I ragazzi del Viale Europa
di Raffaele Scala & Antonio Aprea
In memoria di Giovanni Zeno,
sindacalista (1943 – 1997)
In questi anni ho raccontato molte vicende sindacali, alcune risalenti alla fine dell’Ottocento, molte altre alla prima metà del Novecento, fino ad arrivare all’ultimo ventennio del secolo scorso, quando ho intrapreso la ricostruzione delle vicende sindacali legate al Contratto d’Area Torrese Stabiese.

La prima pagina di Metropolis del 1994 uscita in edizione straordinaria all’indomani della nascita della Tess e del riconoscimento dell’area di crisi torrese stabiese
Per una volta voglio soffermarmi su un aspetto particolare, tratteggiando alcuni degli attori principali della Camera del Lavoro di Castellammare di Stabia, protagonisti delle vicende che portarono il nostro circondario sulle pagine della stampa nazionale negli anni che vanno dal 1991 al 2000.
Una storia lunga un decennio, durante il quale accaddero una serie di fatti, politici, sindacali e umani, ma soprattutto un periodo proficuo di idee nate dal confronto di uomini e donne e da loro portate avanti, che merita di essere raccontato, ripercorrendo i profili di quanti hanno lasciato, seppur minuta, un’indelebile traccia nella cronaca di quest’area tanto impervia.
Furono anni caratterizzati da quel sottile senso di fratellanza che nasce soltanto dalle tante difficoltà incontrate lungo il difficile percorso intrapreso, facendo comprendere ai vari protagonisti con quale spirito la Cgil stava portando avanti il compito che si era prefisso.
Il lembo di terra che va da Torre del Greco e si protende sino alla penisola sorrentina aveva, e per alcuni aspetti ancora possiede, una tradizione industriale.
Un settore, questo dell’industria, che, oltre a produrre ricchezza, rappresentava luoghi di democrazia operaia, la cui forza andava oltre i ristretti opifici irradiandosi sull’intero territorio circostante con la sua capacità di assumere iniziative in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni locali e centrali, spesso incapaci di assolvere al proprio ruolo di garanti, fino a portarli sulle proprie posizioni e risolvendo situazioni che non riguardavano soltanto la fabbrica ma l’intera società.
Erano anni quelli in cui non si contavano le manifestazioni di protesta contro la camorra e le cattive amministrazioni locali e centrali. Un binomio, anzi un “trinomio”, camorra, imprenditori e istituzioni che, in particolare in alcuni settori, costituiva, e per certi aspetti ancora lo caratterizza, l’aspetto più negativo dell’area torrese stabiese sorrentina.
La crisi industriale dell’area torrese stabiese trovava la sua origine nel lento e progressivo declino iniziato, sul finire degli anni Settanta.
Completato nel corso del lungo decennio degli anni Ottanta, con l’abbandono delle partecipazioni statali e la consequenziale, irreversibile crisi dell’indotto, provocando fallimenti, chiusure d’opifici e un lungo interminabile stillicidio di licenziamenti.
In quegli stessi anni, verso la seconda metà degli anni Ottanta, si andò costituendo quel gruppo di compagni, chiamato a dirigere le diverse categorie sindacali presenti sul territorio.
La svolta, quella vera si ebbe nella primavera del 1991 quando giunse anche Giovanni Zeno, chiamato a dirigere la Camera Confederale del Lavoro comprensoriale, in sostituzione di Carlo Corretto, destinato a ricoprire un altro incarico nel capoluogo campano.

Da sinistra verso destra, Antonio Aprea, Giovanni Zeno e Antonio De Falco, in una foto del 1996 scattata al Congresso nazionale della Cgil a Rimini
In definitiva alla viglia del Congresso sindacale che si tenne nel maggio di quello stesso anno, la situazione alla CGIL di Castellammare era la seguente: Giovanni Zeno rivestiva il ruolo di neo Segretario Generale comprensoriale lasciatogli da Carlo Corretto;
il comunista Alfonso Natale, con i socialisti, Renato Tito, e Giuseppe Mogavero componevano la segreteria comprensoriale;
alla guida delle diverse categorie vi erano Catello Di Maio e Domenico Granata per i metalmeccanici della Fiom, Raffaele Scala e Pasquale Nigro per gli edili della Fillea, Antonio Mosiello, sostituito in seguito da Orazio Caccia per l’agroindustria, il napoletano Antonio Aprea, in sostituzione del salernitano Umberto Apicella, per il settore turismo commercio e servizi, Pasquale Petrazzuolo per la Scuola, Antonio Santomassimo e Giovanni Di Lauro per la Funzione Pubblica, Lia Santacroce per i pensionati.
