Ritratto di Giacinto Gigante

Giacinto Gigante e Castellammare

Giacinto Gigante e Castellammare

di Giuseppe Zingone

Ritratto di Giacinto Gigante

Ritratto di Giacinto Gigante

La presenza di Giacinto Gigante maestro della scuola di Posillipo1a Castellammare, non è solo un caso o semplicemente dettata dalla necessità di sbarcare il lunario per la famiglia numerosa, la sua fattiva operosità nella nostra città ed il numero copioso di dipinti che la ritraggono, che l’hanno per soggetto, lasciano intendere una sorta di predilezione che il pittore aveva per Castellammare e dei paesi del napoletano “leitmotiv” della corrente pittorica di cui era maestro.

Giacinto Gigante, Laura Gigante, Castellammare 1834, tecnica mista su carta 28,5x21 firmato in basso a destra Mia figlia Laura Gigante Castellammare 1834

Giacinto Gigante, Laura Gigante, Castellammare 1834, tecnica mista su carta 28,5×21 firmato in basso a destra Mia figlia Laura Gigante Castellammare 1834

Giacinto Gigante nasce a Napoli, l’11 luglio 1806 e ivi muore il 29 settembre 1876, incisore, pittore e insegnante, ricevette numerose committenze russe, nel 1846, fu al seguito della zarina Alessandra2

Alexandra Feodorovna,(Charlotte di Prussia)

Alexandra Feodorovna,(Charlotte di Prussia)

in Sicilia, poi a Sorrento nel 1848. Grazie a queste committenze, poté acquistare una casa al Vomero per sé e per la propria numerosa famiglia.
E proprio da una figlia ci piace iniziare, Laura, che sposò Francesco Fergola (mentre la sorella Sofia andò in sposa Mariano) figlio di Salvatore. Vorremo terminare questo articolo ritornando su quelle committenze russe che tanta soddisfazione anche economica gli avevano dato, perché proprio da lì provengono due dipinti recentemente recuperati dal web.

Non vorremmo però tralasciare un importante contributo delucidativo sulla scuola di Posillipo ad opera di Pasquale Villari, che meglio tesse un quadro identificativo di questa corrente pittorica, tratto da:  La Pittura moderna in Italia ed in Francia, qui in un estratto:

Ma la scultura toscana m’ha fatto uscire di strada. Torno perciò alla pittura. L’Italia ha oggi tre grandi capitali artistiche: Milano, Firenze, Napoli, e di quest’ ultima non s’è ancora parlato. Ivi l‘Accademia ottenne i suoi maggiori e più eccessivi trionfi, e perciò la reazione vi fu più violenta. A Napoli gl’ingegni sono vivi, fecondi, arditi; ma facilmente eccedono e passano la misura. Cosi v’è nato il cavalier Marini; i barocchi vi trionfarono e fiorirono con Luca Giordano, Solimena, Bernini; i Puristi più tardi furono padroni della letteratura e non dettero quartiere; l‘Accademia, per le stesse ragioni, fece altrettanto nella pittura. Sorse un numero di artisti non piccolo, aiutati dalle commissioni che dava loro il governo borbonico e dalle chiese che s’ornavano d’ opere d’arte; ma i loro nomi sono già dimenticati, perché essi prolungavano la vita d‘una scuola già morta, restando fuori del moto che già ridestava lo spirito nazionale. E la reazione contro questo stato di cose fu, a suo tempo, altrettanto ardita ed ardente. Arrivarono, eludendo la vigilanza borbonica, i libri dell’alta e della media Italia; si leggevano Gioberti, Giusti, Manzoni, Leopardi e Niccolini; si leggevano opere francesi e tedesche. E subito ebbe luogo una rivoluzione contro il Purismo; dal padre Cesari, dal marchese Puoti, dalla Rettorica di Soave e di Blair si corse con uguale intemperanza all’Estetica di Hegel. Se una letteratura nuova incominciava, doveva pur cominciare un’ arte nuova. Ma le difficoltà erano maggiori, perché in arte bisogna vedere, e i quadri, le statue non si riproducono e non si trasmettono e trasportano facilmente come i libri. I napoletani allora viaggiavano assai poco, perché il governo lo impediva. Pure a spronarli bastavano le stampe di Delacroix, Delaroche, Ary Chefl‘er, le quali venivano da Parigi; qualche quadro d’Hayez, qualche statua che pure arrivava d’altre provincie. Andavano a Roma i pensionati dell’Accademia, e vissuti in mezzo ai grandi monumenti dell’arte, fra Tedeschi, Francesi e Italiani d’altre provincie, tornavano con qualche idea nuova e davano nuovo impulso alla gioventù. Fra questi è da nominare innanzi tutti il Mancinelli, artista certo d’un merito eminente, che senza abbandonare affatto l’Accademia, risentiva la nuova vita dell‘arte, ed osava trattare soggetti storici del medio evo, con una correzione di disegno giustamente pregiata. Tutto questo era un moto assai lento, che non bastava ad apparecchiare gli elementi d’un’arte nuova; ma l’ora giungeva, ed ogni cosa doveva contribuire al fine inevitabile. 

