Peppariello Castello a mare
di Giuseppe Zingone
Terzo dei dodici figli di Saverio e di Anastasia Grosso, nacque a Castellammare di Stabia e fu battezzato in quella cattedrale il 2 nov. 1707 (docc. in Fastidio, 1897, e Cosenza, 1902, pp. 103, 126). Ancora fanciullo, entrò nella bottega di Francesco Solimena che dominava la scena artistica di Napoli. A Napoli, morì il 19 maggio 1789.1
La pittura di Giuseppe Bonito è notoria a Napoli ed anche a livello internazionale, ne ebbi immediata prontezza quando visitai la sagrestia del Sacro monte di Pietà a Napoli, rimasi a guardare quel maestoso soffitto, per molto tempo, ero poco più che maggiorenne. A Castellammare di suo, c’è solamente la tela del Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, conservata nella Concattedrale.
Ci scrive in data 29 febbraio 2024, il Geometra Santaniello, dell’Archeoclub Stabiae che ringraziamo per la collaborazione il quale ci conferma la presenza di altre due tele del Bonito, una alla Chiesa di San Bartolomeo, L’immacolata Concezione; e nella chiesa di Santa Caterina, una Pietà.
Colgo l’occasione per ringraziarlo; iniziano ad essere tanti gli anni che mi separano da Castellammare… Grazie ancora…
Il nome di Peppariello Castello a mare, arrivò nella nostra città, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, grazie ai ricordi del barone Francesco Girace, ed alla ricerca dei dati in Cattedrale dell’archeologo Giuseppe Cosenza (intimi amici) entrati a far parte, poi del libro del figlio Piero Girace2documentato anche dal biglietto da visita che il Morelli inviò a Francesco Girace, in forma di ringraziamento datato 21 Luglio 1885 e che potete leggere nell’articolo Domenico Morelli.
Le prime notizie di questo giovane alunno di Francesco Solimena, provengono però, da Bernardo De’ Dominici, siamo nel 1742, quando il nostro Bonito aveva solamente 35 anni.3.
Abbiamo provato a cercare in rete, anche alcuni suoi dipinti, riportati in questa seppur breve, ma primigenia biografia, compito arduo visto anche i molteplici quadri del pittore aventi soggetti analoghi. Un esempio per tutti, i dipinti delle ambascerie (vedi nota 5). Queste immagini avranno, comunque, il compito di rendere meno ostiche al lettore, le parole del De’ Dominici.
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Giuseppe Bonito, detto nella scuola, Peppariello Castello a mare, perché nativo di quella città, con la sua grande abilità, e con l’ottima direzione del suo egregio maestro si avanzò mirabilmente nel colorire, e fece tali progressi in pochi anni, che superò molti che da più tempo, e prima di lui esercitavan pittura sotto del Solimena. Avanzatosi dunque il Bonito ha fatto varie pitture a varie persone così copiate dal Solimena, come di sua propria invenzione, ed essendosi fatto conoscere per un de’ buoni scolari di quella scuola, fu richiesto da’ Padri Chierici Regolari della Pietra Santa di due quadri da situarsi sopra due altri delle cappelle laterali all’altar maggiore; ove effigió in uno l’Angelo Raffaello che fa togliere il pesce al figliuol di Tobia per guarire la di lui cecità, e nell’altro l’Angelo Custode, che guida l’Anima alla via del Cielo; le quali opere non dispiacquero a dilettanti, tuttochè fussero alquanto deboli come fatte da un giovane ancora principiante, per lo spirito che avea dimostrato nell’imprendere a dipingere figure grandi;
che però fattosi animo Giuseppe, proseguì con lo studio ad avanzarsi nell’arte, e ne’ primi ritratti che imprese a dipingere si vide il dono particolare ch’egli avea in questa parte, dappoichè oltre dell’esser somigliantissimi, erano situati in buone positure, e pittoresche azioni, veggendosi il ritratto di tutta veduta, cioè in faccia, come soleva farli il celebre suo maestro, che si era distinto come eccellente, e singolare in tal parte; talmente che preso buona fama nel far ritratti, fu impiegato per molto tempo dall’eccellentissimo duca di Salas, e marchese di Monteallegre primo Ministro del nostro clementissimo Re, a dipinger vari ritratti al naturale così di lui, e della sua consorte, che di altri personaggi, della sua casa, e molti mesi fu impiegato al servizio del mentovato signore nella di lui casa, trattato lautamente. Avendo poi Angelo Caresale regio partitario, ed esempio memorabile d’incostante fortuna, eretta a Padri Riformati della Mercede la nuova chiesa di S. Maria delle Grazie presso quella di S. Bartolomeo, e dovendosi adornare di quadri gli altari di essa, che sono tre, cioè uno il maggiore, e due laterali, ne dipinse due il Bonito, e in quello del maggiore altare figurò la SS. Vergine vestita dell’Ordine di quei Padri con S. Michele Arcangelo, ed altri Santi in gloria di quella Religione, e nel piano S. Antonio Abate, S. Lorenzo, S. Caterina d’Alesandria ed altre Sante Vergini.