La prima decisione intrapresa dal gruppo dirigente fu quella di arginare l’emorragia di licenziamenti, passando al contrattacco, avanzando nuove proposte tendenti a frenare lo stillicidio quotidiano di annunci riguardanti la riduzione di personale e la messa in cassa integrazione degli esuberi, anticamera dei licenziamenti veri e propri.
La crisi imperversava e sembrava inarrestabile, segnando la fine di un epoca, quella della vecchia e antica Stalingrado del Sud, titolo conquistato dal movimento operaio con le sue lotte prodigiose negli anni furiosi del dopoguerra.
Prima di ogni altra iniziativa Zeno ritenne necessario rimettere in movimento la stessa organizzazione sindacale, vittima, secondo la sua visione, di un evidente disordine organizzativo e che trovava origine nella mancanza di un raccordo vero tra la Confederazione e le diverse categorie, ognuna abituata ad agire senza concertare le iniziative con il Centro decisionale rappresentato dalla Camera Confederale del Lavoro.
Quello di cui si avvertiva una forte necessità era una direzione che avesse la capacità di creare un reale coinvolgimento dell’intera organizzazione, un comune sentire, un comune obiettivo.
Zeno avvertì la necessità di trovare, proporre un nuovo modo di contrattazione del territorio, centralizzando le decisioni, amalgamando le diverse strategie, là dove c’erano, analizzando le singole situazioni dei diversi siti produttivi e manifatturieri.
Insomma, di lavoro da fare ce n’era in abbondanza e l’intuizione del gruppo dirigente fu proprio quella, non soltanto di capire cosa stava accadendo, provando ad arginare la difficile situazione utilizzando l’esperienza dei lavoratori, capaci di adattarsi ai nuovi processi tecnologici, di produrre dimostrando di essere competitivi su un mercato che si avviava sempre di più verso la globalizzazione, ma di fare nuove proposte, ridisegnando il territorio, la sua funzione, costruendo la prospettiva, quella che definimmo la Città Futura.
La prima, vera difficoltà che si trovò ad affrontare il nuovo Segretario Generale fu quella di provare ad amalgamare il gruppo dirigente, portandolo sulle sue posizioni.
Cosa non facile considerando che ogni singola categoria si riteneva depositaria di una sua verità fatta di presunte strategie e capacità organizzative.
L’abilità del nuovo segretario risiedette nella capacità di non urtare la suscettibilità di nessuno, trovando gli argomenti adatti e i metodi di comportamento più consoni da tenere.
Il lavoro più difficile fu di vincere la tipica diffidenza degli stabiesi nei confronti di quanti provenivano da altri territori – che ha talvolta creato tensioni più o meno percettibili.
Ma trovare soluzioni, proporre nuove iniziative, erano e sono i compiti di ogni buon dirigente sindacale e le difficoltà furono con intelligenza e pazienza, seppure lentamente, superate.
E anche se talvolta ne nacquero discussioni, alcune veementi, l’obiettivo di trovare un accordo nel quale si riconoscessero tutte le categorie, mettendo al centro della strategia il Progetto che si proponeva, fu pienamente raggiunto.
Le prime vere riunioni con tutti i Segretari Generali delle diverse categorie si ebbero fin dal luglio 1991, partendo dalle diverse esperienze vissute nei vari settori e nelle aziende produttive più importanti del comprensorio, accumulando informazioni utili per realizzare una proposta generale che accogliesse in sé tutte le reali necessità non tanto e non solo delle singole aziende o settori produttivi ma dell’intero territorio in questione.
Al Progetto ci lavorammo un po’ tutti – pur rimanendo ognuno con le sue private diffidenze, le proprie perplessità sulla fattibilità del Programma, con Giovanni Zeno che fungeva da coordinatore.