Carelli Consalvo, Castellamare, olio su tela,1818-1900

Carelli Consalvo, Castellamare, olio su tela,

La bellezza del clima, i paesaggi stupendi che circondano Napoli, e i molti forestieri che ne chiedono sempre qualche ricordo di segnato o dipinto, avevano fatto sorgere un certo numero di artisti i quali, come per disprezzo, erano dagli accademici chiamati della Scuola di Posillipo, dal luogo ove abitavano per essere più vicini ai forestieri. Essi non facevano, in origine, che copiare vedute; ma gl’lnglesi hanno generalmente molto gusto per questi lavori, li giudicano e li pagano bene. Fu perciò necessario migliorare, e la scuola di Posillipo fece, infatti, progresso, e crebbe di numero. Questi artisti viaggiavano assai più degli altri; andavano in Francia, in Inghilterra e vedevano le nuove scuole; andavano in Oriente e tornavano con molti lavori presi dal vero. Cominciarono finalmente a provarsi nelle esposizioni, e, prima disprezzati, arrivarono poi ad essere discussi e considerati; sorse fra loro qualche uomo di singolare ingegno. Gigante è un acquarellista di cui non si troverebbe in, Italia un altro d’ugual merito. Filippo Palizzi è un altro uomo singolarmente dotato dalla natura. Cominciando a dipingere animali, cani, cavalli, asini che vendeva agl’Inglesi, si spinse a studiare il vero, con un sentimento cosi genuino, così semplice della natura, che i soggetti meno importanti acquistarono nei suoi quadri un valore singolare. La testa d’una mucca o d’un asino aveva tale espressione, era dipinta con tanta evidenza, che anche gli artisti accademici dovettero, sorpresi, riconoscere il suo valore. La natura lo aveva fatto pittore, ed egli aveva trovato da sé la propria strada. L’essere in una via così modesta non gli destò invidia; ma il riconoscere il suo merito fu un colpo mortale all‘Accademia. Egli andò oltre; aggruppò gli animali, dipinse dei piccoli quadri di genere, semplici scene campestri, che ebbero la stessa verità, la stessa evidenza, il medesimo valore. Una tale pittura fece vedere che in arte v’era una strada nuova da battere. Lo studio del vero, della espressione, del sentimento della natura e della realtà dette cosi il colpo di grazia all’Accademia. E Morelli poi fu il rappresentante d’una vera trasformazione, che ebbe luogo nella pittura napoletana“.3

Giacinto Gigante e Castellammare dunque, molte sue opere sono già inserite nella nostra Galleria di Pitture Nostrane, ma Gigante, meritava qualcosa in più, questa consapevolezza è stata raggiunta quando mi sono imbattuto nel disegno della bambina all’inizio dell’articolo. Non un infante qualsiasi, ma Lauretta, una delle figlie del pittore, mi sono convinto che una pagina che potesse raccogliere tutte le sue opere sulla nostra città, fosse divenuta un obbligo. Il disegno reca a sinistra la scritta, Castellammare Agosto 1834 e a destra Mia figlia Laura Gigante, meno visibile la scritta a cartiglio sulla sinistra della immagine della piccola Laura.

Le strane coincidenze nelle mie ricerche non terminano qui avevo trovato in una casa d’aste due dipinti attribuiti alla scuola di Posillipo, uno di questi era il forte casamattato (un tempo ubicato all’ingresso del nostro porto) l’altro una strana costruzione, che si rivelerà essere Portocarello. Quando ho sottoposto queste due opere a Salvatore Gallo, nostro amico e collaboratore del sito, questi, immediatamente, mi invia due bozze di disegno di Giacinto Gigante, frutto delle sue personali ricerche e che coincidono in maniera inequivocabile con i due dipinti.