Nel quadro dell’altare laterale, effigiò la Beata Vergine col Bambino, che apparisce a S. Carlo Borromeo; e di rincontro vi dipinse il quadro del Crocifisso Niccolò Maria Rossi.
Le opere però che gli fecero acquistare, gran nome, furono due quadri ch’egli espose nella solennità dell’ottava del Corpus Domini, detta in Napoli la festa de’ quattro altari; in essi rappresentò il Bonito in mezze figure, e in tele per traverso un maestro di scuola, che insegnava a leggere e scrivere a’ suoi scolari, ed in esso ritrasse al vivo un uomo assai cognito al popolo, e ne’ fanciulli ritrasse alcuni suoi conoscenti, con azioni assai proprie, e naturali.
Nel compagno effigiò una maestra, che insegnava a zitelle cucire, far calze e ricamare, anch’elle esprimendole con azioni naturalissime, e ritrasse in quelle le figliuole di varie sue conoscenti, e con bei contrapposti, e tinte cosi accordate, che benchè fussero tutti ritratti, aveano gli oggetti la loro degradazione, essendo giudiziosamente dipinte con proprietà di colori diversi, e con sommo intendimento di chiaroscuro. Non si può abbastanza descrivere le lodi che furon date da tutto il pubblico a questi due bellissimi quadri, ben disegnati, e ben dipinti con forza di colore; ma basta dire per compiuta lode di essi, che insino ad oggi è rimasta la memoria del maestro, e della maestra appresso di questo pubblico, che sovente ne parla con nuove lodi.
Spronato adunque da tanti applausi Giuseppe, espose l’anno seguente nella stessa festività altro quadro, ove rappresentò una signorina che cantava in musica, essendovi il maestro di cappella al cembalo, e vari ascoltanti, fra quali un cicisbeo,4che tenendo in mano il bastone, ed appoggiato il viso al suo pomo, stava con grande attenzione a sentir cantare colei.
L’anno avvenire espose due quadri grandi, con figure intere poco men grandi del naturale. In un di essi rappresentò un pittore in atto di dipingere al trepiedi, con vari discepoli intorno di sè in atto di disegnare: Molte persone stavano poi con attenzione a veder dipingere, e fra queste un militare faceva la figura principale, seduto in una sedia con le gambe distese, stava con somma attenzione a veder la pittura, e cosi disteso faceva contrapposto alle altre figure situate dopo lui, ed eravi un vecchio vestito alla spagnuola, con capelli canuti, e gran manicotto di pelle d’orso per riscaldarsi le mani, che certamente facea bellissima figura, e la maggior parte di tutte queste numerose figure. eran ritratte dal vivo.
Il compagno rappresentava alcuni giovani con li schioppi in mano, e da cacciatori in campagna per divertirsi, e che trovavano delle villanelle, con le quali vezzosamente scherzavano. Questi quadri anche furon lodati da tutto, il pubblico: ma più parvero singolari que’ quadri esposti, i primi rappresentanti le scuole, ed i quali si dice, che da chi faron comperati furon mandati in Ispagna.
Per queste belle opere, e per i suoi somigliantissimi ritratti venuto in gran fama, fu proposto alla Maestà del nostro clementissimo Re, per dover fare i ritratti dell’inviato del gran Signore, con suoi cortegiani, ed i quali riusciron cosi naturali, e ben situati insieme, sedendo l’inviato sul cuscino, adattato nel suolo su un ricco tappeto, com’è loro usanza, che essendo stata quest’opera lodata al suo maestro, volle questi vederla, e molto la commendò.
Venuto poi a Napoli, l’ambasciadore del re di Tripoli, ordinò Sua Maestà che anche di costui, e di sue genti, ne fussero effigiati i ritratti dal Bonito,5che in tela simile, e figure intiere egli dipinse naturalissime; e tanto, che quel barbaro non avendo veduto simile artificio di ritrarre si vivamente le persone, andava sovente a veder dietro la tela, ove osservato non esservi nulla, e mirando la sua effigie viva su la superficie di essa, pieno di maraviglia disse al Bonito: che egli sarebbe stato tenuto a render conto dell’anima di colui, che dipingea; al che il nostro pittore con evidenti, ragioni si sforzò fargli vedere, esser quelli, colori fatti di terra, e distesi su la superficie di quella tela, e non aver, anima, nè spirito alcuno, benchè sembrassero vivi.6
Rinnovandosi in questo tempo la sagrestia della chiesa eretta nel cortile del sagro Monte della Pietà, vi fece il Bonito il quadro della soffitta di essa anche dipinto ad olio, esprimendo in esso opere pie, e di misericordia, con buon componimento, belle azioni di figure, molto ben situate di sotto in sù, e con buono intendimento di architettura, della quale opera ne ha avuto le meritate laudi, essendo veramente dipinta con studio, e da buon pittore, ed è molto migliore delle altre opere esposte in chiesa.