Il nuovo Segretario portò prima in discussione il nuovo modo di essere, di porsi, di lavorare all’interno dell’organizzazione, poi quale metodologia utilizzare nelle vertenze, non solo nei posti di lavoro ma anche nei confronti delle istituzioni locali, provinciali, regionale, finanche nei confronti del governo nazionale, che inizialmente ci sembrò troppo ma poi dovemmo ricrederci visto che alfine divenne quasi il nostro unico interlocutore istituzionale.
Ridare dignità a un territorio produttivo – anche dal punto di vista storico – era e rimane tuttora una delle primarie esigenze dell’area torrese stabiese nell’ambito del mercato così detto globale e le premesse per riuscire in questa impresa c’erano tutte.
I serrati confronti all’interno dell’organizzazione sindacale, prima nella Cgil poi in quello, non meno difficile e tortuoso, con le altre due confederazioni, Cisl e Uil, ebbero il merito di risvegliare l’interesse del più complessivo mondo del lavoro.
Sulla base di queste considerazioni intraprendemmo tutte le iniziative utili alla raccolta di dati – per i quali ci avvalemmo anche dell’ausilio di esperti esterni – per poter provare con certezza quasi scientifica, se effettivamente il lavoro, ancora in corso d’opera, avesse imboccato la giusta direzione.
I dati messi insieme diventarono fonti di lavoro stimolanti, anche perché ognuno di noi aveva maturato precedenti esperienze in altre categorie e notammo che nonostante le diffidenze iniziali, il compito intrapreso ci appassionava ogni giorno di più.
In quel 1991 l’idea era di ritornare nei luoghi di lavoro con maggiore convinzione, con l’intenzione di apportare modifiche al sistema di sviluppo dell’intero comprensorio e mettere insieme i lavoratori di ogni singola realtà dell’area in questione, ognuno dei quali credeva di possedere la soluzione ad ogni problema, senza essere compreso.
La stampa cominciò a seguirci con un certo scetticismo, forse per pura curiosità, ma, incuriositi, in verità, lo eravamo anche noi di vedere quali traguardi avremmo raggiunto.
Il primo sistema ipotizzato idealmente nel contratto era un progetto mirato alla creazione di luoghi manifatturieri che salvaguardassero anche l’ambiente e la promozione dello stesso, celebrando la compatibilità tra ambiente turistico e dei servizi ad essi collegati con la presenza dell’industria.
La principale preoccupazione fu quella di evitare aggressioni al territorio sul piano speculativo, puntando ad attirare un imprenditoria seria interessata ad investire seriamente sull’area torrese stabiese per realizzare complessi turistici, parchi scientifici, alberghi e porti turistici al fine di garantire uno stabile aumento dell’occupazione.
A distanza di tanti anni si deve riconoscere che alla fine siamo stati sconfitti, seppure inizialmente la Vertenza sembrò assumere la giusta direzione e primi importanti risultati non mancarono come il porto turistico, l’albergo di Pozzano, i due Centri commerciali di Torre Annunziata e Pompei.
Tutti gli altri progetti, i più importanti, rimasero invece sulla carta. Altri hanno chiuso dopo pochi anni di produzione, proprio quelli sui quali maggiormente contavamo per incrementare l’occupazione operaia.
Di qualcuno si parla oggi – a distanza di venti anni! – di avviarlo concretamente, vedi il progetto sull’ex Tecnotubi di Torre Annunziata.
Gli sforzi compiuti, gli obiettivi raggiunti ed il lavoro prodotto furono merito dell’intero gruppo dirigente sindacale del comprensorio di Cgil, Cisl e Uil, ma soprattutto il merito principale lo si deve alla figura indimenticabile del caro Giovanni Zeno, scomparso nel dicembre 1997. Anche lui faceva parte dei Ragazzi del Viale Europa, anzi era, indiscutibilmente, il Capo riconosciuto.
Questo appellativo. – I ragazzi del Viale Europa – ci fu affibbiato dal compagno Pasquale Nigro, oggi tranquillo pensionato, che aveva l’abitudine di chiamarci così durante le riunioni.
Il termine ragazzi, esilarante di per sé, se si pensa all’età media dei componenti della Cgil, fu comunque un aspetto simpatico che rese più sopportabili le difficoltà iniziali e in un certo senso originò una sorta di amicizia colorando le giornate di noi ragazzi cresciutelli e non tanto musoni quanto si potesse inizialmente credere.
Il clima tra noi era generalmente intriso di comprensione, ironia, affetto e continui confronti. Nello scrivere queste note il mio pensiero chiaramente ritorna ancora a Zeno, al quale vorrei rendere omaggio ancora una volta.
