In ricordo di don Aniello
di Edvige Forino – 27 giugno 2019
Anno scolastico 1986/87: ero laureata da poco più di una settimana, quando iniziai ad insegnare: avevo forse quattro anni in più delle mie allieve diciottenni, ma nella scuola parificata dove iniziai la mia carriera, eravamo tutti giovanissimi. Anche Aniello. Aveva la mia stessa età, forse un anno in meno. E ci mandarono con le rispettive classi in gita scolastica sul lago di Garda…Desenzano, Sirmione, Verona. All’arrivo in albergo, i prevenuti (e un po’ nordisti) gestori non mi presero sul serio; ma dovettero chinare il capo quando ebbero a che fare con il ‘don’. Sì, perché Aniello era un giovane sacerdote: faccia da scugnizzo, ma le parole le pesava e aveva imparato già a farsi capire bene.
Rientrati dal viaggio, eravamo amici: un amico fraterno che con l’arguzia dello sguardo otteneva più risultati di mille reprimende.
Anno scolastico 1994/95 : ci siamo ritrovati ancora, diversi anni e tanto vissuto dopo, colleghi al liceo Severi. Per me che arrivavo in una scuola così grande, piena di facce nuove, incontrare la sua fu una festa. E finché fummo colleghi, Aniello fu un punto di forza: nella sua ‘canonica’ organizzava incontri ‘ludico –gastronomici’ in occasione delle vacanze di Natale o di Pasqua, però nella nostra scuola (anche se eravamo tanti, tra studenti e docenti, e non tutti ‘praticanti’), riusciva a farci ‘fare il precetto’. In tanti momenti canonici abbiamo partecipato alla messa insieme, docenti e alunni, e le feste natalizie recuperavano anche solo per poche ore il sapore del sacro e del familiare insieme. In altri momenti, quelli del dolore, quando qualche collega ci ha lasciato durante il cammino, ancora una volta ci ha saputo ricompattare condividendo il rito del pane e del vino e facendoci sentire per un’ultima volta presente in mezzo a noi chi non c’era più.
Per riuscire a realizzare questo, c’è bisogno di un grande cuore. E Don Aniello lo aveva; lo aveva al punto da sobbarcarsi l’eredità non facile di sostituire don Michele di Martino nella parrocchia del Carmine, quando è stato il suo turno.
Anni 2000: ci siamo ritrovati per la terza volta: è stato il mio parroco, mi è stato vicino ancora in questi anni che -purtroppo – per il naturale ricambio generazionale sono anni di dolore.
Io però non sono stata vicina a lui. Quando mi ha chiesto ‘Quando ci vieni a dare un po’ una mano?’ non ho saputo raccogliere l’invito, non ho capito che mi stava offrendo un’occasione; non l’ho voluto capire.
E ora che se ne è andato, che ho rivisto il suo sorriso su quel viso di cera da statuina di santo in una fresca chiesa di campagna , non ho fatto in tempo a dirgli ‘grazie,don Aniello’.