per una lontana ricorrenza pasquale
di Antonio Ziino
Scriviamo questa nota in occasione delle feste pasquali del 2015 pubblicando una graziosa lettera di auguri che Luigi Denza indirizzò ai genitori. E’ una lettera semplice, scritta in età molto giovane, indirizzata al padre, lettera piena di ossequioso rispetto, dando, come si usava in quei tempi, del lei o del voi a genitori e parenti. La famiglia Denza era ben introdotta nel mondo dell’aristocrazia e nei salotti letterari frequentati, tra gli altri, anche da Gabriele D’Annunzio.
Note biografiche
Luigi Denza nacque a Castellammare di Stabia il 23 febbraio 1846 e morì a Londra all’età di 76 anni. Figlio di Don Giuseppe Denza e della gentildonna Donna Giuseppa Savoca, palermitana, pronipote, figlia di Carmelo e Rosa Denza. Della famiglia Denza, insignita della Corona di Barone, di agiate condizioni, economiche, abbiamo già parlato in questo sito presentando per la prima volta una biografia di Ciro Denza, pittore, fratello di Luigi insigne musicista noto in tutto il mondo sia per l’ampia produzione, sia come docente nei principali templi della musica, soprattutto a Londra, presso la London Academy of Music, in qualità di condirettore. Unitamente alla lettera di cui sopra alleghiamo un altro documento relativo ai suoi rapporti con Carlo e Mario Costa, e con il Real Collegio di Musica di Napoli del 22 novembre 1866. Questa nota, semplice cronaca dei fatti, non intende esprimere giudizi sull’attività di musicista di Luigi, materia di studio e approfondimento da parte di esperti, cultori e specialisti di musica e musicologia.
Don Luigi, dopo gli studi presso il Conservatorio, fu ospite del cugino, Francesco, bernabita famosissimo, meteorologo che procurò grande fama scientifica all’Osservatorio di Moncalieri. Dal 1890 diresse la Specola Vaticana, scrisse “Le armonie dei Cieli”, giunta all’ottava edizione e molti altri interessanti trattati su argomenti inerenti i suoi studi e ricerche.
Tra le numerosissime composizioni di Luigi Denza, alcuni ne elencano addirittura ottocento, ne riportiamo dei titoli per puro dovere di informazione, così come correttamente riportati dal Treccani.
Oltre la celeberrima “Funiculì, funiculà”, cantata in tutto il mondo, segnaliamo Tra le romanze più celebri, tutte pubblicate dall’editore Ricordi di Milano per lo più senza indicazione di data, salvo diversa indicazione, si ricordano: Aciel sereno (versi di R. E. Pagliara); Addio! (D. Pandolfi); Ah! non dormir (E. Bonadia); Amate! Amate! (R.E. Pagliara, 1889); Brindisi (E. Mancini); Canto de la fanciulla rubiana (Pagliara); Canzone della polenta (L. Coppola); Con te! (Pagliara); Deh, non partir (C. Errico, 1919); Desiderio (Pagliara); Dolce peccato (F. De Rensis); Il dono (Bonadia); Dormì! serenata (Pagliara); Dormiveglia (Errico); Ei tornò (E. Cattermole); Era un dì di primavera (p. Malerbi); Festa del villaggio, stornello (E. Golisciani); Il figlio del coscritto, cantilena popolare (p. Thomar); Fiori di campo (Errico); Il fiume del riposo (Pagliara da F. E. Weatherby, 1899); Fuggimi! (G. Genina Mancini); Giulia! (E. Randegger); Godiam!, duettino (C. Pepoli): Incontro (Errico, 1919); Innodel Fieramosca; Il lago di Como (Pepoli); Lo sapea (L. De Giorgi); Luce ed amor (N. F. Faraglia); Luna ideal (A. Boito); Mai! (Errico); Margherita (Pagliara); Mattinata di maggio (C. Clausetti); Mattino (Errico); Sei melodie a due voci (G. H. Newcombe-A. Franci); Mesta son io!; Mughetti (Pagliara); Non mi lasciar (Clausetti); Non t’amo più (De Giorgi); Occhi lucenti (E. Panzacchi, 1921); Occhi turchini (Pagliara); Perché?, pagina d’album (G. Zanella); Per sempre (N. F. Faraglia); Poveri fiori (Mefistofele); Povero infranto core (Pagliara da T. Moore); Rosa (S. Di Giacomo); Se … (A. Mancini); Sempre con te (F. Mancini); Sera d’aprile (Golisciani); Sogni del passato (Pagliara da F.E. Weatherby); Sola (Pagliara); Sul tuo verone (Bonadia); Torna! (Pagliara); Vieni (Errico). Canzoni napoletane: Azzeccate! (Pagliara); Che ne cacce che faie la tosta? (Bonadia); Duorme! (Pagliara); La Fatella mia, due bozzetti popolari per Piedigrotta (Bonadia, 1882), Frisio, barcarola (E. Jammy); Guardame sulo!; Napule! (Pagliara, 1884); Palomma ‘e sera, duettino (Id.); Te ne vaie (Bonadia); Lo telefono (G. Turco); Tirate in qua! … Tirate in là (Pagliara, Piedigrotta 1837); Tirate ‘a renza (Id., Piedigrotta 1887); Uocchie nire, stornello (Turco, Piedigrotta 1883), Uocchie turchine (Pagliara). Romanze francesi: A l’idole (S. Bordèse); A un portrait (J. De Joly); L’absence (M. Desbordes Adieu (A. De Musset); L’amour sen vient,l’amour sen va! (A. Silvestre); Auprès de toi (Bordèse, 1884); Le baiser (M. Monnier); Bonjour Souzon (De Musset, 1881); Bonjour Gaston (De Joly); Chant du soir (Id.); Chant printanier (Bordèse, 1921); L’echange, chansonnette (A. Dumas); Epitaphe (F. Coppée); Fête du village (p. Solanges); Les filles de Seville (S. Bordèse); J’ai déviné (M. Martynow); J’aime (Solanges); Je t’aime (H. Ae Curzon); Marguerite (A. Roque); Pensée d’amour (E. Jammy);Prends garde! (De Joly); Rêve d’amour (L. Dhuguet); Rêve passé (Jammy); Le reveil (M. Desbordes-Valmore, 1894), Sincere melodie, Le Soir (Id., 1899); Souvenir de Quisisana (Solanges); Toi! (Roque), Venez! (C. Errico-R. Vilbianne, 1928).