Ricordo i nostri ultimi incontri, i nostri discorsi ed i progetti legati al lavoro – cosa per la quale dedicava anima e cuore – ricordo la sua voglia di migliorare. Un’eredità purtroppo ormai perduta per sempre.
1.2. I ragazzi del Viale Europa erano un gruppo ristretto di compagni che dirigevano, sia confederalmente sia categorialmente, la Camera del Lavoro comprensoriale che aveva il suo capoluogo in Castellammare di Stabia.
Fu anche un periodo di grande fertilità umana tra persone. Ci furono non solo scambi d’esperienze lavorative, ma si vissero, fortunatamente, anche delle situazioni esilaranti, episodi divertenti, scherzi camerateschi, ironie talvolta pesanti su questo o quel compagno o su altri soggetti esterni all’organizzazione, ma sempre vissuti in uno spirito goliardico.
Il nostro lavoro era pesante, stressante, spesso si cadeva nell’esasperazione. Vi erano intere settimane di lavoro in cui davvero non si aveva neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo, presi dalla crisi dei vari settori produttivi, dalle continue richieste di cassa integrazione, dalle minacce di licenziamenti, da riunioni esasperanti, spesso inutili che non ci davano tregua. Eppure nonostante tutto, come per una sorte di magia, ogni tanto ci prendevamo una pausa.
Tutto accadeva improvvisando, decidendo di diventare, come amava dire il buon Tonino Aprea – tutti dei giullari, innescando un meccanismo che prendeva un po’ tutti.
Così, per esempio, si creava quella che Antonio Aprea – ancora lui! – Segretario della Filcams, definiva una zingarata, cioè una fuga verso il divertimento puro, una serata tra compagni senza pensieri di lavoro, provare a cancellare per qualche ora i problemi che ci affliggevano.
Ma anche questo non era semplice perché doveva essere una serata tra uomini e basta, ma questo era reso complicato dalla presenza della moglie di uno dei dirigenti della Camera del Lavoro, che alla Camera del Lavoro lavorava come addetta alla segreteria tecnica.
I compagni erano Alfonso natale e Giusy Bruno. Era difficile proporre una zingarata in Cgil senza che Giusy non lo sapesse. In verità non è che si andasse a fare cose proibite o chissà che, non era questo il tenore delle nostre uscite: tutto si riduceva ad una pizza, una cena, una serata al Rocky bar.
Non credo che Giusy fosse gelosa di queste nostre uscite, la sua ira era rivolta a tutti perché voleva essere partecipe di queste nostre strane, improvvisate serate.
Probabilmente sarebbe stato giusto farla partecipare se non altro perché si concretizzavano sempre e soltanto in tarda serata e comunque sempre dopo fine lavoro, perché le cose non le abbiamo mai fatte di mattina o di mezzo pomeriggio.
Il lavoro veniva sempre prima di tutto, poi potevamo dedicarci a queste nostra sfacchinate notturne in qualsiasi giorno della settimana. Posso dire che ci sono state memorabili serate che ancora di più facevano consolidare il gruppo.
Nel lavoro ognuno dava all’altro qualcosa e anche questo, bisogna riconoscerlo, era parte di un clima che si era creato, di una fase importante della nostra vita e della storia di questo comprensorio.
Pasquale Nigro, ex operaio della Fincantieri, era un organizzatore nato e l’unico che sapesse suonare più di uno strumento musicale, oltre ad avere un timbro di voce particolarmente possente con il quale dava fondo a tutto il suo repertorio in ogni occasione.
Questo ci dava dei momenti di vero svago. Ma se Pasquale aveva le sue peculiarità, gli altri compagni non erano da meno e di ognuno si poteva dire qualcosa: Alfonso Natale, per esempio, era un dolente, un pigro e faceva fatica a starci appresso, non da meno era Alfonso Selleri, purtroppo prematuramente scomparso alcuni anni fa.
Selleri era un poco il nostro padre putativo, quello che ci richiamava all’ordine se cominciavamo a spendere qualche lira in più. All’opposto non si tirava mai indietro nella partecipazione alle serate, anzi era quello sempre disponibile nove serate su sette, come amava dire, scherzando sulla sua voglia di vivere, sempre e comunque, la notte.
