LA MOSTRA DEL CARAVAGGIO A NAPOLI TRA POLEMICHE E “COLORI POLITICI”
Nuovo interesse per il “caravaggio” stabiese
di Antonio Ziino
Le polemiche sulla mostra del Caravaggio a Napoli, dove “niente succede a caso, come si dice”, dilagano e fanno scoprire aspetti che, forse, con l’arte in genere e con Caravaggio in particolare hanno nulla a che vedere. Infatti, tra accuse, rilievi, giustificazioni, chiarimenti e risposte, non si parla quasi mai dell’Artista né dell’importanza didattica, pedagogica, riguardante la fruizione dell’opera d’arte.
Il fatto: Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte, uno dei più importanti siti museali d’Italia ed europei, presenta il programma culturale dell’Ente che prevede una mostra delle opere di Caravaggio, non presente a Napoli da quindici anni, da tenersi dal 12 aprile fino al 14 luglio. La Rassegna, di alto profilo culturale, pone la figura dell’Artista al centro di confronti dialettici soprattutto per la grande influenza esercitata sui pittori e di riflesso sull’arte specialmente di Napoli e dell’Italia meridionale. Insieme con altre opere, è prevista l’esposizione della grande tela connotata come le “Sette Opere di Misericordia” esposta sin dall’inizio nel Pio Monte di Misericordia, realizzata da Caravaggio nel 1607 nello stesso luogo.
Tutto è stato mentalmente concepito e tutto è stato mentalmente e serenamente organizzato per il trasporto dell’opera (olio su tela, misure 490 x 260 cm) e per l’esposizione logisticamente programmata anche in virtù dell’illuminazione e delle distanze visive.
Per la rimozione e trasporto dell’opera, però, si oppone l’ex direttore del Museo di Capodimonte e sovrintendente Nicola Spinosa per i motivi espressi in un articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiono e riportato dal “fanpage news”, cioè che la tela è troppo grande, che il trasporto è problematico e pericoloso, che, comunque, si sconsiglia l’operazione anche perché il Pio Monte di Misericordia fin dal 1603 ha stabilito, come da statuto, che l’opera non può essere né venduta, né ceduta. Quindi, il “Caravaggio” non può essere trasportato, per non provocare un … cataclisma! Ne è seguita una accesa discussione fra tecnici, intellettuali cultori dell’arte, che hanno contestato il parere di Spinosa e degli altri che si sono posti sulla stessa linea.
E’ seguita poi la risposta, autorevole e precisa da parte dell’Ente direttamente interessato, pubblicata sullo stesso organo di stampa: “Caravaggio può essere spostato e trasportato!
Infatti, la risposta è data, sullo stesso giornale, dal soprintendente del Pio Monte di Misericordia, Alessandro Pasca di Magliano, un esponente di primo piano della nobiltà napoletana, meritevole di iniziative culturali e sociali, il quale dice, con tutta l’autorità che gli compete, che fu proprio Spinosa, nella sua carica di direttore del Museo di Capodimonte, che nel 2014 chiese l’opera d’arte per la mostra di Caravaggio autorizzandone lo spostamento e precisa che non risponde al vero che la delibera assunta dal Governo del Pio Monte della Misericordia in data 27 agosto del 1613 stabilisse, come vorrebbe Spinosa, che “mai per nessun motivo, sia pure momentaneo e occasionale, la tela del Caravaggio poteva essere rimossa dalla sua chiesa”. Vero è invece che, con quella deliberazione, il Governo dell’Istituto decretò che “per nessun prezzo si possa mai vendere” ovvero definitivamente collocare altrove il dipinto in oggetto.
Secondo Alessandro Pasca di Magliano. Nicola Spinosa, nella sua qualità di direttore del Museo di Capodimonte, all’epoca dell’ultima mostra su Caravaggio a Napoli, copriva il ruolo di soprintendente e “provvide altresì a concedere il nulla-osta necessario al perfezionamento dell’operazione, riguardante, appunto, lo spostamento della tela di Caravaggio che sta suscitando in questi giorni tante diatribe.
Ma non è tutto: ciò che ha destato maggiormente sorpresa è stato il “no” del ministero competente alla richiesta avanzata dal direttore del museo per esporre la preziosa tela: I motivi, secondo il Ministro, archiviate le note storiche si arriva nel merito della richiesta fatta da Bellenger e al suo progetto di «movimentazione» dell’opera giunto al ministero il primo marzo scorso. Qualche giorno prima il Ministero aveva inviato al Pio Monte due studiosi per un sopralluogo, Carla Zaccheo e Paolo Scarpitti che avevano rilevato «il buono stato di conservazione in cui il dipinto si trova è dovuto non solo alle attenzioni dell’associazione, ma anche alla continuità del suo mantenimento in loco». E poi: «A sconsigliare una rimozione dell’opera dalla sua sede è il problema della movimentazione dell’opera. Considerata la sua notevole altezza (circa 4 metri) e il fatto che la tela si trova posizionata a tre metri di altezza si imporrebbe la necessità di installare un ponteggio. Tuttavia sia la penuria di spazio libero ai lati, sia l’angustia del passaggio di servizio che divide l’altare maggiore dal muro retrostante renderebbe l’operazione non impossibile ma macchinosa e quindi particolarmente rischiosa per l’integrità del dipinto con maggiori sollecitazioni a carico del telaio di sostegno e quindi della tela stessa»…per cui si sconsiglia il prestito (naturalmente l’argomento, seguito anche continuamente da Il Mattino, ha risonanza su tutta la stampa).
