Io son farfalla e volo[1]
(Canzoncina con testo di Carlo Mele e musica Manoscritta di Gaetano Donizetti)
( articolo di Gelda Vollono & Lino Di Capua )
articolo del 28/05/2022
A partire dalla seconda metà del Settecento, furono molti gli avvenimenti che concorsero a far diventare la nostra Castellammare una delle città più frequentate dal gotha dell’aristocrazia, della diplomazia e del mondo culturale nazionale ed internazionale.
Ne citiamo alcuni cominciando dalla riscoperta dell’acqua media[2] nel 1754 da parte del frate Tommaso Ricciardi[3], che spinse il nostro illuminato re, Ferdinando IV di Borbone, a inviare da Napoli i più valenti studiosi e scienziati[4] dell’epoca, perché studiassero le proprietà chimico-fisiche delle sorgenti minerali stabiesi. Riconosciute quasi miracolose da essi, incominciarono ad attirare folle di forestieri sempre più numerose, che accorrevano a Castellammare per curarsi.
Fu tuttavia il figlio, Francesco I, nel 1828 a inaugurare il primo stabilimento termale fatto costruire su progetto dell’architetto stabiese Catello Troiano[5], ma aperto al pubblico nel 1833, con grandi festeggiamenti celebrati dal giovanissimo Ferdinando II. Castellammare riacquistava così a pieno merito l’antica fama di “Città delle acque” (figg. 1 e 2).
Non possiamo non citare, poi, le nuove scoperte archeologiche ottenute grazie alla campagna di scavi nell’ager stabiese iniziata nel 1749, durante il regno di Carlo di Borbone e che attirò studiosi, artisti ma anche semplicemente curiosi da ogni parte d’Italia e d’Europa (fig.3).
Infine, nel 1758, Ferdinando IV, volendo costruire una nuova residenza al posto dell’antico casino reale di Quisisana, oramai fatiscente, iniziò una serie di lavori di restauro ed ampliamento. I lavori durarono dal 1758 al 1790, il palazzo assunse la forma di una “L” su due livelli, disponendo di circa cento stanze, due terrazze e una cappella. Si narra che da uno dei terrazzi il re si dilettasse nella caccia alle quaglie., Dopo la sistemazione del palazzo si passò anche a quella del giardino, che assunse una fisionomia tipicamente all’italiana, del bosco, dove vennero costruite quattro fontane, chiamate Fontane del Re, sedili in marmo, statue e belvedere, e nelle vicinanze del palazzo furono create una casa colonica, una chiesa, una masseria, una torre, una cereria, diverse scuderie e gli alloggi per il personale (fig.4).
Fu proprio per la presenza della reggia che moltissime furono le ville fatte costruire dall’aristocrazia italiana ed estera, tutto intorno alla collina di Quisisana, sede del palazzo reale. Tra le più antiche vi era quella fatta costruire dal generale John Acton, ministro del re Ferdinando IV di Borbone, sul fondo concessogli in enfiteusi dai marchesi Pellicano[6] nel 1789, su progetto dell’architetto Catello Troiano. Tuttavia, nel 1806, in seguito all’occupazione francese del regno di Napoli e alla fuga a Palermo del re e della sua corte, i Pellicano iniziarono un iter giuridico contro Acton per riavere la piena proprietà del fondo e della villa. Il giudizio finale fu avverso all’Acton e i Pellicano ritornarono in possesso dei loro beni. La villa divenne pertanto meta di molti personaggi illustri, disposti a pagare per il fitto, anche di un solo piano, prezzi superiori a quello delle più ricercate case di campagna dei dintorni di Parigi[7] (fig.5).
Situata a mezza costa sulla collina di Quisisana, presso Napoli, scrive Clelia Pellicano[8], dava le spalle ai monti di Coppola e di Faito: e si apriva, dinanzi, sul divino golfo di Castellammare… Nello sfondo, le isole di Capri e di Procida sfumavano vaporo e come sogni: da presso il Castello di Rovigliano rompeva, nero scoglio, fuor del mare che lo flagellava o lambiva d’ogni lato, secondo l’umore. E tutto ciò si abbracciava, in uno sguardo semi circolare, da l’ampia spianata della villa da me detta “La terrazza del Paradiso” …(fig.6)
Non deve sorprendere, quindi, che proprio su questa terrazza, in una sera di luglio del 1827, una farfalla si posa in petto a S. E. la Sig.ra Contessa di Ficquelmont, così si legge sullo spartito manoscritto autografato da Donizetti, e Carlo Mele ne trae l’argomento di questa canzoncina” da dedicare alla sua amica (figg. 7-9).
