(di Enzo Cesarano)
BOOM!!! Spara ‘a botta, passa la Voce «Fratielle e surelle, ‘o Rusario ‘a Maronna…» qualcuno si segna con la croce, qualcun altro jastemma, troppi fanno finta di niente e continuano a dormire.
Castellammare di Stabia, prime luci dell’alba, ‘a ‘Mmaculata arapre ‘e pporte a Natale… a chiuderle sarà Santu Catiello il 19 gennaio dell’anno nuovo. Così è anche quest’anno.
Il sapore e il senso della festa, però, ultimamente non sono più gli stessi, la tradizione si va perdendo, al suo posto restano i ricordi.
Fino agli anni Ottanta era usanza per le famiglie stabiesi organizzare per la sera della vigilia dell’Immacolata un vero e proprio cenone, la prova generale di quelli da fare il 24 e il 31 dicembre.
La “tavuliata” aveva inizio dopo la visione dei tradizionali “fucaracchi” che, a differenza di oggi, si accendevano nella grazia di Dio al calare del sole. Tutta la famiglia era riunita a tavola: anziani, giovani, bambini, se qualcuno mancava era troppo lontano per tornare. Anche la fame era tanta, per la giornata di lavoro passata a stomaco vuoto in attesa di gustare le prelibatezze del menù.
La “magnata” cominciava con un antipasto di broccoli di Natale conditi con uno spicchio d’aglio, un filo di “uoglio” e il succo di un limone, immancabile anche l’insalata di rinforzo e il baccalà fritto. Per primo piatto uno spaghetto sciuliariello-sciuliariello ai frutti di mare, a cui seguiva la frittura di calamari e gamberoni. La frutta, solitamente mandarini, serviva a “pulizzare” la bocca in previsione delle “ciociole”, misto di semi e frutta secca, e dei dolci che oltre ad essere un passatempo per i commensali davano pausa alla tavola e favorivano l’insorgere dei ricordi.
Presi dall’allerezza, ampiamente favorita dal vino consumato, tra una noce e un fico secco, un susamiello e un roccocò, una chiacchiera e una risata, a tavola spuntavano la chitarra, la tammorra, le nacchere… era il momento di intonare i canti popolari: “La Santa Allegrezza” e “Canzone de lo Capo d’Anno”, i brani più gettonati.
Si andava avanti per lungo tempo finché la famiglia non iniziava a sedimentare. Gli uomini facevano gruppo per giocare a carte: scopa, scopone, briscola e tresette a chiammà i giochi preferiti. Le donne e i bambini giocavano a tombola segnando le cartelle con le scorze dei mandarini. Qualcuno degli anziani non partecipava ai giochi perché doveva dedicare le ultime attenzioni al presepe e, nelle famiglie più moderne, all’albero di Natale che per tradizione devono essere pronti per la mattina seguente.
Si stava insieme fino all’alba in attesa dell’ultima Voce votiva «Fratielle e surelle, ‘o Rusario ‘a Maronna, oggi è ‘o nomme bello d”a Maronna» era il segnale, bisognava scendere per la processione e la Santa Messa. Non raramente le donne si recavano su quel che restava dei fucaracchi rionali per prelevare (dalle ceneri riposate, ma ancora ardenti) una manciata di carbonelle per alimentare la “vrasera” di casa.
Non tutti uscivano, però, perché si doveva onorare la tradizione con un ultimo solenne gesto, la mamma o la nonna, insomma la donna di casa più esperta in cucina, restava ad impastare e friggere la Zeppola dell’Immacolata…
Nota: ringrazio l’amico Lello Muollo per avermi riferito il proverbio stabiese che fa da titolo a questo scritto.
Vivo al nord da oltre 40 anni ma le tradizioni di Castellammare restano sempre radicate nel cuore anche se con un po’ di nostalgia. Sono manifestazioni popolari, magari antiche e superate, ma sono comunque le nostre. Grazie a voi tutti e a quelli che sui social ci trasmettono tante belle cose. Grazie di cuore e un affettuosissimo Buon Natale