Le “Sette opere della Misericordia” è il soggetto di un dipinto del pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio, realizzato tra la fine del 1606 e l’inizio del 1607 e consegnato ai committenti il 9 gennaio di quell’anno. L’opera è conservata presso il Pio Monte della Misericordia di Napoli ed è la rappresentazione delle “sette opere di Misericordia corporali
La Congregazione del Pio Monte comprendeva tra i suoi aderenti anche Luigi Carafa. Colonna appartenente alla famiglia che agevolò la fuga di Caravaggio da Roma. Proprio per questo istituto fu commissionata ed eseguita la tela delle “Sette opere di Misericordia”.
L’opera in questione si rivelerà cardine per la pittura nel sud Italia e per la pittura italiana in genere, la cui composizione, rispetto alle pitture romane, è più drammatica e concitata, non presentando più un fulcro centrale dell’impianto compositivo ma una visione più ampia di cognizione scenografica. Infatti, l’opera pur nella sua ampiezza compositiva, appare serrata, concentrata, appunto, in una visione di insieme dove sono stati collocati personaggi che si presentano come attori in una scena che ricorda i vicoli di Napoli, di Forcella o di Spaccanapoli, ma l’insieme non sembra una composizione di genere., tant’è vero che sembra ambientata in un tipico vicolo popolare di Napoli. In alto troneggia la Madonna con il Bambino tanto a significare una gradualità e importanza di ruoli.
Le sette opere di misericordia sono nella tela così raffigurate:
- “Seppellire i morti”: è raffigurato sulla destra con il trasporto di un cadavere di cui si vedono solo i piedi, da parte di un diaconoche regge la fiaccola e un portatore.
“Visitare i carcerati” e “Dar da mangiare agli affamati”: sono concentrati in un singolo episodio: quello di Cimone (Valerio Massimo, che condannato a morte per fame in carcere, fu nutrito dal seno della figlia Pero e per questo fu graziato dai magistrati che fecero erigere nello stesso luogo un tempio dedicato alla Dea Pietà. Sullo stesso luogo fu poi edificata la Basilica di San Nicola in Carcere.
“Vestire gli ignudi”: appare sulla parte sinistra concentrato in una figura di giovane cavaliere (un San Martino di Tours) che fa dono del mantello ad un uomo dalla posa michelangiolesca visto di spalle; allo stesso santo è legata la figura dello storpio in basso nell’angolo più a sinistra: anche questo episodio è un riferimento alla agiografia di Martino, un emblema del “Curare gli infermi”.
“Dar da bere agli assetati”: è rappresentato da un uomo che beve da una mascella d’asino, Sansone, perché nel deserto bevve l’acqua fatta sgorgare miracolosamente dal Signore.
“Ospitare i pellegrini”: è riassunto da due figure: l’uomo in piedi all’estrema sinistra che indica un punto verso l’esterno, ed un altro che per l’attributo della conchiglia sul cappello (segno del pellegrinaggio a Santiago de Compostela) è facilmente identificabile con un pellegrino.
Per restare in argomento non si può far passaggio su di un’opera, copia di un Caravaggio, che si trova nella sala capitolare della concattedrale di Castellammare di Stabia.
Si tratta del “Sacrificio di Isacco”, recentemente restaurata per iniziativa dell’associazione culturale Myo: ne è autore, probabilmente, Alonso Rodriguez (Messina 1578-1648), quasi il più importante caravaggista della Sicilia. Il restauro è stato eseguito dai tecnici Salvatore D’Alessandro e Luigi Scavella con l’assistenza-controllo della funzionaria della Soprintendenza Angela Schiattarella, già nota per la sua solerzia, competenza e obiettività.
Fin qui, l’aspetto un po’ generale della Mostra che, assicurano, si farà. Certo, ma si farà come?, gira ancora tutto in un alone di attesa, di aspettative, di indecisioni. Morale della favola è che non si può sottostare ai signori del ”no” e ciò riguarda non solamente i quadri ma il blocco o il fermo di tante opere.