Né deve sorprendere che sia stato proprio il grande compositore a scriverne la musica.
A questo punto sembra opportuno fare una breve digressione per soffermarci sui tre personaggi principali della nostra ricerca iniziando dal Donizetti.
Il grande compositore, nonostante fosse nato a Bergamo, dove aveva ricevuto la sua formazione musicale e da dove aveva iniziato la sua carriera di compositore, raggiungendo poi la notorietà nei più grandi teatri d’Italia e d’Europa, fu negli anni trascorsi a Napoli, in qualità di direttore artistico del Teatro Nuovo, che compose assoluti capolavori.
Che egli fosse anche un frequentatore abituale dei salotti aristocratici di Castellammare oltre che un habitué delle terme e dei lidi marini[9] poiché, essendo ammalato di sifilide, cercava la cura nelle nostre miracolose acque, è testimoniato nelle lettere che inviava al cognato Antonio Vasselli.
In una di queste, datata Parigi 11 agosto 1845, si legge: Stamani ebbi consulto di tre primi medici, e convennero… che cambi clima… io scelsi subito o Roma o Napoli, perché sono in casa mia. Roma dissero è troppo lontana dal mare: piuttosto, Napoli. Là potete fare i bagni di mare; ma bisogna che stiate a Castellammare. Figurati se accettai![10]
La sua continua presenza nella nostra città ci porta a pensare che molto probabilmente il latore al compositore austriaco Joseph Lanner, autore della musica del Souvenir de Castellammare[11], dove il refrain è pari pari la musica della nota canzone “Te voglio bene assaje”, sia stato proprio lui. Non dimentichiamo che per molti anni si è pensato che l’autore di questa famosissima canzone fosse stato proprio il Donizetti. Inoltre, come abbiamo scritto nel nostro precedente lavoro su Lanner, i due maestri si conoscevano da quando egli, chiamato in qualità di nuovo compositore presso la corte viennese, durante una cena al cafè Dommayer, sentendolo suonare, lo volle incontrare colpito dalla sua musica. Da allora divenne un suo grande estimatore tant’è che, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione, andava ad ascoltarlo.
Come scritto precedentemente, i sedici anni trascorsi a Napoli, costituirono il periodo di sua maggiore creatività: qui compose 50 delle sue 70 opere, 29 delle quali destinate ai teatri napoletani, fra cui il suo capolavoro, la Lucia di Lammermoor[12]. Fu anche, tuttavia, il periodo più drammatico e umanamente sofferto della sua non lunga esistenza: a Napoli rimase da solo poiché gli morirono in breve tempo i genitori, i tre figli e la moglie[13] oltre al fatto che si presentarono i primi sintomi dell’inesorabile malattia che lo avrebbe portato alla morte a soli 51 anni.
La protagonista della canzoncina Dorothea “Dolly” von Tiesenhausen (San Pietroburgo 1804 -Venezia 1863), figlia del conte Ferdinand von Tiesenhausen, aiutante di campo dell’imperatore Alexandre I di Russia, morto nella battaglia di Austerlitz, e della principessa Elisabeth Koutouzova, che nel 1811 sposò in seconde nozze il conte Nicolas Khitrovo, inviato speciale russo nel Granducato di Toscana. Dolly, considerata come una donna delle donne più intelligenti del suo tempo, con un carattere nobile e grande gentilezze di cuore[14], trascorse la sua infanzia con la madre e la sorella a Reval, per poi trasferirsi a Firenze dove passò il resto della sua giovinezza. Durante la sua permanenza a Firenze, conobbe Il conte Charles-Louis de Ficquelmont, ambasciatore austriaco presso gli Asburgo-Toscana. Scoppiati proprio in quell’anno i moti rivoluzionari a Napoli e mandato a reprimerli il generale Frimont, egli lo accompagnò, restandovi poi in qualità di ministro imperiale, preso Ferdinando I, re delle due Sicilie. E proprio a Napoli fu celebrato il loro matrimonio, dal quale nacque l’unica figlia Elisabeth-Alexandrine-Marie-Theresa de Ficquelmont (che divenne poi moglie del principe Edmondo Clary).
