Il Generale Paolo Avitabile e la sua abitazione a Castellammare
a cura di Giuseppe Zingone
Paolo Martino Crescenzo Avitabile, nasce ad Agerola il 25 ottobre del 1791 e muore nella sua patria natia, il 28 marzo 1850.
Mi ha sempre affascinato la figura di quest’uomo, la sua fama, il mito e l’alone di mistero che lo precedeva ovunque si recasse. Amo la sua terra natia, Agerola ed ogni volta che vi metto piede non posso far altro che pensare a Paolo Avitabile, alle sue imprese.
Ho trovato in rete un libro in pdf sulla sua vita, che rimettiamo in fondo alla pagina per chi volesse veramente conoscere la sua storia, purtroppo la trasformazione in pdf ha fatto sparire molte parole accentate, ma in linea di massima rimane un testo molto interessante pubblicato dopo la morte dell’autore professor Aniello Apuzzo, di cui ho molto apprezzato anche la parte introduttiva del libro con una contestualizzazione storica, che meriterebbe senz’altro di giungere sui banchi di scuola dei giovani del circondario. Parte meritevole di questa pubblicazione è del Dottor Francesco Cuomo che lo ha recuperato come egli stesso scrive da vent’anni di oblio, grazie anche al consenso dei familiari dello scomparso professor Apuzzo.
Le notizie che a noi interessano maggiormente vanno da pag. 60 a 65 che qui riportiamo:
Il Soggiorno a Castellammare di Stabia
La sua vita randagia era ormai conclusa; i suoi orizzonti geografici si erano ristretti tra Napoli e il suo paese natale. Abituato allo sfarzo delle corti, agli intrighi diplomatici, al comando degli eserciti ormai sentiva la stanchezza di quella vita tumultuosa in cui si insinuava sempre, occulta o palese, l’ombra del pericolo͘. Le tremende responsabilità del suo vicereame erano finite. Spinto da una forza misteriosa, ritornava alla sua terra natia, e rinunziando agli agi della vita mondana della capitale delle due Sicilie, apprezzò, finalmente, la tranquillità dei suoi monti, nei quali era nato e dove sperava ormai di vivere e morire. Continuava tuttavia, a mantenere contatti con la corte borbonica, dove era sempre ricevuto con gli onori dovuti al suo alto grado di generale e con quello strano interessamento, che circonda sempre gli uomini ricchi e misteriosi, avvolti nell’aureola della leggenda͘.
Sfruttando il suo prestigio e la sua influenza a corte, nel corso di quello stesso anno 1844, otteneva il distacco di Agerola dalla provincia di Salerno, facendola aggregare alla provincia di Napoli, la capitale del regno. Cosi Agerola amministrativamente, veniva separata dalla Costiera di Amalfi con cui aveva condiviso per secoli, periodi di splendore e decadenza. Agerola, fù aggiunta alla provincia di Napoli ma, per la giurisdizione ecclesiastica, rimase legata alla diocesi di Amalfi͘. I vantaggi di questo cambiamento, anche nell’epoca posteriore, si sono dimostrati veramente notevoli.
La situazione personale di Avitabile, nella vita tranquilla e sicura del Regno delle Due Sicilie, era profondamente mutata. Egli non era più un despota orientale, con diritto di vita o di morte sui suoi sudditi, non viveva più in uno stato al di sopra di ogni legge, la quale era rappresentata esclusivamente dalla sua volontà. Nella nuova situazione, pur essendo generale, era sempre un suddito del regno e perciò costretto ad osservare le leggi comuni. Però, oltre al suo prestigio possedeva immense ricchezze, con le quali, in tutti i tempi, e, specialmente in quelli borbonici, era molto facile eludere le leggi e far prevalere la propria volontà personale, salvando sempre le apparenze.
Nell’India, rivelando anche le qualità di un esperto economista, aveva concepito ed attuati un piano sicuro per far pervenire in Occidente attraverso il canale inglese, i suoi milioni di rupie, nel clima distensivo della sua patria, era totalmente impegnato in un vasto organico piano di investimento delle sue ricchezze.
