantiere navale fornire in tale circostanza i bastimenti necessari al trasporto delle truppe.
Scegliendo però una soluzione inadeguata e discutibile ha deciso di impossessarsi della nostra amata Città, valicando il Faito e servendosi dell’audacia del Colonnello Gelo, il quale avanza con passo greve frantumando tutta la vegetazione che si trova dalla cima fino a Quisisana. “Nessuna resistenza sino al mare” annuncia trionfante il glaciale ufficiale, “solo qualche sparuto cane ad abbaiare”. I Cittadini infatti si sono rinchiusi in casa protetti dalle sole stufette elettriche e termosifoni, in alcuni casi egregiamente sostituite da moderni climatizzatori le cui più crude e feroci parole sono: Kilowatts e BTU.
In Villa Comunale l’apoteosi, tra i pochi platani, calvi di foglie, quasi rachitici, le truppe del Generale si accampano, invadendo anche l’arenile e ghiacciando peraltro piccoli specchi d’acqua formatisi sulla sabbia nei quali si dilettava a contemplarsi il pavoneggiante Vesuvio.
Lo scopo principale del nuovo insediamento è controllare la popolazione e possibili sovversivi, ma anche poter scrutare senza esser visti l’antichissima Neapolis, la bella Partenope. Frattanto il Generale dopo la sua incoronazione a Principe di Castellammare avvenuta nel magnifico Duomo, davanti a tutte le autorità cittadine, risale pigramente lo stradone di San Giacomo con la sua nutrita corte Reale, si accomoda nella nuova Reggia e vi si crogiola come un villeggiante alle Terme.
Tutto come previsto pensa l’oppressore il tempo guadagnato offre nuove prospettive di conquista, è il diciotto Gennaio.
Alla Processione del Santo Patrono, l’indomani, il simulacro di San Catello si ritrova orfano di figli, accanto a lui alcuni gendarmi locali con le aste del Pallio e qualche sconfortato annoso prelato. Anche la festa patronale sembra spegnersi nel freddo grigiore delle mutevoli nuvole in agguato.
Verso le ore 12.00 invece un accadimento del tutto naturale, (un miracolo per i credenti) colpisce in pieno volto il Generale Inverno, si tratta di un esiguo, impalpabile e soffice raggio di sole, che si tramuta in uno sberleffo e nello stesso tempo in uno schiaffo per il malvoluto Re.
L’antico detto stabiese “A Santu Catiello ‘o sole p’‘o Castiello” mina improvvisamente i progetti del despota, lento ma feroce un cattivo presagio si insinua tra i pensieri del Generale.
E come l’evangelico chicco prima muore e poi risorge moltiplicandosi in una spiga, così la storia insegna che al contrario i Regni troppo grandi si frantumano in mille staterelli, così il malumore del Re cagionò le sue prime vittime, proprio i suoi militi. Alcune sue disposizioni, infatti ne minarono la libertà e persino la fiducia, portando sconforto e astio per un condottiero divenuto niente più che un vacanziere riverso su un triclinio circondato da “giarre” d’acqua Acidula e biscotti di Castellammare.
Nella nostra Città, questi poveri sbandati, trovarono una casa, più d’uno mostrò interesse per le bellezze locali, riscoprirono la gioia della dolce collina e la culla materna del mare per il proprio riposo. Iniziarono così le defezioni. Molti soldati si persero nei nostri vicoli e nelle piazze, che pure deturpate offrono ancora la loro buona dose d’accoglienza e serenità, molti s’impigrirono nelle pomeridiane sieste, alcune vecchie abitudini come offrire il caffè, magari “cu ‘na presa r’annese” sciolse definitivamente il freddo cuore degli armigeri che passarono a piè pari nella vita sociale della Città.
Alcuni di essi presero a cuore piccoli orticelli, risistemati a fiori ed ortaggi, nella zona del Centro Antico prospiciente la Circumvesuviana, tra l’acuto odore d’acqua solfurea e tufo ripresero a fruttare gli aranceti, la vita si riaffacciò per le strade, le parole come “amicizia” consolidarono nuovi sodalizi, le voci dei bambini ripresero a riecheggiare per le strade.
Anche i cortigiani del Generale divennero sempre più taciturni, nei suoi confronti; talvolta si eclissavano per intere ore per ricomparire copiosamente arrossati, il Generale temerario guerriero era pur sempre uomo moralmente integro e mai avrebbe tollerato atti di libertinaggio tra i suoi famigli, un giorno la sorte lo condusse nelle coloratissime cucine della Casa Reale, uno strano baccano lo aveva indotto a tralasciare nuove leggi e futuri piani di battaglia e così com’era, in pigiama, rigorosamente gessato con il proprio emblema di famiglia ricamato sul taschino, scorse tutti i cortigiani persino il menestrello ad abbuffarsi davanti ad un fumante e altrettanto nobile ragù, figlio minore del Vesuvio, ma composto di spaghetti.
Fu la disfatta, tutti ormai annegavano in un “novello Gragnano”, come in un incantesimo furono trasformati in popolani, si scherzava si ballava, si dimenticava il passato; fu come per Cesare essere accoltellato dal figliastro; “Tradimento!…”, gridò il Generale mentre gli astanti passavano al secondo piatto e una immensa frittura di pesce si interpose tra lui e la corte, nessuno si accorse della sua regale ed evanescente presenza.
Solo e impotente si ritrovò sulla bella terrazza che dipinge il nostro Golfo, mentre il sole piange le sue ultime lacrime rosa, straziato perché troppe ore dovrà attendere per il prossimo addio, il Generale pensò bene di imbarcarsi sulla sua nuvola a forma di veliero, trascinando con sé qualche foglia di castagno, non fu notato poiché l’intera popolazione si godeva il cielo cobalto disseminato d’argentee stelle.