Romanze in lingua inglese, pubblicate dalla Ricordi londinese, salvo diversa indicazione: A river song (W. Boosey); A rose (M. Dreyfus, 1903); Come to me (Boosey, Milano); Do you regret? (Id., ibid.); Good night! (H.W. Longfellow); In shadowland (G. Hubi, Milano 1900); Like to like (G.J. White Melville, ibid.); Little wateress (F. E. Weatherby, 1899); My paradise (A. Chapman); Solong, so long (Weatherby, Milano); That hour (C. Bingham); The rose’s message (E. Waller). Compose inoltre le cantate: Le jardin des fleurs, En Arcadia, Gipsy suite, Coral isle (Napoli s. d.) e vari pezzi per pianoforte, tra cui: Estasi, Una gita a Pompei, Un sospiro, Tre minuti di malinconia (Napoli 1873), Estasi d’amore (ibid. 1899), Coquette, Notturnino in la bemolle, Sospiro (Milano, Ricordi, s.d.); Notturno in la bemolle (Napoli s. d.).
La fama del D. è legata soprattutto a Funiculì funiculà, che per la sua gaia e orecchiabilissima struttura melodico-ritmica fu destinata ad una popolarità senza limiti di spazio e di tempo e, intesa tra l’altro quale genuino canto popolare, fu utilizzata da R. Strauss nella sua fantasia sinfonica AusItalien e, orchestrata da N. Rimskij-Korsakov, eseguita in occasione del cambio della guardia al palazzo reale danese.
In realtà la figura del D. si colloca nella generazione di compositori che tra il 1880 e i primi anni del nuovo secolo diedero vita ad una nuova fulgida stagione della canzone napoletana. Accanto a F. P. Tosti, E. De Leva, P. M. Costa, P. A. Tirindelli e tanti altri, il D., che si valse della collaborazione di poeti come R. E. Pagliara, G. Russo e C. Errico, è considerato uno dei rappresentanti più significativi della melodia napoletana d’intonazione popolare che seppe elevare a livelli di compiuta espressione d’arte. La sua fantasia melodica, ispirata, spontanea ed elegante lo pone infatti tra i compositori che, superando i limiti d’una invenzione piacevole e vivace ma povera di significati, lasciarono un’impronta duratura nella pur ricca e lunga storia della canzone partenopea cui seppero imprimere vitalità e originali valori d’arte destinati a perdurare nel tempo.