Dolly, grazie ai suoi numerosi interessi, si integrò perfettamente nell’alta società aristocratica napoletana, nonostante i venti rivoluzionari che soffiavano nel Regno delle Due Sicilie, le crescenti tensioni tra Austria e Napoli e le continue assenze del marito dovute ai suoi impegni diplomatici, Infatti ella amava la letteratura, la filosofia, la religione e non disdegnava nemmeno la politica. Il suo salotto napoletano si animava sempre più e negli ultimi anni si potevano facilmente incontrare, oltre agli ospiti ufficiali, numerosissimi amici: il vescovo Capecelatro o il principe di Camaldoli, per nominare solo i più rappresentativi. Quest’ultimi diventeranno a loro volta buoni amici dei conoscenti russi di Dolly, tra cui sicuramente c’erano il pittore Feodosevic Scedrin, il poeta Alexandr Kostantin Batiuskov, oltre al console russo a Castellammare Gustav Stackelberg.
Questi anni trascorsi tra Napoli e Castellammare[15] furono per lei anche fisicamente i migliori, sentendosi circondata da un’atmosfera calda e affettuosa, così come più volte scrisse nel suo diario[16] (il primo fu pubblicato in italiano e russo nel 1950). In particolare, a Castellammare soggiornava[17] spesso al seguito della coppia reale, Francesco I e la sua seconda moglie Maria Isabella di Spagna, che com’è noto amavano trascorrere a Quisisana lunghi periodi, soprattutto durante la stagione estiva. Pertanto, è logico supporre che i Ficquelmont avessero una loro residenza lungo la collina di Quisisana, che poteva essere proprio villa Pellicano. Qui, nel salotto letterario che aveva formato, la contessa riceveva gran parte dei suoi amici, tra i quali l’economista e letterato Carlo Mele e lo stesso Donizetti.
Nel 1829 lasciò definitivamente Napoli a seguito del marito che era stato nominato ambasciatore austriaco in Russia.
Infine diamo alcune notizie riguardanti la vita di Carlo Mele (sant’Arsenio, 1792-1841), che anche se scarsissime, da quel poco si riesce a tracciarne un interessante profilo bio-bibliografico.
Figlio del ricevitore distrettuale[18] di Castellammare, Domenico, a soli 19 anni, divenne “controloro nelle contribuzioni dirette”[19]. Laureatosi in seguito in diritto, esercitò la professione forense. Durante i moti carbonari, scoppiati ai primi di luglio del 1820, dal giornale “La Voce del Secolo”, di cui era direttore, si fece fautore della rivoluzione napoletana, scrivendo tre lettere nelle quali si fece convinto assertore della libertà, della difesa della Patria, dell’istruzione del popolo e della rinascita dei principi morali. Nel 1823, a seguito della repressione Borbonica, fu costretto ad allontanarsi dal regno e a vivere in giro per l’Italia, soggiornando nelle maggiori città, tra le quali Firenze. Durante l’esilio ebbe modo di frequentare gli ambienti culturalmente più vivi del tempo, in particolare quello fiorentino e napoletano, dove, (insieme con l’amico C. Troya, oltre a incontrare, fra gli altri, G. Poerio e P. Colletta), strinse amicizia con la contessa Dolly, alla quale dedicò, oltre alla canzoncina di cui sopra, diverse poesie tra le quali Lo scialle nero e Perduta ho la speme, scritte nel 1827.
Nel 1826 ritornato a Castellammare per raggiungere la madre in fin di vita, si dedicò interamente agli studi umanistici e alla cura di opere letterarie proprie, di amici e di autori dell’epoca come il Manzoni, il Leopardi, il Monti e altri, che furono pubblicate in un’antologia dal titolo il “Parnaso nuovissimo”.
Nel 1830, succeduto al padre nell’incarico di ricevitore distrettuale, si trasferì a Castellammare dove, benché continuasse ad occuparsi di letteratura, incominciò a dedicarsi anche all’economia, pubblicando “Degli odierni uficii della tipografia e de’ libri “saggio sull’editoria che sollecitava l’abolizione della tassa imposta sui libri stranieri nel Regno delle due Sicilie. Infatti in esso si sosteneva che il mercato librario dovesse distinguersi da ogni altra forma di commercio, disapprovando l’applicazione del protezionismo a prodotti di interesse intellettuale.
Nel 1841, anno della sua morte, fu pubblicato il suo unico romanzo “Storia di un nuovo pazzo”, che presenta spunti filosofici e religiosi, unitamente alla prospettiva pedagogica consueta nel Mele.
Di seguito diamo solamente la trascrizione del testo della canzoncina poiché, purtroppo, il documento musicale, essendo un manoscritto e per di più molto sbiadito, risulta difficile da leggere e da interpretare.
