“Se non potessi vendere legname e fascine e non avessi pietra da farne calce, col legname fa’ carbone, e le fascine e i sarmenti che ti avanzeranno bruciali sui terreni da coltivare, e poi seminaci papaveri” (Marco Porzio Catone [ 234 a .C. – 149 a .C.] in “De agricoltura”)
È intenzione di chi scrive affrontare la questione del governo dei boschi cedui che crescono sui monti di Castellammare di Stabia.
Purtroppo la mancanza di una seria politica della gestione delle risorse boschive, l’assenza pressoché totale dei controlli degli enti preposti alla tutela del territorio, la scellerata avidità dei proprietari dei boschi e la tragica perdita delle antiche e assennate tradizioni culturali che regolavano il governo dei cedui, hanno generato una situazione drammatica che ha seriamente compromesso la funzione ecologica e paesaggistica dei boschi ed ha inoltre innescato potenziali e gravi situazioni di pericolo per la pubblica incolumità.
Introduzione
I boschi cedui (dal latino caedŭus ossia adatto al taglio) ovvero i boschi che ad intervalli di 15-20 anni vengono tagliati quasi a raso, rappresentano fin dall’antichità una delle principali risorse dell’economia locale. L’utilizzo della legna del bosco ha rappresentato per intere generazioni di stabiesi fonte di reddito e sussistenza. Importante, in tal senso, è la testimonianza riportata nel resoconto del Tavolario(1) Orazio Conca che nel 1636 su invito del vicerè di Napoli, Manuel de Zuniga approntò un’indagine patrimoniale volta a stabilire il valore della città stabiese, in una parte del lavoro ‘Le selve et boschi feudali’(2), è riportato l’elenco del patrimonio boschivo della città:
“La selva grande detta Cepparica, di castagne e legnami selvaggi, la quale ordinariamente s’ha solito tagliare ogni sedici anni per legname grosso; li quali legnami grossi si sono venduti al presente a lume di candela(3) per ducati 6025; sopra la quale offerta vi è nuova offerta che importeranno altri ducati 610, che gionti importano ducati 6635; quali ripartiti per detto spazio di 16 anni importa ogni anno ducati 414, 3, 8, 2/3.
Un’altra selva de castagni, detta l’Arco, sopra la porta del palazzo di Casasana, de migliara 24.
Un’altra selva castagnale, dove se dice Santo Spirito, de migliara dieci, confina con Giuseppe d’Urso et Francesc’Antonio Imparati.
Un’altra selva castagnale dove si dice a Monterotondo, de migliara 28 confina con li beni del detto Utile Signore.
Un’altra selva castagnale, de migliara 4, confina con li beni di Andrea Coppola, dove si dice dentro il rivo. Che unite le sudette quattro selve fanno la summa de migliara di cerchie numero 66, le quali dui anni [or] sono le venderno per legname grosso d’anni 16, per cautele(4), a Tomase Cannavacciuolo per ducati 700, oltre altri ducati 100 che fra detto tempo sono pervenuti, che unito sono ducati 800; quali ripartiti in detti 16 anni importano ogni anno ducati 50 . […]
Un altro bosco detto lo Scorolillo, di legname selvaggio, confina con li territorii del Casale di Massaquano, pertinente di Vico.
Un altro bosco selvaggio detto le Podeie seu le vene di Cepparica, dentro li beni del detto Utile Signore et con li beni di Ludovico Longobardo.
Un altro bosco dove si dice Rivo morto, dentro li beni di detto Utile Signore.
Un altro bosco selvaggio detto lo Strimmo, dentro li beni di detto Utile Signore.
Un altro bosco selvaggio detto lo Monaco, dentro li beni di detto Utile Signore.
Un altro bosco selvaggio detto lo Vallanito, dentro li beni di detto Utile Signore.
Li quali sei boschi de legnami di essi si soleno vendere ogni quattro anni ducati 300…“.
