( a cura del dott. Tullio Pesola )
Diversi anni fa, vale a dire quando la Parrocchia dello Spirito Santo (da molti conosciuta come la Chiesa di San Ciro) era retta dai Frati minori, chi vi accedeva la sera del Giovedì Santo o il giorno dopo, avvertiva un forte, ma gradevole odore di caffè. In quell’oasi di pace e di preghiera tutti i fedeli che si alternavano nell’incontro con Cristo, si scambiavano sguardi interrogativi, ma nessuno riusciva a darsi una spiegazione e chi ci provava, concludeva –sorridendo – col dire che i frati fronteggiassero la stanchezza col sorbire diversi caffè e protrarre, così, la loro veglia di adorazione davanti alla “cappella della Reposizione”.
Già! La “cappella” o anche – per talune chiese – l’ “altare” della Reposizione! Comunque, sia l’una che l’altro costituiscono, giusto per intenderci, quello “spazio” della chiesa allestito al termine della “Missa in Coena Domini” del Giovedì Santo destinato ad accogliere le specie eucaristiche consacrate e a conservarle fino al pomeriggio del Venerdì Santo, quando, al termine della liturgia penitenziale, vengono distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale.Esse rimangono tutta la notte a disposizione dei fedeli per l’adorazione e sono custodite all’interno di un apposito contenitore, mentre il tabernacolo, vuoto, rimane aperto, proprio a testimoniare l’assenza fisica di Gesù, quell’assenza che solo la fede nella risurrezione può riuscire a colmare.
Ma… cerchiamo di mantenere sempre vivo l’aroma del caffè di cui si parlava poc’anzi!
È noto, ormai, a tutti che è tradizione che nelle chiese le cappelle o gli altari della reposizione siano addobbati in modo solenne. E così, questi spazi (altare o cappella) si è soliti adornarli con citazioni evangeliche, composizioni floreali o altri simboli che richiamano l’ultima cena, in omaggio all’Eucaristia e per invitare i fedeli all’adorazione. Non mancano le piantine di grano, preparate dai fedeli nelle proprie abitazioni durante il periodo quaresimale riempiendo dei tondi con uno strato di ovatta imbevuta d’acqua e gettandovi sopra chicchi di grano. Esse vengono poste in un luogo buio per consentire loro di metter su rapidamente i germogli che stanno a simboleggiare la vita (Cristo) che rinasce dal buio e che prorompe con forza inarrestabile.
Nella Chiesa dello Spirito Santo, invece, oltre a tutto questo, tra il 1954 ed il 1963, Padre Esuperanzio Buono o.f.m. era solito abbellire la cappella della Reposizione con uno strano tappeto. Non avevo mai collaborato alla realizzazione di detto tappeto, però ne avevo memorizzato tecniche e procedure. E così, ripercorrendo le sue orme, quand’egli, a seguito dei movimenti a cui sono soggetti i religiosi ogni triennio, per obbedienza fu destinato ad altra casa francescana, dopo alcuni anni di pausa dovuta al timore di non essere in grado di realizzare una tale opera, pensai bene di ripristinare quell’iniziativa che mi affascinava molto e che ci permette di risalire all’unica vera causa che scatenasse quell’intenso profumo di caffè.
Con notevole anticipo sulla esecuzione del lavoro, contattavo ogni anno l’amico Ciccio Sorrentino titolare dell’omonimo “Bar Pasticceria” (un tempo “fiore all’occhiello” della nostra Città), perché mi conservasse tutti i fondi di caffè che riuscisse a mettere da parte in una settimana. Dopo averli ritirati, li sbriciolavo e poi li stendevo sul terrazzo della Casa Parrocchiale per farli asciugare. Naturalmente tale operazione non andava fatta se le condizioni atmosferiche non garantissero tempo sereno. Contemporaneamente mi attivavo per i simboli da riportare, che, anche se non consentissero di spaziare in merito alla scelta, offrivano, quantomeno, la possibilità di presentarli in una veste sempre diversa. Poi, quando tutto era pronto, tra la sera del mercoledì e la mattina del giovedì procedevo alla realizzazione del tappeto. Sul pavimento stendevo i fondi di caffè in maniera uniforme, mentre su di essi, poi, procedevo alla realizzazione dei simboli.
Ritengo doveroso a questo punto precisare che la lavorazione di tale tappeto predilige un sistema che si serve solo ed esclusivamente di fondi di caffè e di polvere tinta. Il termine “Tappeto” è legato alla somiglianza con i tappeti di lana o cotone prodotti nei territori medio-orientali. Infine la cura impiegata per la lavorazione della cornice che racchiude le immagini elaborate con calchi di legno su cui vengono praticati degli intagli di forme diverse, rende l’opera (di fondi di caffè, colori e polvere di stelle) del tutto simile ai drappi di stoffa. Questa illusione ottica è frutto della fusione tra la simbologia raffigurata e la base di fondi di caffè pazientemente lavorata.
Ed ecco risolto l’enigma del “profumo di caffè”! Resta unicamente la perplessità di come la chiesa, anche se sotto l’aspetto volumetrico molto ampia, riuscisse a saturarsi di tale aroma. Eppure è così! Di conseguenza risultava inevitabile che chiunque ne varcasse la soglia, venisse investito da… intensa fragranza di caffè!