Io son farfalla e volo
Farfalla
Io son farfalla e volo
Per quanto so volar
Da la pianura al monte
Da la fontana al mar.
Ogni giardin cercai
Ogni erba ed ogni fior
E non ancor trovai
Un fiorellin d’amor.
Tu che pietosa sei,
Cortese pellegrin,
Tu che saper lo dei,
Insegnam il cammin;
Ch’io riposar mi voglio
In seno alla beltà,
E volo allor mi spoglio
La cara libertà.
Poeta
Leggiadro volatore,
Ben l’avvenisti a me,
Che il fiorellin d’amor
Trovato ho già per te:
Vieni di Pellicano
A la gentil magion,
Vieni non vè lontano
Da l’alma tua prigion.
Dov’è la farfalletta?
Da me si dileguò;
Ma so dove mi aspetta
E la ritroverò.
La vè che si riposa
A Dorothea nel sen:
Ivi trovò la rosa,
Che l’accontenta appien.
Felice chi rinviene
Al fin del suo sentier
Il sospirato bene
Il bene del suo pensier.
Per affannosi colli,
Per tempestoso mar
Lo vo cercando anch’io,
Ma non lo so trovar.
In Castellammare il dì 26 luglio 1827
Note:
[1] Fonte gallica.bnf.fr / Bn.
[2] Si parla di riscoperta poiché l’acqua Media fu citata da Plinio nella sua enciclopedia con queste parole: Item in Stabiano quae dimidia vocatur. Gaius Plinius Caecilius Secundus Naturalis Historia scritta in 37 libri e terminata tra il 77 e il 78 d.C.
[3] Fra Tommaso Ricciardi da Sanseverino era un frate francescano affetto da gotta il quale dopo aver bevuto quest’acqua, che i cittadini stabiesi credevano velenosa, a seguito della guarigione, scrisse il 15 Agosto 1754 una lettera sulle virtù delle acque minerali stabiesi.
Per meglio far capire la notorietà che quest’acqua aveva assunto nel tempo citerei le parole con cui inizia la relazione fatta dalla commissione d’igiene per attenzionare il popolo dalle adulterazioni che spesso facevano i rivenditori in quanto alla fonte non scaturiva tantissima Ma più di ogni acqua minerale richiedeva la nostra sorveglianza l’acqua Media di Castellammare, … che di quest’acqua ne faceva grand’uso, che tutti i venditori vendono acqua media adulterata. Raffaele Valieri Storia della commissione igienica della Sezione Pendino dal 30 giugno 1865-al 31 dicembre 1866…Napoli Stabilimento tipografico del Commend. G. Nobile 1867.
[4] Gli scienziati incaricati di analizzare quest’acqua furono nel 1787 gli illustrissimi professori Domenico Cotugno e Giuseppe Vairo. Questa la lapide che il popolo stabiese fece apporre alla fonte per ringraziare il re ACQUE ACIDULAE CUIUS VIM IN PLURES MORBOS PLINIUS OLIM COMMENDAVIT NUNC VERO COTUMNIO VAIROQUE PROBANTIBUS STABIENSES REGIS AC POPULI COMMODITATI CONSULENTES P. S. AEDICULAM HANC FAC. CUR. AD MDCCLXXXVII.
[5] Catello Troiano nacque a Castellammare di Stabia nel terziere di Scanzano. I suoi primi progetti videro la luce nella sua città natale, tra i quali la villa Acton nel 1789 oltre a quello già citato nel testo. Grazie alle sue doti il 24 Agosto 1805 figura come architetto di seconda classe, responsabile della reggia di Portici e delle sue dipendenze, la villa Favorita ad Ercolano e la Reggia di Quisisana a Castellammare. Ancora, nel1815, come riportato in un documento presente presso l’Aarchivio di Stato di Napoli, lo ritroviamo nominato architetto in Castelvolturno.
