La Befana
di Giuseppe Zingone
Non amo il capodanno, m’infastidisce il dover attendere la mezzanotte chiassosa, per non parlare della guerra che si scatena prima, durante e dopo, il rintocco ultimo e lo scandire dei secondi dell’anno nuovo.
“Nun me piace!”, avrebbe detto Tommasino, poiché una volta l’anno, contro la mia volontà, l’odore di zolfo dei botti mi arrecano danno ai polmoni ed in quanto asmatico neanche del brindisi con i parenti ho mai potuto godere. A volte per premura i miei genitori mi mettevano un foulard su naso e bocca (per proteggermi dalle esalazioni) e mi sembrava quasi normale apparire come un bandito dei film del vecchio West.
Amo, invece, il Natale perché SACRO, è il momento in cui, unica storia al mondo, un Dio Onnipotente decide di “divenire” ed abbracciare nella nostra carne, divenuta anche Sua, l’umanità intera. Natale è per me sentimento, famiglia, amicizia, odori e sapori ma soprattutto è il presepe, (che tutti questi elementi incorpora) primo tra tutti quello realizzato da mia madre con quella pazienza che l’ha sempre contraddistinta, poi quello oramai divenuto “stabile Stabiano”, lo stesso che continuo a portare nei miei ricordi e che ruba spazio e palcoscenico all’anno nuovo “Ca’ proprio nun me piace!”.
L’Epifania è il momento in cui Cristo bambino diventa star del mondo, dopo aver vinto il primo premio, nella terra natía di Giuseppe, (Betlemme, la casa del pane). Sbaglia chi crede che il Signore mostrò sé stesso ai pagani solo dopo che gli israeliti l’avevano rifiutato. Fu prima, fu tanto tempo prima quando gli occhi di Gaspare, Melchiorre e Baldassare si posarono sul quel bambino tra le tenere braccia di Maria, fu lì che Gesù si “manifestó” al mondo.
Ma se, Gesù, festeggia il suo compleanno tra il ventiquattro e il venticinque Dicembre, la notte tra il cinque ed il sei Gennaio, per il figlio di un operaio qual ero, apparteneva alla Befana, mi era estraneo il significato della parola Epifania e del resto solo i figli delle famiglie più abbienti avevano a torto o a ragione sostituito la Befana con Babbo Natale, oggi è una prassi averli entrambi sono le regole del consumismo alle quali il popolo tutto deve sottostare.
La Befana, era la festa dei bambini, ma solo per un giorno che tra l’altro chiudeva le festività. Il sei Gennaio al risveglio scoprivi il giocattolo e la calza che la rachitica vecchina ti aveva lasciato in eredità (dolciumi e qualche moneta) e il giorno dopo ti ritrovavi sui banchi di scuola e bisognava aspettare San Catello, per poter sognare ancora un po’.
Nelle immagini della memoria, qui nel sito, (per me troppo lontane) ci sono belle foto della Befana dei vigili a Piazza Quartuccio.
La mia, era una befana moderna e quando i riflettori di Mario il pescatore si spegnevano in via San Bartolomeo, subito si accendevano le lampadine volanti di Molinari negoziante di “pazzielle” (Leggi anche: Ricordi ‘e Natale). Papà riceveva dal cantiere il buono della Befana e con quello si cercava di accontentare i figli. Un anno addirittura, il numero di matricola di mio padre 3222 venne sorteggiato al CRAL della Fincantieri, in via Bonito, vincemmo una bicicletta Bianchi, stette poco tempo con noi, poi finì venduta.
Vi parlavo di Molinari e l’effetto delle luci che provenivano dal basso, le quali piroettavano le ombre dei passanti sul soffitto di casa, quante metamorfosi, io vi posso giurare che all’età di otto anni, vidi concretizzarsi nel buio della notte le forme della Befana.
Sono lenti movimenti chimici nel cervello questi ricordi, almeno quello che dicono gli scienziati, ma da credente avanzo molti dubbi sulla bontà della scienza, (soprattutto quella moderna) attenta più ai profitti che al bene del prossimo e poi mi piace aggrapparmi agli eventi passati e portarli con me in questo viaggio di anni che si susseguono.
Poi giunse l’adolescenza, molti di voi come me, ricorderanno che Santa Maria dell’Orto soprattutto il 5 Gennaio, mutava a festa, era invasa da una infinita bolgia umana e da miriadi di bancarelle quelle che prima ospitavano i famosi botti.
Si vendevano qui all’aperto befane per tutte le tasche. Sia chiaro, befane minori, fatte di giocattoli poco costosi, non da vetrina, balocchi che spesso resistevano solo il giorno della festa o poco più.
Si vendeva comunque di tutto in questi duecento metri, immancabile i venditori di zeppole e panzarotti (con mille lire facevi il pieno) ed all’altezza del Vico San Vincenzo, ti attendeva il venditore d’incenso, con la sua profumata mercanzia, speranzoso di racimolare qualcosa anche se il Natale era ormai passato.
Uno struscio invernale e come si poteva resistere a quel trasporto di umanità stabiese.
Dopo un primo tentativo ti ritrovavi ad imprecare, ma una volta dentro era impossibile una via di fuga e ci si rimaneva dentro anche volentieri.
Una sorta di calamita e noi, allora, giovani fatti di grezzo metallo ne eravamo irresistibilmente attratti. E quanti baldanzosi maschi latini, in gruppi di amici, avranno pedinato i loro primi amori, in quel marasma.
Oggi le festività sono blindate colpa del Covid, non c’è struscio, non c’è festa, rimane solo il ricordo di un mondo andato, che ognuno riterrà sicuramente più candido, ingenuo ed a misura d’uomo.
Speriamo di ricevere, anche quest’anno un pezzetto di carbone zuccherato!
Articolo terminato il 04 Gennaio 2021
Bellissimo racconto!