Lui era il coordinatore delle zingarate, l’uomo della notte, grande conoscitore della qualità della vita, buon intenditore dei nostri migliori vini e di altro.
Le nostre serate non erano mai preordinate. Quando si decideva, i compagni che in quel momento si trovavano in CGIL inventavano la serata, magari facendo qualche giro di telefonate per chiamare chi era assente.
Quando si andava in uno di questi locali caratteristici per sentire un po’ di musica o per mangiare delle cose sfiziose ci si metteva in libertà e non mancavano mai, per puro divertimento, battute ferocissime sugli eventuali altri clienti del locale, senza però farlo notare all’interessato.
Insomma era un gruppo che aveva questa grande qualità, ci si divertiva in maniera irrefrenabile, mantenendosi sempre nei limiti del buon gusto.
E’ capitato, in qualche occasione, di averli superati, ma non abbiamo mai danneggiato nessuno. Potrei raccontare diversi aneddoti, come quando decidemmo una famosissima serata, diventata leggenda metropolitana.
L’intero gruppo una sera chiese ad Antonio Aprea di organizzare una serata. Era lui il conoscitore, in quanto segretario del settore terziario, dei migliori ristoranti dove si poteva mangiare bene senza spendere molto.
Ma quella sera Antonio volle strafare e chiamò uno di quelli con il quale era in maggiore confidenza, il suo amico, Franceschiello, che aveva un bellissimo locale in posizione stupenda tra il capo di Sorrento e Massalubrense, che cucina piatti nostrani tipici, compresa la nouvelle cousine, come dicono gli esperti.
Alla serata, in via eccezionale, Giovanni volle invitare anche Sandra Macci della Filt Trasporti della Campania. Quella sera c’eravamo tutti e ci accomodammo intorno a un tavolo grande, tondo. Il clima che da subito s’instaurò lasciò presagire che avremmo vissuto una gran bella serata, anzi una serata eccezionale.
Stavamo bene, alcuni di noi stavano in serata di grazia e allora barzellette, battute, aneddoti e risate scorsero a fiumi come il vino nei bicchieri. Una serata indimenticabile. Dopo cenato andammo, ancora una volta coinvolti dal nostro Antonio, in un locale dove c’era musica dal vivo e li finimmo la serata coinvolgendo tutti i compagni.
Fu una serata travolgente che coinvolse perfino Alfonso Natale, un compagno che con qualunque temperatura sta sempre in giacca e cravatta e Catello Di Maio, un poco restio a queste serate. Non è l’abito che fa il monaco, ma sono le situazioni che generano i fatti.
Quegli anni, ormai lontani io li ricordo come se fosse ieri: eravamo simili a soldati ligi alla ferrea disciplina del lavoro, ma senza perdere nulla della nostra voglia di vivere, elettrizzati dal clima che si era creato tra noi, dall’amicizia nata, tra alcuni anche profonda e sincera e comunque con tutti e tra tutti si erano ottimizzati i rapporti, elevando, se possibile, il lavoro a divertimento.
Fu allora che Antonio coniò questa frase:
“E’ un piacere venire alla Cgil di Castellammare a lavorare perché non si lavora, ma ci si confronta con tutti, anche con le nostre gelosie e i nostri modi di fare”.
Come ho già avuto modo di dire, il bello della Camera del Lavoro di Castellammare, di questo gruppo che si era andato formando, erano le personalità, i caratteri dei tanti compagni con i quali ho vissuto questa originale esperienza.

Da sinistra due giovani sindacalisti su un cantiere di Castellammare, Matteo Vitagliano e Raffaele Scala rispettivamente Segretari Generali comprensoriali, il primo della Filca Cisl e il secondo della Fillea Cgil. le sigle sono del sindacato edili delle due categorie.Siamo alla fine degli anni Ottanta
La descrizione della personalità che mi riguarda la lascio all’amico e compagno, Antonio Aprea che così mi ha descritto:
“Raffaele Scala era, con Giovanni Zeno, l’intellettuale del gruppo, l’unico tra noi che avesse studiato veramente, che avesse una laurea – la laura, come dicevo io per sfruculiarlo – sempre con un libro tra le mani da leggere, con una frase sempre pronta in ogni occasione.