[6] Pellicano: illustre famiglia calabrese, originaria di Gioiosa ionica, già nel 1400 figura nell’almanacco delle famiglie nobili. Appartennero a questa famiglia il Barone Domenico Governatore Generale dello Stato Carafa – Giuseppe Maria Senior 1764/1833 Vescovo di Gerace – Francesco Antonio avvocato, archeologo, numismatico 1796/1835 – Paolo Pellicano 1813/1886 presbitero e patriota italiano – Clelia Romano Pellicano, 1873/1923, giornalista e pioniera del femminismo europeo – Giuseppe Maria “Junior” 1876-1935 poeta, scrittore, drammaturgo -Francesco Maria 1878-1929 Deputato e lo scrittore Massimo 1896/1967. All’inizio del 1800 grazie a Francesco Antonio che era corrispondente della Regale Accademia Ercolanese, dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, e della Accademia Florimontana Vibonese all’interno della villa vennero conservati diversi reperti di antichità romane. All’ interno della villa si custodivano sia i reperti rinvenuti nei vari poderi di proprietà della famiglia lungo l’ager Stabiano che quelli proveniente da Gioiosa Ionica, città d’origine della famiglia. Questi ultimi furono trasportati a Castellammare, non sappiamo bene da chi e in quale momento, e comprendevano i corredi delle necropoli di Marina di Gioiosa e di Locri, che verosimilmente si trovavano nel palazzo di Gioiosa, insieme alle epigrafi di Locri. La raccolta fu poi trasmessa di primogenito in primogenito subendo diversi frazionamenti. Tra i reperti di maggior pregio vi era il sarcofago del III sec. d.C., dedicato a Marco Virtio Cerauno trafugato da ignoti nel 1978 e ritrovato a Lugano l’anno dopo.
[7] Cfr: Viaggio di uno scozzese a Napoli – escursione a Castellammare di Gelda Vollono e Lino Di Capua pubblicato su
Libero ricercatore, 2021.
[8]Clelia Romano Pellicano (Napoli, 1873 – Castellammare di Stabia, 2 settembre 1923) è stata una scrittrice e giornalista italiana, anche conosciuta con lo pseudonimo di Jane Grey (nome di una regina inglese all’epoca di Enrico VIII), ed è stata pioniera del femminismo italiano. Alla morte del padre, nel 1892, giovanissima sposò il marchese calabrese Francesco Maria Pellicano, ufficiale di cavalleria, dell’illustre casato dei duchi Riario-Sforza, marchesi di Gioiosa Ionica. La coppia visse anche a Castellammare di Stabia. Il brano riportato nel testo è tratto dal suo libro “La vita in due, Milano, Vallardi, 1918.
[9] Or bene, la spaziosa marina di Castellammare è fatta proprio ammodo per ricevere comodamente nei suoi soavi flutti i possibili visitatori …. vengono costruiti … magnifici stabilimenti tenuti per bene, con gran sala di aspetto, con solidi ed eleganti passaggi e con un discreto numero di camerini… Fra tutti meritano distinzione gli Stabilimenti Villa Garibaldi, Villa di Sorrento, e Villa di Castellammare… (cfr. Dott. Seb. Gentile: Castellammare di Stabia. Le sue acque… Castellammare, Tipografia Di Martino, 1882).
[10] Gaetano Donizetti: Lettere inedite di Gaetano Donizetti. Roma Unione Cooperativa Editrice, 1892.
[11] Cfr Gelda Vollono, Lino Di Capua: Souvenir de Castellammare (Joseph Lanner e la canzone “Te voglio bene assaje”). liberoricercatore, 2019
[12] Quest’opera fu rappresentata al teatro Francesco I di Castellammare di Stabia nel mese di agosto del 1841 dalla compagnia diretta dall’impresario Giovanni Paladino. (cfr. Il Pirata: giornale artistico, letterario, teatrale. N. 17 del 27 agosto 1841).
[13] La moglie, Virginia Vasselli, morì il 30 luglio 1837 a soli 29 anni, non si sa bene se di colera o di scarlattina.
[14] Dal quotidiano austriaco Wiener Salonblatt del 26/06/1927
[15] La presenza di “Dolly” a Castellammare è testimoniata in una lettera inviata al marito il 5 maggio 1839.
[16] Kauchtschischwili Nina: Il diario di Darʹja Fëdorovna Ficquelmont. Milano, Vita e pensiero, 1968
[17] Nel giornale del Regno delle due Sicilia del 15 luglio 1826 si legge: Napoli 14 luglio: Dopo pranzo le LL.MM. uscirono a diporto; e la sera oltre ad aver ricevuto S.E. il Sig. Conte di Ficquelmont che trovavasi in Castellamare, …
[18] Erano questi esattori che versavano le somme riscosse dai contribuenti alla ricevitoria generale e da questa alla Tesoreria generale dello Stato.
[19] Compito del “controloro” era quello di esaminare tutti gli atti delle Direzioni Provinciali relativi a rettifiche di catasti ed a reclami, oltre alle contribuzioni stesse (cfr. Collezioni di legge, decreti, reali rescritti, ministeriali, regolamenti. 1856).