Tuttavia, le tante belle parole non servono. Nonostante i buoni propositi, nonostante il perfetto lavoro organizzativo, nonostante le giustificate attese del popolo che, nella sua genuina aspettativa, fuori da intrichi politici e burocratici, fra i tanti disastri, vedrebbe in questa iniziativa, oltre che per la piena fruizione dell’opera, anche uno spiraglio per contribuire all’opera di miglioramento delle sorti della Città. Sull’argomento non poteva mancare, e non è mancata la reazione del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che, facendosi anche interprete dei sentimenti dei napoletani tutti, ha vibratamente protestato. “Ho avuto modo già di parlare col Ministro”, incalza de Magistris. “Mi aveva dato assicurazioni che la mostra si sarebbe svolta anche con l’esposizione delle ‘Sette opere di misericordia’ di Caravaggio e lo spostamento dalla Cappella del Pio Monte. Invece hanno prevalso i veti incrociati, i professionisti dell’immobilismo, quelli che godono della cultura solo se la fanno loro. Ma la vera cultura è quella accessibile a tutti. Voglio dare atto, questo proposito, ai nostri due direttori, di Capodimonte e del Mann, di aver fatto un lavoro straordinario in perfetta connessione con la città e la popolazione, facendo avvicinare le persone alla bellezza. La partita non è finita, ci vuole una mobilitazione senza rancore, facendo capire che Napoli va avanti e che questa decisione del ministero è l’ennesimo errore. Non si può affidare il destino di una città a un dirigente ministeriale. Lo dico con rispetto ma non va bene. Chiamerò il Ministro per un intervento”.
Intanto, anche gli intellettuali e personaggi della cultura in genere, protestano contro le decisioni del Ministero e hanno sottoscritto una petizione sollecitando il Ministro a rivedere la sua posizione.
Prima di chiudere questa nota, sembra utile ricordare che Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nacque a Milano il 29 settembre 1571 e morì a Porto Ercole il 18 luglio1610. Bernardo de Dominicis, nella bozza della prima edizione del suo volume: “Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani”, lo dichiara figlio dell’architetto Fermo Merisi, colto per aver studiato i testamenti, e altre letture.
Il tutto il discorso, va inquadrato nel Seicento. Nel nuovo secolo, come per i due precedenti, è ancora l’Italia che apre la scena con la folgorante apparizione del Caravaggio che proprio a Roma, sede della corte papale, riconosciuta tale realisticamente centro di convergenza di interessi politici, culturali e artistici, luogo di irresistibile richiamo per numerosi artisti italiani e stranieri che affollano la capitale del Cristianesimo dando vita a una messe di opere e idee nella prospettiva di una fioritura di tutte le tendenze artistiche del secolo. L’Artista inizia proprio qui il suo fecondo percorso artistico. In tale clima, appunto, si muove il Caravaggio che, arrivato a Roma ancora adolescente, si ambienta nella corrente che si identifica come tardo manierismo e sblocca un linguaggio stagnante su ripetizioni e raffinatezze, già in via di esaurimento.
Sul Caravaggio sono stati scritti e si scrivono numerosi libri, riccamente illustrati, che trattano la vita e l’opera del grande Artista.
In sintesi, si può dire, senza annoiare il lettore, che l’elemento preminente del linguaggio di Caravaggio è la luce che viene distribuita senza preoccupazione sulle figure e sulle cose. Sprazzi di luce squarciano le tenebre violentemente e si posano sugli oggetti. E’ da notare che ciò va interpretato, secondo noi, come una reazione contro gli ideali umanistici che in precedenza avevano creato un mito della figura umana. Caravaggio guarda agli uomini e alle cose con occhi che appuntano il loro interesse critico sulla funzione che la luce svolge nella composizione delle forme: disegno, volume, colore. La realizzazione pittorica, caratterizzante uno stile nuovo, rispetto alla tradizione rinascimentale, denota capacità di visione rappresentante una scoperta di fondamentale importanza che apre le porte nella storia dell’arte, addirittura alla pittura moderna. Le sue opere, realizzate con durezza e drammatica fermezza, rivelano il carattere del Caravaggio rissoso, attaccabrighe. La sua vita è stata piena di travaglio e di violenza, forse, senza sbagliare troppo, si può dire come la sua pittura sia lo specchio del suo animo.
Il suo cammino errante è stato lungo e pieno di incertezze. Egli parte da Milano, suo paese di origine, va a Roma nel 1592, si sposta a Genova poi è presente a Tolentino, Palermo, Messina, Siracusa, Malta, due volte a Napoli (1606 e nel 1609), qui litiga con individui nelle bettole e con gli artisti locali, viene accusato anche di omicidio e scappa un po’ ovunque. Coperto però da protezioni potenti, grazie alla sua innegabile capacità artistica, è più volte perdonato. Non riesce, però, a stare fermo. Scappa da un posto all’altro fino a quando, da Napoli, forse ammalato e stanco di peregrinare, con una barchetta si avventura per le spiagge costiere sperando di raggiungere Roma: ma giunto a Porto Ercole è depredato di tutte le sue cose. E muore miseramente, di febbre malarica e di insolazione sulla spiaggia deserta.