Non è sbagliato affermare che buona parte del sistema socioeconomico cittadino si basava sul buon-governo dei boschi cedui. La cura del bosco forniva reddito ai proprietari, mentre il taglio delle selve procurava lavoro ad una numerosa manovalanza: boscaioli per l’abbattimento degli alberi, mulattieri per il trasporto. La legna così ricavata era necessaria al popolo per la cottura dei cibi, ogni casa era fornita di cucina a legna ed in città erano presenti numerosi biscottifici, panifici e pizzerie che cuocevano le loro prelibatezze nei caratteristici forni alimentati a fascine(5). Il legname era indispensabile anche per il riscaldamento domestico, il focolare per anni ha rappresentato il cuore delle case, il luogo dove nelle lunghe e fredde sere invernali le famiglie si riunivano per godersi un po’ di meritato e caldo riposo. Nelle case della fascia costiere, dove l’inverno è meno rigido, si accendeva il braciere, ‘o vrasiere, il combustibile era: ‘o gravone, ‘a carbunella e ‘a muniglia, che veniva venduto dal Carbonaio (‘o Gravunaro) questo instancabile artigiano provvedeva anche alla produzione della sua mercanzia costruendo le carbonaie per la cottura della legna, le quali erano costituite da cumuli di legname impilati sapientemente, ricoperti di terra e forniti di due aperture, una per l’accensione e l’altra per l’ aerazione. La carbonaia così costruita, una volta accesa, procedeva in una lenta combustione della durata di circa una settimana. In questo lasso di tempo l’anidride carbonica e l’acqua contenute nel legno per distillazione vengono eliminate, il risultato finale è, quindi, la perfetta carbonizzazione. Le aie carbonili, spiazzi sui quali venivano realizzate le carbonaie, erano approntate all’interno dei boschi ed erano costantemente sorvegliate dal Gravunaro che si assicurava così che il processo di carbonizzazione procedesse regolarmente ed evitava al contempo che il prezioso carbone venisse trafugato da qualche malintenzionato.
Infine il legno ricavato dai cedui era indispensabile per tutte le attività artigianali che ne richiedevano l’utilizzo, come non ricordare le figure del Calcararo, del Bottaio, del Mastro d’ascia, del Falegname, del Tornitore, e di quanti erano sapienti esperti dei vari tipi di legname, ne distinguevano l’essenza e pazientemente erano capaci di lavorarlo.
L’intero sistema socioeconomico, legato al buon-governo del bosco ceduo, ha resistito pressoché inalterato fino alla soglia della moderna industrializzazione, iniziata nel nostro paese negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Da questo momento man mano che la società cambiava, i nostri boschi si trasformavano subendo un costante e progressivo abbandono che ha portato alla disastrosa situazione attuale.
Parte prima: Aspetti naturalistici
A guardarli dal lungomare cittadino i boschi di Castellammare appaiono come lo sfondo di un bel quadro. Il colore predominante è il verde che in infinite tonalità si alterna a mille sfumature di rosso, giallo, arancio, grigio, marrone, che mutano col cambiare delle stagioni. Sembra quasi che un estroso pittore si diverta a ridipingere di volta in volta la sua opera.
Cosa si cela realmente dietro questo suggestivo spettacolo cromatico pochi lo immaginano. Il bosco è un sistema complesso, pluridimensionale e dai confini sfumati, dove le componenti sono legate da un continuo scambio di energia, materia ed informazione, in una fitta rete di interconnessioni.
I boschi cosiddetti naturali sono sistemi in cui l’uomo rientra nella componente “FAUNA” e le sue interazioni col sistema sono associabili, fatte le dovute proporzioni, a quelle di un qualsiasi altro animale. Per capirci, l’animale uomo potrebbe tagliare qualche albero per costruirsi un ricovero, come pure potrebbe nutrirsi dei prodotti del bosco senza che tutto ciò comprometta la naturalità del sistema.
Nel momento in cui l’uomo servendosi delle sue capacità culturali altera profondamente gli equilibri del sistema naturale, diventando così, di fatto, elemento a sé e si affranca, in parte, dalla componente animale, il sistema diventa artificiale.
In questa categoria rientrano i boschi cedui che in definitiva non sono altro che il prodotto dell’alterazione profonda delle selve primigenie da parte dell’uomo.
Sui monti di Stabia si trovano essenzialmente due tipologie di bosco ceduo. La prima, il ‘Bosco misto ceduo’, è una selva costituita da diverse entità arboree come il Leccio, la Roverella , il Carpino nero, il Castagno, l’Ontano, l’Acero, il Frassino. Il mantenimento di questo ceduo è finalizzato in prevalenza alla produzione di legna da ardere. La seconda, il ‘Castagneto ceduo’, è una monocoltura a Castagno governata per la produzione di dritti e robusti pali utilizzati prevalentemente per la costruzione dei caratteristici pergolati negli agrumeti e nei vigneti.
Parte seconda: Aspetti gestionali
Essendo il ceduo un sistema artificiale, creato per garantire una buona produttività di legname, per mantenerlo in efficienza ed evitare che perda le sue caratteristiche strutturali è necessario, tra un taglio e l’altro (tempo di turnazione), attuare un’accorta e costante gestione. Gli antichi sapevano tutto ciò e si adoperavano per la pulizia del sottobosco, la cura degli alberi, la regimazione idrica, la manutenzione dei sentieri e delle mulattiere. Tutte queste operazioni di buon-governo dei cedui oggi sono state abbandonate. Si sono così innescate due situazioni limite.