Risulta erroneo credere che i pittori della scuola di Posillipo aggiungessero a loro piacimento (quasi a modo di licenza poetica) particolari inesistenti di un paesaggio, non coincide con la loro “mission” che è quella di dipingere dal vivo, il vero, cioé quello che si vede. Inoltre una mistificazione non avrebbe avuto senso, erano pittori napoletani che si spostavano nella loro terra proprio per coglierne la bellezza, i colori, i particolari di una terra senza eguali e le cui opere sono fortemente fedeli al nostro territorio.

Le sorprese non si lasciano attendere e riesco a rintracciare sempre a firma di Gigante una ennesima pittura, un acquerello su carta della piazza del mercato (oggi piazza Cristoforo Colombo) ricca di dettagli e di colori affascinanti e non ultimo rinvengo in un libro edito in Russia, una incredibile visione dell’antica Castellammare ritratta pressapoco all’altezza dell’attuale Lega Navale, di cui forniremo un’anteprima in attesa di una migliore definizione dell’immagine.4Un dipinto che ci svela Castellammare vista dai cantieri navali senza le brutture operate nel tempo dall’uomo anche se per la necessità del vivere. Quella stessa prospettiva che ricordavo di aver visto in un disegno di Achille Gigante (1823-1846) fratello di Giacinto che fu un rinomato litografo, disegnatore ed acquafortista nel libro di Francesco Alvino, Viaggio da Napoli a Castellammare.5

Achille Gigante, da Francesco Alvino, Viaggio da Napoli a Castellammare, 1845, tra pag. 116 e 117,

Achille Gigante, da Francesco Alvino, Viaggio da Napoli a Castellammare, 1845

Questa galleria nel caso di Giacinto Gigante, risulterà assai provvisoria in quanto ulteriori studi e ricerche andranno sicuramente ad accrescerla.

Articolo terminato il 22 Luglio 2019


Note:

  1. Nel 1820 un paesaggista olandese che aveva un proprio atelier a Napoli, Antonio Sminck van Pitloo, riesce ad affascinare e a riunire intorno alla propria bottega tanti giovani pittori e tra questi alcune famiglie di artisti napoletani come i Carelli, i Gigante, i Fergola, i Witting. Dopo Pitloo, le redini della scuola passeranno a Giacinto Gigante.

    Le loro pitture rispondono alle esigenze della forte richiesta di scorci, luoghi caratteristici e panorami della provincia di Napoli, essi dipingono all’aria aperta, dal vero, le loro creazioni finiscono nelle mani di quella nobiltà europea che era disposta a ben pagare (soprattutto inglesi) pur di riportare a casa, un ricordo dei momenti trascorsi nella nostre terre. Questi dipinti spesso presentavano quelle luci romantiche che noi moderni abitatori del napoletano, (abituati a tali scene) facciamo fatica a cogliere, ma che nello spirito dei viaggiatori dell’Ottocento era un dovere riportare nella propria patria. Questi quadri per turisti erano esibiti con orgoglio agli amici e racontavano, dei paesaggi costieri, dell’archeologia da poco riscoperta, dei costumi di un popolo che sempre fece parlar di sé nel bene e nel male. Come spesso accade, la scuola di Posillipo, inizialmente, non fu ben vista dagli accademici del tempo ed i loro lavori furono spesso denigrati e derisi, ma pian piano le loro intuizioni su carta, su pannelli, su tele, ebbero uno straordinario successo tanto da essere contese ancor’oggi dai collezionisti, in numerose aste.

  2. Carlotta di Prussia, nata a Berlino, 13 luglio 1798, morta a Carskoe Selo, il primo novembre 1860 fu imperatrice di Russia, con il nome di Aleksandra Fёdorovna, in quanto moglie dello zar Nicola I. Nel 1845, su consiglio dei medici, Carlotta soggiornò a Palermo per diversi mesi a causa della sua salute.
  3. Estratto da: Pasquale Villari, La Pittura moderna in Italia ed in Francia, in: Nuova Antologia di Scienze lettere ed arti, volume X, Firenze 1869, pag. 112-114.  La Pittura moderna in Italia ed in Francia, di Pasquale Villari è un complesso studio sulla pittura italiana che va da pag. 98 a 127.
  4. Vedi: G. Goldovskii, L. VikhorevaSilvestr Schedrin i shkola Pozillipo, Catalogo del museo russo di San Pietroburgo, 2016, pagine 143 di cui 80 illustrazioni colorate.
  5.  Tratta da Francesco Alvino, Viaggio da Napoli a Castellammare, 1845, tra pag. 116 e 117,

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