Tremendamente serio nel suo ruolo di dirigente sindacale, forse eccessivamente rigido con i padroni, ma anche ombroso da far paura. Se una cosa non gliela dicevi in un certo modo allora lui si adombrava.
E per questa sua particolarità molte volte inventavamo delle questioni per vedere la sua reazione”.
Di Alfonso Natale, di questa sua pigrizia, tutta stabiese, ho già detto.
Poi c’era Antonio Santomassimo che con il suo modo arguto di fare sembrava una volpe con le orecchie ben tese.
Non ho mai capito se era solo diffidenza innata o era questo timore di portarsi appresso quello di essere minoranza politica in CGIL, essendo socialista.
Poi c’era Gaetano De Crescenzo, anche lui scomparso, il compagno che stava all’Inca, col suo modo di fare, con i suoi computer, con i suoi dischetti.
Gaetano era uno che lo potevi anche rosolare, metterlo di sponda, ma ne usciva sempre bene, riuscendo ad ammortizzare bene tutti gli scherzi che si potevano costruire su di lui con apparente indifferenza.
Del gruppo faceva parte anche Giovanni Di Lauro, un dipendente del comune di Portici ma originario di Boscotrecase, comune nel quale ha ricoperto la carica di consigliere comunale per il Partito Democratico, dirigente della Funzione Pubblica e per qualche tempo Responsabile della Camera del Lavoro di Torre Annunziata.
Giovanni era una persona gioviale, aperta, simpatica, un amante della bella vita, un viveur senza molte pretese e di grande e piacevole compagnia. Lavora ancora al comune di Portici, dove si è trasferito definitivamente, lasciandosi alle spalle la militanza sindacale e politica ma sempre orientato a sinistra.
Antonio Aprea, era ed è, un napoletano doc, un verace figlio del popolo, intelligente e furbo, capace di districarsi nelle faccende più complicate, spesso insidiose del lavoro sindacale.
Non a caso è uscite indenne dalle mille bufere che hanno attraversato questi anni le vicende, poco piacevoli, sia esterne che interne alla Cgil. Oggi è un tranquillo pensionato. Gli auguro di godersela per lunghi anni ancora.
Ricordo quando con Gaetano organizzammo un formidabile scherzo alla povera Giusy. Eravamo a tavola, al ristorante, Le Palme, nei pressi della stazione ferroviaria di Pioppaino, dopo un convegno sindacale, Giovanni Zeno, Antonio Aprea, Gaetano De Crescenzo e il sottoscritto.
Scommettendo sulla mancata conoscenza del significato della parola “iato” da parte di Giusy e puntando sul suo carattere generoso, sempre pronta a difendere un compagno nei guai, quello stesso pomeriggio, appena rientrati in Cgil, ci s’inventò un litigio politico tra Giovanni e Gaetano alla presenza della vittima designata.
Durante la feroce discussione, imitata ad arte, Giovanni usava spesso il termine <iato> come una sorte di clava, di minaccia.
Giocando un ruolo che gli era proprio, ad un certo punto Giovanni ordinò a Giusy di preparare una lettera contro il responsabile dell’Inca, citando ancora una volta il termine iato come se questo dovesse quasi significare il motivo del licenziamento del povero Gaetano.
Giusy si trattenne finché poté, poi esplose contro il segretario a difesa di Gaetano, provocando le immediate risate dei presenti.
Giusy sbandò per un attimo poi improvvisamente si rese conto di essere caduta in una trappola, d’essere vittima di uno scherzo e reagì a suo modo, con un formidabile schiaffo al Segretario Generale, dato per stizza e per vendetta.
Questo eravamo! Però come spiegarlo a chi non ha vissuto quei momenti? Come ricostruire quei giorni, quelle settimane, quei mesi, ed infine anni, sei per l’esattezza, fino alla scomparsa prematura di Zeno, vissuti in quel modo?
Ho scritto la storia del Contratto d’area, in parte pubblicata su Libero Ricercatore in diverse puntate, una storia di popolo, a suo modo una epopea, una storia ormai lontana, ma quella storia fu diretta da un gruppo ormai disperso, di cui forse nessuno si ricorda più, ma non ho raccontato chi era quel gruppo, chi erano quelle persone prese fuori dal loro contesto lavorativo.
Diceva Antonio Aprea: “C’è chi fa la guerra con i missili intercontinentali a testata nucleare, noi facevamo la guerra con i bottoni, perché erano queste le armi a nostra disposizione, per rispondere alle drammatiche situazioni del nostro comprensorio.”