Fece dopo il quadro della Madonna del Rosario da situarsi in una cappella laterale all’altar maggiore nella chiesa del Rosario di Palazzo, ed ove fra gli altri Santi Domenicani situati nel piano è ancora S. Vincenzo Ferreri di prima veduta.7
In oggi è impiegato il Bonito per real comandamento a dipingere alcune stanze a fresco nel real palazzo dell’amenissima villa di Portici, avendo avuto l’ordine di non tralasciare il lavoro, per farlo trovar compiuto al ritorno che farà dalla presente campagna il nostro invitto Regnante.8
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Qualche tempo fa sulla pagina Facebook di Liberoricercatore, un lettore sottolineò, in merito al mio articolo su Errico Gaeta, della grandezza tecnico-pittorica di Giuseppe Bonito. I confronti (tra grandi) non andrebbero mai fatti! Ma tant’è…
Questo il mio testo: “I miei ricordi, oltre che da persone, sono sempre affollati e accompagnati da immagini della mia Castellammare ed i colori di queste tele, sono senza dubbio i colori dei tratti magistralmente colti da Errico Gaeta. Le sue visioni, i suoi scorci sono le pennellate infisse nella carne della mia memoria di stabiese”.
Mi sono allontanato dai social da molto tempo e quindi vorrei riprendere il mio pensiero, che forse è stato mal interpretato. Gaeta e Bonito non sono né in competizione tra loro, né tantomeno in contrapposizione, come spesso capita agli occhi dei moderni, abituati a misurare in centimetri ogni cosa. Hanno vissuto due epoche e due vite completamente diverse. Sono accomunati però, da questa nobile arte che è la pittura, la quale mi porta a fare questa considerazione/distinzione:
Da un lato abbiamo un grande pittore Bonito (morto a 82 anni), che stabiese lo è per atto di nascita, dalla insigne carriera, le cui capacità pittoriche in questo primo scorcio bibliografico delineato dal De’ Dominici, sono in continua evoluzione in un crescendo impressionante di ingegnosità e bravura, ma egli non rappresentò mai Castellammare, la sua città natìa.
C’è poi il Gaeta, (pittore allievo di Giacnto Gigante), nacque in mezzo a noi e a Castellammare trovò la sua tragica morte (a soli 47 anni); i suoi dipinti stabiesi sono molteplici, i cromatismi delle sue tele, sono i colori che ancor oggi scorgo intorno a me, quando passeggio per le vie della città, tra i boschi, tra i palazzi e vicino al mare. Non si tratta di una mera questione di tecnica e di bravura, (che pur al Bonito veniva retribuita, remunerata); è questione di cuore, di anima, di vitalità, di passione per la propria terra. Gaeta rimane dunque insuperato, inarrivabile, la vera eccellenza nostrana.
Articolo terminato il 16 febbraio 2024
- Robert Enggass, Giuseppe Bonito, in: Treccani, Dizionario Bibliografico degli Italiani, volume 12, 1971. ↩
- Piero Girace, Una serata nella Villa di Morelli, in: Le Acque e il Maestrale. ↩
- Bernardo De’ Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, Napoli MDCCXLII, in: Notizie de’ Discepoli del Solimena, pag. 712-715. ↩
- Cicisbeo: Figura caratteristica del sec. 18°, detta anche cavalier servente, che aveva il compito di stare a fianco della dama per farle compagnia e per servirla in tutto ciò che potesse occorrerle durante la giornata. Voce tratta da Enciclopedia Treccani. ↩
- Dipinti di ambascerie di Giuseppe Bonito: Sono ben tre i dipinti di questo Genere, uno al museo del Prado a Madrid. Un secondo e un terzo dipinto al Palazzo Reale di Napoli. ↩
- A tal riguardo, ricordiamo al nostro lettore, che il divieto nella religione ebraica di ritrarre il volto umano e divino è un precetto, ciò accade anche nell’Islam, principalmente per quanto riguarda il volto di Maometto e di Alì. ↩
- Nella Chiesa del Rosario di Palazzo, ai quartieri Spagnoli, nota anche come Chiesa di Sant’Anna di Palazzo, trovasi sull’altare, installato nella cappella, sormontato da una cornice di marmo, un dipinto della coeva Madonna del Rosario, di Giuseppe Bonito data 1738 circa. ↩
- Vedi anche la pubblicazione più recente di Bernardo De’ Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, Napoli 1846, Tomo Quarto, pag. 609-613. ↩
Cari amici, volevo segnalare che altre due opere di Bonito si trovano nella Chiesa di San Bartolomeo e Santa Caterina di Alessandria.
Ciao Massimo sarà un piacere aggiungere queste due opere, e correggere l’articolo, anzi se avessi tu, modo di scrivere qualcosa sulla’argomento con le immagini e i dati che suffragano queste tue info saremo felici di pubblicare il tuo articolo naturalmente a nome tuo. Io purtroppo vivo a Ladispoli. Saluti Giuseppe Zingone