articolo dell’arch. Salvatore Gallo
Presso l’Archivio di Stato della città di San Gallo, Svizzera, si conserva un interessante documento grafico denominato “Garancine-Fabrik Castellammare” che raffigura taluni opifici industriali ubicati presso la foce del Sarno intorno alla metà del XIX secolo.
Devo alla cortesia del funzionario archivista Marcel Müller dello Staatsarchiv St.Gallen la trasmissione del documento avvenuta a meno di un’ora dall’istanza inoltrata a mezzo di semplice e-mail alla direzione dell’archivio, con una tempistica inconfrontabile con quella alla quale sono, ahimè, avvezzi tutti coloro che hanno una qualche dimestichezza con gli archivi nostrani.
Il solerte funzionario, oltre a mostrare entusiasmo nel soddisfare la nostra richiesta (my very first from bella Napoli!), precisava che il documento in questione consiste in una fotografia bianco e nero di un dipinto all’acquerello (purtroppo non nella disponibilità dell’ente) proveniente dall’archivio della famiglia d’imprenditori svizzeri “Wenner“, firmato in basso a sinistra: Jean Grossgasteiger 1859. Un’annotazione in calce al documento d’archivio recita: Eine mit dem Cotonificio di Scafati liserte Fabrik in Castellammare nach einer originalreichnnung von Jean Grossgasteiger 1859 (trad.: Uno stabilimento di Castellammare concesso in licenza al Cotonificio di Scafati su disegno originale di Jean Grossgasteiger nel 1859).
Fig.1: Staatsarchivs St. Gallen, documento W-054-16.1, Jean Grossgasteiger, Ansicht der Garancine-Fabrik fon Castellamare, 1859.
Committenti del dipinto furono dunque con ogni probabilità i titolari della manifattura della vicina città di Scafati i quali vollero in tal modo celebrare la nascita della nuova succursale in territorio stabiese. Il Grossgasteiger era all’epoca un apprezzato esponente della scuola di Posillipo e profondo conoscitore del territorio di Castellammare e del suo circondario: sono di lui note una vista del castello, della basilica di Pozzano, di Piazza Mercato, una splendida prospettiva dall’alto della città e del suo porto dalle rampe di Santa Croce, di Sant’Angelo (Faito), della Calcarella, etc. Di qui la scelta dei committenti caduta su un artista di comprovata fama.
Di mirabile composizione e resa prospettica, il dipinto si segnala per la felicissima commistione di elementi naturali ed antropici: sullo sfondo campeggia inconfondibile la sagoma del Faito con S. Angelo a Tre Pizzi e le sue balze; in basso le feracissime campagne della piana del Sarno solcate dal letto del fiume corrente ormai nel suo nuovo alveo rettificato; al centro, sulla sponda sud del fiume, l’opificio industriale dal quale svettano snelle ciminiere. A destra della raffigurazione la locomotiva Bayard sbuffa avanzando sul piano ferroviario sopraelevato sui campi circostanti, lambendo lo scoglio di Rovigliano su cui netto si staglia l’elemento turrito di vicereale memoria. Sullo sfondo di un mare quieto e solcato da vele, Capri e le propaggini della penisola sorrentina.
È stato giustamente notato nelle biografie dell’autore come egli nelle sue rappresentazioni non si dimostrasse insensibile ma piuttosto mostrasse una spiccata predilezione per gli elementi del nuovo progresso; una conferma di ciò si ha, ci sembra, nella raffigurazione del panorama suddetto nel quale l’artista fa convergere, rendendole compresenti alla vista, le principali novità tecniche dell’epoca: la strada ferrata, gli opifici, il nuovo corso inalveato del fiume, incastonandoli con mirabile sintesi nella cornice naturale dei luoghi. Tutto lo spirito positivistico proprio dell’epoca sembra prorompere dalla raffigurazione sapientemente modulato dal romanticismo tipico della scuola pittorica cui l’autore apparteneva.
Ma chi furono i probabili committenti del dipinto e a che tipo di produzione era deputato l’opificio che ne costituisce il soggetto principale?
È noto come a partire dal decennio francese, in particolar modo durante il settennato murattiano, molteplici furono gli sforzi governativi volti ad incentivare la fondazione nel Regno di Napoli di fabbriche manifatturiere, orientamento poi proseguito anche durante la restaurazione borbonica; se a Castellammare vennero impiantate diverse concerie di pelli ad opera soprattutto d’imprenditori francesi e tedeschi (Lemaire, Bonnet, Lamy, Haller, etc.), nell’area salernitana, tra Scafati e la valle dell’Irno, furono impiantati numerosi opifici deputati alla lavorazione delle materie cotoniere ad opera soprattutto d’imprenditori svizzeri.
Fig.2: manifattura di cuoi ubicata sulla spiaggia di Castellammare, stralcio dalla carta militare del 1812; il vicolo verso la spiaggia segnato in pianta è da identificarsi con l’attuale vicolo del Carmine.
Apparteneva alla predetta folta schiera d’imprenditori elvetici lo zurighese Giovan Giacomo Meyer (1772-1872) che dopo una prima esperienza come tintore maturata nella manifattura di Giovan Giacomo Egg a Piedimonte d’Alife, aprì appunto in Scafati, col socio zurighese Giovanni Rodolfo Zollinger, una tintoria di “Rosso di Adrianopoli“. La denominazione della fabbricava traeva origine dal particolare processo di colorazione dei filati che in essa si attuava che sfruttava le proprietà, note sin dai tempi antichi, d’una specie vegetale denominata robbia (conosciuta come Robbia tinctorum o anche Garanza da cui il termine Garancine-Fabrik di cui sopra), dalle cui radici s’estraeva una sostanza che tingeva d’un rosso intenso i tessuti, rendendoli particolarmente ricercati sul mercato.