La visione concreta dei suoi beni immobili doveva rafforzare i segni esteriori della sua potenza economica e le costruzioni da lui realizzate, rispondevano non soltanto alle esigenze di una vita comoda e fastosa, ma rivelavano la sua innata capacità di agire, di realizzare e lasciare ai posteri, il ricordo concreto della sua opera.
Egli cosi era continuamente impegnato a comprare terreni, boschi, case, per crearsi anche nuove fonti di reddito, per soddisfare la sua febbre di costruzione, per avere luoghi sempre più vasti, dove potersi sentire padrone veramente assoluto, e per avere sempre servi e operai ai suoi ordini.
In un primo tempo rivolse la sua attenzione e i suoi interessi alla zona di Portici, un territorio ameno e tranquillo nelle vicinanze di Napoli, dove era già una famosa reggia nella quale i sovrani borbonici trascorrevano i periodi di villeggiatura.
Con un atto notarile del 25 febbraio 1844, aveva comperato da Giustino Bisaccia case e terreni, nella località di Padula Casale alla Barra, (Portici) per un valore di venticinquemila ducati, e poi con un successivo atto notarile del 23 Maggio 1846 aveva ampliato la suddetta proprietà con beni acquistati da D. Amato Arace per un valore di quattromila ducati.
In quell’anno dovette risiedere spesso a Napoli, per sorvegliare personalmente i lavori di restauro e di ampliamento della villa recentemente acquistata.
Le vie di Napoli erano allegre e festose. I lazzaroni vivevano felici delle loro piccole case, ma quel chiasso rumoroso, gli doveva ricordare la vita delle città tumultuose dell’Oriente, che egli ormai voleva dimenticare, e allora rivolse i suoi interessi a Castellammare di Stabia, alla bella cittadina ricca di acque termali, mollemente adagiata sul mare, nell’angolo più suggestivo del Golfo di Napoli, alle pendici dei monti Lattari. Con un atto notarile del 3 Marzo 1846, comprò da D. Aleide Cuomo un fondo in Surripa per 2500 ducati, il 27 Marzo, un altro fondo sempre in località Surripa, da Giuseppe Iovane per duemila e duecento ducati, e il 30 Marzo il mulino Surripa del marchesino De Simone per 15.621 ducati. In quello stesso anno, il 25 ottobre compro da Innocenzio Longobardi il fondo Solaro per 12.400 ducati.
Però già dal 9 Maggio aveva acquistato dal signor Celotto, un palazzo al Quartuccio per 4764 ducati. Così per la somma totale di 32.721 ducati era venuto in possesso della più bella collina di Castellammare, situata in una posizione incantevole che domina la città e il golfo di Napoli e tutta la pianura dove si eleva solitario e maestoso il Vesuvio.
In Castellammare Avitabile aveva avuto un precursore, Catello Filosa un uomo che aveva avuto anch’egli una vita avventurosa in Oriente, e precisamente nelle Indie, e che era ritornato con ricchezze considerevoli nella sua città natia, dove era morto nel 1820, all’età di 75 anni͘. Filosa, a ricordo della sua vita orientale, aveva fatto costruire nei vigneti sovrastanti lo stabilimento delle acque minerali e i real cantieri navali, una residenza con due torri, chiamate “Le torrette del gran Mogol”, a ricordo della famosa dinastia indiana. Il Cotton, riferendo certe voci correnti ai suoi tempi, affaccia l’ipotesi che Catello Filosa era ritornato in patria “carico di oro e di infamia”, il buon canonico D. Matteo Rispoli,1 nel suo romanzo storico “Generosa” rettifica alquanto questa opinione popolare e riferisce a pag. 316, le seguenti notizie intorno al misterioso personaggio: “Costui, nato da onesta famiglia, partiva dal nostro regno verso la metà del secolo scorso con oscuro nome, e la sua inclinazione lo portò nel Mogol, ove egli si diresse in cerca di prospera fortuna.