Nel primo scenario, che chiameremo del ‘ceduo abbandonato’, la situazione è la seguente, il proprietario del bosco per svariati motivi si disinteressa completamente della sua proprietà. Il bosco è lasciato alla sua naturale evoluzione.
Nel secondo scenario che definiremo del ‘Taglia e basta’, il proprietari del bosco si preoccupa esclusivamente di vendere il taglio al miglior offerente che a sua volta è interessato a recuperare dal ceduo solo ciò che può essere venduto, quello che resta è lasciato all’incuria più totale.
Entrambi gli scenari sono esempi lampanti di cattiva gestione patrimoniale, i cedui infatti perdono il loro valore economico. La svalutazione del ceduo riguarda prettamente i proprietari. Quello che deve interessare alla pubblica opinione e alle pubbliche istituzioni sono i rischi che la cattiva gestione dei cedui comporta.
Parte terza: Rischi
La gestione volta all’abbandono del ceduo o al taglio indiscriminato espone le popolazioni che vivono in prossimità dei boschi a seri rischi. Nel caso del ‘Ceduo abbandonato’ gli effetti negativi non sono di particolare rilievo sul bosco che lentamente e naturalmente tende a ritornare alla sua forma naturale. Anche il paesaggio si giova dell’abbandono: i boschi appaiono, infatti, più rigogliosi e lussureggianti. Gli aspetti negativi di maggiore entità dovuti all’abbandono si manifestano drammaticamente in occasione di eventi catastrofici come incendi e alluvioni.
Una delle caratteristiche strutturali dei cedui è legata al sovraffollamento degli alberi, che garantisce una maggiore produttività di legname per unità di superficie. Quando il ceduo è abbandonato gli alberi in sovrappiù muoiono. Alcuni, anche se secchi restano in piedi; altri schiantandosi si accumulano al suolo. Il materiale legnoso derivante dagli alberi secchi, unito alle erbe e agli arbusti non più tagliati dai manutentori del bosco e che quindi crescono copiosi nel sottobosco, favorisce l’innesco (spesso doloso) e le rapida propagazione degli incendi.
La situazione è aggravata dall’abbandono della viabilità minore (mulattiere e sentieri) che rende difficile l’accesso alle zone interessate dal fuoco e rallenta notevolmente le operazioni di spegnimento.
Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico gli effetti positivi legati all’aumento della superficie boschiva, che imbriglia con le radici il suolo e rallenta con le chiome i tempi di corrivazione e quindi i flussi dell’acqua evitando il dilavamento, sono in parte vanificati dall’accumulo nelle zone d’impluvio, dove si convoglia naturalmente l’acqua piovana, del materiale legnoso prodotto dalla morte degli alberi e dal disfacimento delle opere di regimazione idrica costruite in passato dai curatori del bosco.
Più complessa e drammatica appare la situazione nei casi in cui il bosco è tagliato in modo indiscriminato per poi essere abbandonato. I primi e lampanti effetti si avvertono nella componente paesaggistica, le pendici montane non più coperte dagli alberi appaiano desolatamente spoglie.
La mancanza degli alberi comporta l’aumento esponenziale dei rischi di dissesto idrogeologico, i flussi di acqua meteorica, non più contrastati dalle opere di regimazione idrica, in mancanza della copertura arborea causano pesanti dilavamenti del suolo ed innescano movimenti franosi.
Questa situazione già di per sé difficile è aggravata dal comportamento irresponsabile e criminale dei tagliaboschi che dal taglio dei cedui recuperano esclusivamente la legna migliore che può essere venduta e lasciano a terra una quantità enorme di frasche, le stesse che un tempo servivano per confezionare le fascine. L’accumulo al suolo di imponenti quantità di legname innesca tutti quei fenomeni già esaminati nel precedente caso dei boschi abbandonati, il rischio incendi è altissimo come la probabilità che il materiale legnoso, trasportato dalle impetuose acque piovane, vada ad intasare gli impluvi impedendo così il normale deflusso dell’acqua.
Il taglio indiscriminato degli alberi produce effetti negativi di particolare rilievo anche sul bosco. Che in molti casi scompare perché la componente arborea non più curata non riesce a riprendersi ed è sostituita dal proliferare delle piante infestanti(6). È utile analizzare le cause e le dinamiche di questo processo, la rigenerazione dei cedui tagliati a raso è legata al mantenimento in vita degli alberi più piccoli, all’emissione di nuovi germogli (polloni) della base dei tronchi (ceppaie) degli alberi abbattuti, ed al controllo della proliferazione delle piante infestanti. In caso di buona-gestione i manutentori del bosco si preoccupano di curare gli alberi risparmiati dal taglio e si assicurano che la germinazione delle ceppaie avvenga regolarmente e provvedono alla pulizia del sottobosco. Oggigiorno chi tagli i cedui lascia pochi, se non nessun, albero in piedi ed impedisce la rigenerazione delle ceppaie che “soffocano” perché ricoperte da un’ingente quantità di frasche, la mancata manutenzione poi, favorisce il proliferare delle piante infestanti che non più regolate dai tagli sono libere di crescere copiose. Impressionanti in tal senso sono le infestazioni della Felce aquilina e dei Rovi.