Naturalmente, come abbiamo detto all’inizio, la canzone più conosciuta è “Funiculì, funiculà”, che, come scrisse, facendone un po’ la storia, un maestro del giornalismo, Pietro Gargano, legata in qualche modo, alla funicolare del Vesuvio. …La Funicolare del Vesuvio non ebbe tuttavia, un successo immediato. I napoletani intenzionati a guardare dall’alto il panorama – allora il più bello del mondo: cielo terso, mare pulito, pochi grappoli di case – continuarono a preferire, come mezzo di locomozione, il più rassicurante asinello. Paura del nuovo oppure superstizione? L’inviato dell’Illustrazione Italiana, Nicola Lazzaro inveì contro quelle macchine: “E’ una profanazione, è come togliere la poesia al monte”. La poesia, allora, dominava perfino nelle leggende. Le guide turistiche narravano ai viaggiatori la storia di un giovane napoletano di nome Vesuvio, innamorato perso di una fanciulla bella e buona appartenente al casato dei Crapa. Anche Vesuvio era bello e buono, ma non ricco a sufficienza, e pure allora il danaro contava più di tutto. La famiglia di lei lo respinse e mandò la ragazza a smaltire la delusione da certi parenti al Capo della Minerva. L’inconsolabile si gettò in mare per annegare il dolore e divenne un’isola poi chiamata Capri. Vesuvio lanciò sospiri sempre più roventi, finché anch’egli stesso diventò materia, anzi montagna, una montagna che sputa fuoco dalla bocca ogni volta che Vesuvio è colto da più rabbiosa nostalgia della sua amata di pietra che sta lì, dirimpetto, irraggiungibile per sempre. Ma con la sola poesia non si fanno affari. L’impresa della Funicolare, costata centinaia di migliaia di lire, languiva; e bisognava reagire, trovare canali di propaganda. Fu una canzone il formidabile spot della Funicolare: Ne.. jammo: da la terra a la montagna / no passo nc’è / se vede Francia, Proceta, la Spagna… e io veco a te. / Tirate co lli fune, ‘nditto, fatto, / ‘ncielo se va. / Se va comme llo viento, e all’antrasatto / gué, saghia, sa’… / Jammo, jammo, ‘ncoppa jammo, jà… / Funiculì, funiculà. L’avevano composta – un po’ per scommessa e un po’ per allegria – due autori di notevole talento, il poeta e giornalista Peppino Turco e il musicista Luigi Denza. Queste due celebrità si misero rapidamente al lavoro e presentarono la schioppettante canzone – cantandola pure – la sera di Piedigrotta, il 7 settembre 1880 a Castellammare di Stabia, prima nello Stabia Hall, chalet estivo della Villa comunale, e poi nel salone dell’albergo Quisisana. Risultati eccezionali. Presto il cassiere della Funicolare contò incassi più che soddisfacenti: la gente fu calamitata dalla voglia di ripetere quel motivo dal vivo e magari di controllare se davvero da lassù si vedevano, con Procida, la Francia e la Spagna. L’eco artistica fu internazionale. Richard Strauss riprese note di Funiculì funiculà fra i temi della sua sinfonia Aus Italien, 1886. Alfredo Casella la citò nella rapsodia Italia, 1909. E soprattutto la milanese Casa Ricordi, che aveva acquistato i diritti, fece un formidabile affare: in un anno vendette un milione di copie della canzone. Cifre da pop e da rock, da Beatles e da Elvis Presley. Non è scritto nelle cronache, ma forse Turco e Denza brindarono al successo con una bottiglia di Lacrima Christi nata lassù. Fu Gesù, dicono, a creare quel vino. Predicando predicando arrivò in cima al vulcano, guardò il panorama e disse: “E un paradiso in terra, ma gli uomini che mascalzoni!”. Pianse per la nostra cattiveria e le sue lacrime fecero buchi nel terreno, da cui spuntarono meravigliose vigne. Esiste una variante della storiella. Satana tentò un eremita vesuviano che offriva vino ai viandanti, e stava per aggiudicarsi la sua anima quando il Signore lo mise in fuga con un tremendo acquazzone. La pioggia cadde nel vino. L’eremita temeva di doverlo gettare, invece lo assaggiò e lo trovò squisito. La leggenda è stata inventata da qualche produttore che più non sa fare la Lacrima di una volta? Torniamo a Funiculì. Quel motivo echeggiava antiche melodie popolari, derivava dalla mossa melodica de Lo zoccolaro che a sua volta Teodoro Cottrau aveva rubato una ventina d’anni prima alla voce di un venditore ambulante. Ma l’antica lezione rimase soltanto sullo sfondo musicale, perché gli autori seppero cogliere il senso del futuro che viaggiava nei vagoncini avanzanti verso il cratere. Una lezione ai tanti che confondono la memoria con l’inerte nostalgia del tempo perduto. Funiculì funiculà segnò l’inizio della canzone classica napoletana: aprì la stagione d’oro e avviò un movimento in cui militarono i migliori talenti dell’epoca. Fu incrinato allora il filo che univa la produzione canora alle radici del canto popolare. S’instaurò una relazione strettissima fra i versi e la musica, nati contestualmente e con un obiettivo preciso, fosse pure di occasione. L’ispirazione còlta degli autori – Turco e Denza producevano parole e note per mestiere – divenne elemento fisso della fase di decollo della canzone d’arte. Poeti veri, giornalisti di qualità, autori di teatro, persino i futuristi si allearono a quanti conoscevano i segreti del pentagramma. A loro arrivò il rinforzo prezioso di verseggiatori e compositori di formazione spontanea: altri riformatori, giacché si inserivano nell’alveo degli artisti che animavano piazze e vichi napoletani. Funiculì avviò anche l’industria della canzone e sfruttò Piedigrotta come cassa di risonanza, moltiplicatrice di successo. In principio ad arricchirsi furono i milanesi. Intuendo le potenzialità di mercato della musica napoletana, Ricordi aprì fin dal 1864 una succursale della Casa negli uffici dei suoi ex rappresentanti, i fratelli Clausetti.