Come fosse entrato in quel regno e quali mezzi avesse adoperato per guadagnarsi la benevolenza di quel monarca è a tutti ignoto, ed egli stesso ne fece un mistero. Certo si è che seppe talmente guadagnarsi l’affezione in quella terra straniera che addivenne milionario. Vi è chi dice, aver egli imparato a quelle milizie l’uso del cannone sopra l’affusto, avendo ivi trovato l’uso del cannone immobile, il certo si sa che ritornava ricchissimo con il grado di colonnello portoghese, di generale delle imperiali guardie del Gran Mogol e con il decoroso titolo di Paloquin. Ritornato in Castellammare, largì molto denaro per opere pie e fece molti acquisti di case e di terre e tra queste fù quel vigneto in cui miransi le suindicate torrette”.
Tra il montanaro di Agerola e il marinaio di Stabia, vi è una certa somiglianza di vita; se pur in tempi diversi, essi operarono quasi negli stessi ambienti indiani, con la differenza che le vicende di Paolo Avitabile sono molto più chiare di quelle misteriose di Catello Filosa. Avitabile era un maestro delle costruzioni per magnificenza e sontuosità e perciò si impegnò a costruire a Castellammare un edificio molto più imponente delle torrette del Mogol di Catello Filosa.
Egli abitava momentaneamente nella casina del Quartuccio e lì con l’architetto Nicola Vanacore di Sorrento elaborava i piani, di sistemazione della collina del Solaro dove doveva sorgere la più fastosa residenza della città che doveva avere tutte le caratteristiche di un castello principesco.
Avitabile aveva bisogno della vastità degli orizzonti e perciò sceglieva le posizioni più elevate e più belle. Il Solaro, che si stacca dalle montagne verdi retrostanti e si affaccia su un mare luminoso, sopra una città attiva e operosa, rispondeva alle esigenze del suo gusto, ai suoi mezzi finanziari e alla larghezza dei suoi criteri costruttivi. In quella collina vi erano dei ruderi di un vecchio convento dell’epoca angioina, e anche i monaci, come il nostro generale, sapevano scegliere i luoghi adatti alla contemplazione dello spirito e ai blandi riposi del corpo.
Ai piedi della collina, parallelamente alla strada rotabile Castellammare, Gragnano, vi era il torrente “Cannitiello”. Nella parte anteriore, la collina era costituita da terreno friabile e franoso: occorrevano perciò opere costose di sostegno e contenimento per consolidare la superficie adatta al grandioso palazzo.
Fù necessaria ancora la costruzione di una strada rotabile, sostenuta da robuste muraglie, per permettere l’accesso in carrozza alla spianata sulla sommità della collina. Squadre di operai e fornitori dei materiali necessari, provenienti da diverse località della zona, lavorano instancabilmente sotto la personale direzione di Avitabile. Con la sua alta statura, con l’imponenza del suo aspetto, con la sua voce tonante, con i suoi gesti rapidi e bruschi, e con i suoi pagamenti generosi, imprimeva disciplina ed entusiasmo a quel piccolo esercito di lavoratori, che, con la massima celerità possibile, addomesticavano quei luoghi per crearvi una delle più belle residenze, per quei tempi, di tutto il golfo di Napoli. Nella parte anteriore, ai piedi
della collina, furono costruiti a semicerchio gli alloggiamenti della servitù e di tutti gli addetti ai servizi che erano così inclusi nel suo piccolo regno.
Sulla spianata della collina, si innalzava il grande palazzo, in tutta la grandiosità delle sue linee architettoniche, circondato da terrazze che assicuravano la splendida vista sull’anfiteatro dei monti e del mare͘ al piano terra vi erano le scuderie e i depositi per le carrozze. Un grande scalone dava l’accesso ai piani superiori e in un vasto salone della villa vi era un pavimento a mosaico, al centro del quale era rappresentato il generale, con la sua splendida uniforme, nell’atto di cavalcare suo splendido cavallo bianco͘ L’intera costruzione è di quattro piani con decine di appartamenti, riccamente addobbati, capaci di offrire tutti i conforti, in mezzo alle delizie di una natura incomparabile ad un’intera corte principesca͘. Sulle ringhiere, nelle decorazioni esterne, sui cancelli, vi era la stella d’oriente a cinque punte, che era il suo distintivo personale. Alle spalle della villa, vi era un grande parco con viali, fontane, sedili, pergolati e boschi. La costruzione è sostanzialmente intatta, dopo oltre un secolo dalla sua costruzione e dall’alto del monte Solaro domina ancora la città e il golfo. Ma, per una strana ironia del destino, la villa non è conosciuta con il nome del suo padrone e costruttore, ma con quello di Villa Weiss,
cioè con il nome di un oscuro tedesco che trasformò la residenza del generale in albergo.
