di Raffaele Muollo
Ritornare a sedersi tra i banchi di scuola ha sempre rappresentato il dramma di ogni scolaro…in tutte le epoche e latitudini.
Se le ultime giornate di maggio erano intrise di una frenesía particolare dovuta alla imminente fine dell’anno scolastico, era pur vero che i giorni immediatamente successivi al ferragosto cominciavano a velarsi di una lieve malinconía e le giornate, un po’ meno calde (in “illo tempore” le estati non duravano fino ai primi di novembre) e un po’ più brevi, predisponevano ad un certo avvilimento (in “illo tempore” non si faceva ancora abuso della parola “depressione”).
In più ci si metteva il vecchio adagio popolare che salomonicamente sentenziava “ferraùsto è capo ‘e vierno!”
Il rito dell’addio all’estate assumeva quindi i contorni di un festival del rimpianto accresciuto dal fatto che nelle vetrine facevano bella mostra di sé zaini, diari, vocabolari ed astucci con matite colorate.
Unica, blanda, consolazione per noi ragazzi del millennio scorso, era la sicurezza che di là ad un paio di mesi sarebbe iniziato il periodo più poetico dell’anno.
Da ottobre in poi tutto convergeva ed era in funzione del natale!
Ora, non tutti sanno, o meglio, non tutti fanno piú caso al fatto che da noi, a Castellammare, Natale inizi il 26 novembre con la prima uscita, all’alba, delle voci votive di “Fratielle e Surelle”. Uomini e donne di diversa età e con diverse motivazioni, peregrinando per le viuzze delle varie zone del centro antico e zone collinari, intonano una sorta di “fronna” invitando le persone a svegliarsi e a recitare, in chiesa o a casa, il Santo Rosario e potersi così preparare spiritualmente alla solennità dell’Immacolata (12 giorni dopo ovvero l’8 dicembre).
L’alba dell’Immacolata era, ed è caratterizzata da un gran concorso di popolo che, riversatosi per le strade a testimoniare la devozione alla Madonna, ascolta le voci votive, apprezza le rustiche note degli zampognari o le eccellenti prestazioni della banda musicale (“in illo tempore” senza majorettes o brasiliane sculettanti), ammira quel che resta dei “fucaracchi” accesi la sera precedente, sorbisce fumanti caffè corretti all’anice e mangia le famose zeppulelle con miele e “diavulilli” o piccole graffiette zuccherate…
Ma su questa tradizione tutta stabiese rimando all’articolo che potete ricercare e leggere in quell’enorme scrigno di stabiesità che è il sito del “Liberoricercatore” (nella pagina dedicata alle tradizioni).
Ribadisco solo che, a Castellammare, le porte di Natale si aprivano, e si aprono tuttora, il 26 novembre, quindi un mese prima di…santo Stefano!! E giacché mi trovo, completo il discorso affermando che le stesse porte vengono chiuse dal nostro arzillo vicchiariello: il santo patrono Catello, la cui festa onomastica ricorre il 19 gennaio (tredici giorni dopo l’epifanía…)
Quando si tratta di festeggiare…voi mi capite!!
Apro però, a tal proposito, una parentesi.
Giá avevo notato, sul finire di ottobre, la timida apparizione, tra gli scaffali di qualche supermercato, dei tipici panettoncini monoporzione.
Il colmo però è stato imbattermi nell’avanguardia zampognara di ritorno dal cimitero il giorno della “triste e mesta ricorrenza”!!
È giusto che l’evoluzione ed il progresso ci portino sempre più avanti ma… gusteremo i roccocò sotto gli ombrelloni?
Chi ha tempo non aspetti tempo, oppure, se volete, meglio tardi che mai!!
Lello Muollo