( l’editoriale di Maurizio Cuomo )
Riveduto ed ampliato in alcune sue parti, ho letto questo mio scritto, in occasione dell’intervento di liberoricercatore alla conferenza “Valorizzazione del Territorio – La chiave per la Città nuova”, evento organizzata da “Asso A.I.G.” e tenutosi nella sala conferenze di Unimpresa. La mia lettura, ha fatto da preludio e da introduzione a “Il Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia, dalle origini al 1860”, interessantissima disquisizione di Antonio Cimmino.
Buona riflessione a tutti. Maurizio Cuomo.
La nostra è una città dalla storia antichissima, come tale, per il suo vissuto, gode di innumerevoli tradizioni che si fondono tra sacro e profano che la contraddistinguono dalle città viciniori: la processione di San Catello, il rito del dare la voce di fratielle e surelle, ‘o lunnerì ‘e Puzzano e ‘o Marterì ‘e Monte Coppola, solo per citarne alcune.
In questo ambito, una menzione particolare, la meritano i maestri biscottai locali che nel tempo si sono inventati dolciumi di ogni genere: i rinomati “Pullece ‘e monaco” di fine anno, delizia per il nostro palato, ne sono ottima testimonianza… per non parlare del “Biscotto di Castellammare” che nel suo nome porta anche tutta la laboriosità ed il profumo di una intera Città (profumo che nel tempo, purtroppo è svanito, perché un popolo ha smarrito la propria identità).
Quasi dimenticata invece è la durissima galletta, che a suo tempo ha rivoluzionato la panificazione e l’arte dei biscottari. Un biscotto durissimo che affonda le proprie radici nella “marittimità” della nostra città: il gesto dell’inzupparla nell’acqua, è il matrimonio tra mare e terra (un prodotto della nostra terra, ammorbidito e consumato con l’acqua di mare per lenire i morsi della fame nelle lunghe attraversate), un gesto che ricordava ai naviganti stabiesi, la propria intrinseca essenza… Poi per buttar giù il boccone un sorso di Acqua della Madonna celebratissima “acqua dei naviganti”, altra peculiarità della nostra Castellammare di Stabia.
Una città, la nostra che del binomio “ACQUE e MARE” ha fatto il suo elemento di forza: che dire dell’amenità del Faito dalle cui profondità hanno origine 28 sorgenti di acque diverse… le Terme, il nostro fiore all’occhiello: un tempo luogo di piacere di personaggi famosi (oggi fiore appassito, vittima sacrificale dell’incompetenza umana).
Quante opportunità perdute?! La “Carrozzella” inventata dagli stabiesi, Catello e Ignazio Scala, un tempo delizia dei nobili, oggi è a dir poco dimenticata… divenuta anch’essa acquisizione impropria per l’altrui ingordo prestigio: in vendita al turista una cartolina, recitava: “carrozzella tipica sorrentina!”… Che rabbia!
Mi rincuora il pensiero della nostra tradizione marinara; i pescatori stabiesi (‘a tirata ‘e rezza sull’arenile, la ricordate?), fascino antico dei giorni nostri: un incanto per noi ragazzi di quei tempi. Fino ad arrivare alla cantieristica (il Varo) con il quale si primeggiava in ogni dove; divenuto vanto dello stabiese… il lavoro di preparazione, il sacrificio nella costruzione, ed infine la discesa in mare dagli scali procurava un’emozione unica, profonda, una lacrima… il prestigioso cantiere navale (perennemente a rischio di chiusura) è nel DNA di ogni buon stabiese, chi di noi non ha avuto: il padre, un fratello, dei parenti, un amico che vi ha lavorato?
Quanto trasporto, quanta passione, eppure, oggi la stabiese Vespucci, nave scuola e vanto della marina militare italiana, deserta un possibile attracco nella sua città natìa, decisione figlia dei tempi, si dirà, che non ha rispetto… ma il rispetto, signori miei bisogna meritarselo!!!
Rabbia, tanta rabbia nel constatare che il nostro, oggi è un popolo dalle mille occasioni perdute… un popolo miope della sua ricchissima storia, che ha perduto memoria delle sue tradizioni; fondamentali, queste ultime, per un possibile rilancio futuro!!!