Quella collina con la sua poderosa costruzione e con il suo grande parco era il regno privato del generale. Egli finalmente, nel corso di un paio di anni, aveva realizzato la più bella e fastosa dimora della città, e dalle camere del suo palazzo osservava compiaciuto quel mare così bello nella luminosità dei colori e i monti intensi di verde nella pace solenne della natura. Quell’angolo delizioso del golfo di Napoli attenuava il ricordo della sua reggia di Peshawar, e della sua residenza di Lahore, dove il gusto orientale era continuamente insidiato da pericoli. Però anche nella tranquillità del regno borbonico, per la sua sicurezza personale, aveva fatto
costruire un’uscita segreta, alla quale affidare la sua incolumità personale, in caso di eventuali pericoli. Non trascurava mai certe misure di precauzione che potevano sembrare eccessive ma che non impedirono egualmente la fine tragica della sua esistenza. Viveva in quella villa circondato da numerosi servi ai suoi ordini e senza perdere mai completamente le sue abitudini di vita orientale. Usciva spesso a cavallo per i viali del parco, esplorava i dintorni della città, ne attraversava spesso le strade e le piazze, e tutti si affacciavano per ammirare quello strano signore che aveva un fascino misterioso.
Naturalmente, quando osservava qualche bella ragazza con la freschezza, rugiadosa della gioventù, trovava sempre il modo di farla venire nella sua villa; e se le ragazze offrivano a lui le loro grazie, egli ricambiava il dono in monete d’oro, molto desiderate da esse e dalle loro famiglie. La bellezza e stata sempre una buona fonte di reddito, il che, se proprio non è conforme alla morale civile e cristiana, è stato sempre abbastanza conforme ad una tradizione che era valida, nonostante l’ipocrisia generale, anche ai tempi di Avitabile. Il prestigio degli altri notabili della città era ridotto in proporzioni insignificanti dalla presenza di quel nuovo signore dal nome famoso e dalle ricchezze cosi abbondanti ed evidenti e perciò non
dovevano certamente nutrire sentimenti benevoli nei suoi riguardi.
Le avventure galanti di Avitabile, in qualsiasi grande città, sarebbero passate inosservate, anzi forse avrebbero accresciuto il suo prestigio, nell’ambiente provinciale di Stabia, tutto ciò che faceva Avitabile acquistava le caratteristiche dell’eccezionale e del tenebroso͘. L’ambiente della nobiltà locale gli divenne sostanzialmente ostile, anche nel comportamento corretto delle forme. Cominciò discretamente l’offensiva dei deboli, cioè quella della calunnia. Sussurravano che il generale avesse venduto il suo re agli inglesi e che le sue ricchezze erano il frutto di quel tradimento. Il suo cavallo era l’incarnazione del demonio, e, per suo mezzo, aveva comunicazione con gli spiriti infernali. Inoltre nel suo palazzo aveva un grande “harem” e mandava i suoi agenti nei villaggi vicini per tenerlo sempre rifornito. Queste voci, diffuse con abilità nel volgo ignorante e superstizioso, creavano intorno al generale un alone di paurosa leggenda. Veniva, cosi, a trovarsi isolato, anche per mancanza di un’estesa parentela sul posto, da una barriera di terrore. La gente esagerava, per cui Paolo Avitabile, dall’aspetto cosi umano di un ricco e distinto signore di provincia, appariva come un mostro che segregava e torturava le ragazze nelle stanze tenebrose della sua villa.