Le cose da fare erano tante e spesso non era sufficiente la nostra volontà, lo spirito di abnegazione serviva a ben poco contro chi aveva il potere di fare e non voleva o, sua volta, non poteva, e allora lo sconforto a volte ti prendeva e volentieri avresti mandato tutti al diavolo.
Ma poi, anche in quei momenti di grande difficoltà o di grande tensione, bastava che uno di noi desse il là e si stemperava il clima, trovando la soluzione, se non al problema di per sé, alla fase critica che si viveva in quel momento.
Ricordo una volta in un direttivo unitario Cgil Cisl Uil presso la Cisl di Castellammare, al Corso Vittorio Emanuele.
Nella sala riunioni c’era un clima di tensione per tutta una serie di scadenze di cassa integrazione e in molti avevano sul collo il fiato degli operai stanchi, sfiduciati e inferociti per i risultati che non arrivavano e lo stipendio che mancava da troppo tempo.
Non c’era di che scherzare e la riunione poteva sfociare in una qualsiasi maniera, nei confronti di una singola organizzazione e di un singolo compagno, sui quali gravavano maggiori responsabilità.
Se questa tensione era pilotata nei confronti di qualcuno, con l’intenzione di scaricare su altri i propri limiti, questo non era dato sapere, potevamo avere solo sospetti.
Mi ricordo che questa situazione stava diventando incontrollabile, c’era chi gridava, chi minacciava, chi sproloquiava. Intervenne allora il compagno della Uil di Castellammare, Catello Agretti, provando ad allentare la tensione. Si tentava di venirne fuori ma praticamente non ci si riusciva.
Doveva essere estate, faceva molto caldo e la tensione era tale che sembrava non si potesse più contenere. Mentre Catello parlava, tentando di placare gli animi, la tensione cresceva sempre di più.
All’improvviso Antonio Aprea chiese la parola per dire, come se nulla fosse, se non era il caso di fare una pausa e prenderci tutti quanti un caffè. Nella tensione generale tutti guardarono Aprea. Più di tutti. Giovanni Zeno lo guardò come a dire:
“Scusa ma come ti viene di dire che bisogna prendere un caffè?“
Antonio rispose ridendo che forse a quel punto conveniva sdrammatizzare l’assemblea.
“O qui ci prendiamo tutti un caffè o si esce in malo modo. Rendiamoci conto che la situazione è a dir poco incresciosa.”
La cosa simpatica quale fu? Che in tanti, in troppi gli si rivolsero contro dicendo che stava provocando. Ma ciò nonostante fu accettata la pausa. Ma il vero divertimento venne dopo.
Eravamo almeno un centinaio tra dirigenti e delegati e alla fine Ciro Fine, un dirigente della Cisl scomparso prematuramente nel dicembre 1994, se ne uscì dicendo che doveva essere Antonio a pagare in quanto era lui il primo richiedente, colui che lo aveva preteso.
La battuta di Ciro Fine suscitò l’ilarità dei presenti e al povero Aprea non restò che pagare, non facendo valere l’ospitalità della Cisl, ma scaricando semplicemente il costo su chi aveva proposto di prendere il caffè.
Questo per dire che si poteva uscire fuori da situazioni imbarazzanti con prontezza di spirito e con ironia anche con una battuta.
Questo eravamo noi, il gruppo dei ragazzi del Viale Europa. Di aneddoti e paradossi se ne potrebbero raccontare tanti perché molti furono i momenti di tensione e sempre c’era qualche compagno che trovava la battuta di spirito necessaria per stemperare gli animi, restituire la serenità.
Mi piace concludere questo mio spaccato sul clima e sui compagni della Camera del Lavoro di Castellammare riconoscendo la grande capacità di avere modificato il carattere di un uomo per certi versi scorbutico e chiuso come quello di Giovanni Zeno.
Persona diffidente verso quanti non la pensavano come lui, vendicativo con chi lo ostacolava nei suoi progetti, perfino snob nei confronti di compagni e dirigenti sindacali da lui considerati diversi o per certi versi anche inferiori sul piano sociale e culturale.
A Castellammare Giovanni Zeno si aprì alla confidenza, ritrovando una serenità che forse gli mancava da molto tempo. Poi tutto finì.