Conclusioni
È evidente che i rischi derivati dalla cattiva gestione dei cedui non sono compatibili con la pubblica sicurezza, ed appaiono ancora più drammatici se rapportati alla città di Castellammare di Stabia che si sviluppa per gran parte del suo territorio alle pendici del monte Faito. La storia recente della città è, infatti, piena di eventi funesti legati al dissesto idrogeologico e agli incendi.
Buona cosa sarebbe che le istituzioni preposte al controllo e alla tutela del territorio si attivassero per il controllo della gestione dei cedui.
Nel caso che il bosco conservi la sua caratteristica di ceduo, il proprietario e chi provvede al taglio, sono tenuti ad attuare tutti gli interventi necessari per mantenere e ripristinare la sua efficienza e produttività. La coltivazione non si deve limitare al prelievo di massa legnosa attraverso il taglio a raso allo scadere del turno.
Nel caso che il proprietario decida di non voler più tagliare il bosco deve attivarsi, aiutato dalle istituzioni, affinché il bosco perda le caratteristiche di ceduo e riacquisti quelle naturali, ciò può essere fatto con interventi mirati di rinaturalizzazione che prevede lo sfoltimento selettivo degli alberi che deve favorire le specie autoctone, il controllo delle piante infestanti, la pulizia degli impluvi.
Da non sottovalutare sono anche gli aspetti legati al paesaggio: per una città che punta al rilancio turistico come Castellammare è fondamentale conservare o far rinascere un orizzonte paesaggistico il più “naturale” possibile, per lo stesso motivo è importante favorire con incentivazioni tutte quelle attività artigianali basate sull’utilizzo del legno, una ripresa del mercato e la prospettiva di rendite migliori spronerebbero inoltre i proprietari dei boschi a gestire meglio il patrimonio boschivo.
Particolarmente interessanti appaiono anche i risvolti ludico-istruttivi che un bosco, ceduo o naturale che sia, può offrire. La cura del bosco garantirebbe un efficiente viabilità minore, sentieri e mulattiere ben tenuti offrirebbero ai giovani, ai turisti e agli appassionati escursionisti la possibilità di accedere all’immenso patrimonio di conoscenze che si possono apprendere dal contatto diretto con la natura, questo garantirebbe sicuri e positivi riscontri sulla vita sociale della comunità. Del resto come diceva San Bernardo da Chiaravalle “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà“.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
Note:
- Questi era un esperto posto alle dirette dipendenze del Sacro Regio Consiglio con l’incarico di descrivere, misurare ed apprezzare fondi urbani, territori, strade, palazzi, ecc. (C. Vanacore, 2002).
- Castellammare di Stabia nel XVII secolo era feudo della famiglia Farnese.
- L’operazione di vendita o di acquisto di un qualunque ufficio comunale veniva effettuato mediante asta pubblica e durava il tempo di una candela accesa. (C. Vanacore, 2002).
- Erano le garanzie date con atto pubblico. (C. Vanacore, 2002).
- Fascio di ramoscelli e frasche da bruciare. È di uso comune nel napoletano indicare il pane casereccio come “Pane cotto a fascine”.
- Le piante infestanti, localmente note come ‘malevera’ = malerba o, erbaccia, sono specie non coltivate perché non rivestono nessuna funzione utile per l’uomo, convivono con le piante coltivate e in particolari condizioni, come può essere l’abbandono del coltivo, sono capaci di riprodursi velocemente e soppiantare le specie coltivate.
Testi consultati:
- CATELLO VANACORE, 2002. Castellammare nel XVII secolo. Grafiche Somma, Castellammare di Stabia.
- GIACOMO DEVOTO, 2003. Dizionario etimologico. Edizioni Mondatori S.p.A., Milano.
- JACQUES BROSSE, 1998. Mitologia degli alberi. RCS Libri S.p.A., Milano.
- MARCO PACI, 2004. Current problems of close-to-nature silviculture in Italy. Forest@ 1 (2): 59-69. [online] URL: http://www.sisef.it/
- SANDRO PIGNATTI, 1982. Flora d’Italia, Vol. I, II, III. Edagricole, Bologna.