Le voci calunniose che si diffondevano, venivano raccolte negli ambienti napoletani, arrivavano a corte e turbavano profondamente la coscienza bigotta del re Ferdinando II, il quale rimaneva sconcertato di fronte alle stranezze di quel suddito misterioso che aveva importato in un paese cristiano tutto il sadismo dei vizi orientali͘. L’offensiva della menzogna, scatenata da certi nobilucci locali e accreditata dall’ingenua fantasia popolare, raggiunse il suo scopo.
Riferisce il Cotton che perfino il noto scrittore francese, Dumas, nel suo “Curricolo”, il libro più piccante che sia mai stato scritto intorno a Napoli e ai napoletani, si fece interprete delle dicerie popolari che circolavano sul conto del nostro generale.
Avitabile ormai era diventato un orco, che meditava delitti nella sua fastosa e solitaria dimora, per appagare la sua insaziabile sete di sangue. Perfino il vescovo di Castellammare intervenne prudentemente presso il generale, facendogli osservare il turbamento prodotto nel suo gregge dalla sua condotta e dai suoi modi.
Egli aveva apportato un flusso di vita nuova nel sonnolento clima della vita provinciale della città; aveva dato lavoro a tanti operai, stimolando l’attività di tanti artigiani aveva abbellito la città di un lussuoso edificio, e raccoglieva come ricompensa tante diffamazioni e l’incomprensione degli stessi beneficati. Spesso gli uomini perdonano più il male che il bene ricevuto. Il canonico D. Matteo Rispoli, che pure aveva conosciuto e trattato di persona il generale, nel suo romanzo storico “Generosa” cosi si esprime sul suo conto. “Lì, a fianco al poggio di Varano, dalla parte occidentale, si erge maestoso quel suo emulo, il Belvedere Avitabile, diviso dal primo dal torrente Cannitiello sulla destra la strada di Scanzano, e quella di Gragnano sulla sinistra. Un tal poggio viene ora conosciuto sotto il nome di Avitabile, mentre prima era detto di Solaro, del perché fù acquistato dal generale Avitabile un uomo memorando ed illustre, di cui il mio lettore vorrà certamente far conoscenza; essendosi detto molto sul suo conto e, specialmente la calunnia e l’invidia hanno parlato non poco”. Possiamo credere all’onesto canonico di Stabia, che, come molti altri della sua città, aveva bene individuato nell’invidia la causa vera di tutte le menzogne ed esagerazioni diffuse sulla vita privata del generale. Molti volevano, ma non potevano essere quello che egli era e fingevano di scandalizzarsi di qualche avventura galante del generale, quando e fin troppo notorio, che i notabili di paese, nei tempi passati si sono sempre serviti a piene mani delle grazie prosperose delle popolane e contadinelle, anche quando rendevano, a parole, il più grande ossequio alle più sante virtù familiari.
Avitabile però un po’ annoiato dalle dicerie, ma spinto soprattutto dalla sua ansia di costruzione, rivolse i suoi interessi ad Agerola per edificarvi una villa ancora più grandiosa di quella di Stabia.
Nel ringraziare gli eredi Signori Paone di Napoli, il Signor Francesco Cuomo, per le planimetrie delle proprietà del Generale Avitabile vogliamo anche sottolineare che le proprietà dell’Avitabile erano molteplici, dai documenti ricevuti dal Signor Cuomo, oltre al Solaro proprietà che terminavano verso la chiesa di Santa Croce, si annoverano anche proprietà al Quartuccio e in strada cantiere. Poiché questi documenti (molto corposi) possono rivelarsi molto utili ai ricercatori, ci ripromettiamo di inserirli nella rubrica stabiae-book, luogo più consono e di facile accesso e fruibilità.
Leggi anche: Abu Tabela, Terrore dell’Oriente, di Antonio Cimmino.
Scarica il libro in Pdf: Il Generale Avitabile, del professor Aniello Apuzzo.
Articolo terminato il 2 Giugno 2021
- Per quel che concerne le notizie sul Generale Avitabile fornite dal Rispoli, vedi: Capitolo XIII, Belvedere Avitabile, Don Matteo Maria Rispoli, Generosa ossia Stabia al Nono secolo, Castellammare Stamperia Vescovile 1859, pag. 187 e successivi. ↩