Fig. 3: rubia tinctorum in un antico erbario (fonte web).
Fig. 4: un esempio di tintura in Rosso di Adrianopoli su un filato di cotone affisso su un brevetto dello stato pontificio del 1851 (fonte web).
La perizia del Meyer nell’impiego di tale sostanza meritò alla sua manifattura diversi premi come in occasione della Mostra Nazionale delle Arti e Manifatture del 1853 dove al nostro fu conferita medaglia d’oro con le seguenti parole: “Degna di non minori encomii è la Fabbrica che tiene in Scafati il Sig. Giacomo Meyer. Egli oltre del cotone filato per trama e ritorto, e tinto in rosso Adrianopoli, produce a discreti prezzi mussolina scarlatta, buoni fazzoletti bianchi, e migliori foulards, ed eccellente wagram“. (Giovanni Wenner, L’origine dell’Industria tessile salernitana, Rassegna Storica Salernitana, anno 1953, pag. 72.)
Già dal 1851 Meyer aveva liquidato il proprio socio Zollinger entrando in società dapprima col proprio figlio Arnoldo e successivamente, nel 1855, col genero Rodolfo Freitag. È in tale contesto socio-familiare che si provvide al potenziamento ed alla modernizzazione del cotonificio di Scafati con l’installazione d’una nuova tessitura meccanica nonché all’apertura dell’opificio stabiese che venne invece deputato espressamente alla produzione della sostanza colorante, da identificare certamente con la fabbrica del dipinto del Grossgasteiger. L’abbondantissima presenza della robbia lungo le sponde del fiume Sarno ne dettò probabilmente la localizzazione e appunto come “Fabbrica di Robbia” essa è riportata nelle principali cartografie di fine secolo inerenti al territorio stabiese che di seguito riportiamo:
Fig.5: stralcio dalla cartografia IGM del 1875, scala 1:10.000; il corso del Sarno appare rettificato e, alla foce, sulla sponda meridionale del fiume, è riportata la “Fabbrica di Robbia“.
Fig.6: stralcio dalla cartografia IGM del 1885, scala 1:50.000; sulla riva meridionale del fiume Sarno è anche qui riportata la “Fabbrica di Robbia“.
La bonifica del basso corso del Sarno, intrapresa a partire dal 1855 e portata a termine nel volgere di poche anni, 1858, voluta dai Borbone per recuperare al fiume la navigabilità sino al sito strategico della polveriera di Scafati, dimezzando il corso del fiume da Scafati sino alla foce, determinò un’ampia disponibilità di appezzamenti di terra in precedenza soggetti all’esondazioni del fiume stesso. Nei nuovi spazi presso la foce fu appunto impiantata la Garancine-Fabrik.
La cartografia del 1875 mostra con chiarezza lo sviluppo planimetrico della fabbrica articolato in quattro bracci formanti un quadrilatero di circa 55,00 m per lato. La palazzina sede del reparto amministrativo era certamente ubicata sul lato est mentre i restanti bracci, più bassi, erano costituiti dagli opifici veri e propri. Questi erano informati secondo la tipica architettura delle filande, vale a dire con corpi di fabbrica a forte sviluppo longitudinale onde consentire un’uniforme distribuzione della forza meccanica degli alberi motore dei macchinari mossi dal vapore, con prospetti contrassegnati dalla presenza d’una fitta trama di aperture al fine di conseguire un’adeguata illuminazione degli spazi interni. Ad eccezione della palazzina centrale che mostrava una maggiore ricchezza di stucchi e modanature, i restanti corpi di fabbrica erano improntati a grande semplicità di disegno, con tetti a falde e facciate piane dovendo assolvere meramente alla funzione produttiva cui erano destinati. Edifici del tutto simili si osservano in un disegno sempre del Grossgasteiger pressoché coevo a quello di Castellammare, anno 1857, che ritrae gli opifici della Schlaepfer Wenner & C ubicati in Salerno presso le Fratte.
Fig.7: Staatsarchivs St. Gallen, documento W-054-9.14, Jean Grossgasteiger, “Filanda in partecipazione Schlaepfer Wenner & C., Fratte mit Casino Schlaepfer, 1857”.
Sul declinare del secolo XIX, le politiche matrimoniali poste in atto dalle principali famiglie d’imprenditori svizzeri dell’ex Regno di Napoli decretarono la fusione dei rispettivi grandi gruppi; morto Meyer nel 1872, Freitag condusse la manifattura insieme al cognato Arnoldo Meyer finché le sue due figlie contrassero matrimonio coi fratelli Federico e Roberto Wenner eredi del colosso manifatturiero Schlaepfer Wenner & C sito a Salerno nella Valle dell’Irno. Roberto Wenner in particolare divenne in breve tempo l’unico gestore della manifattura scafatese che seppe sagacemente condurre nel nuovo secolo e ciò spiega la provenienza del documento sangallese che abbiamo mostrato in queste pagine dall’archivio della omonima famiglia.
In seguito, agli inizi del ‘900 la messa appunto d’innovativi processi di colorazione dei tessuti basati sull’uso di sostanze artificiali, più economiche di quelle naturali, decretò la progressiva dismissione della fabbrica stabiese. A ciò si aggiunga che nel primo dopoguerra, nel 1918, si assiste ad un ingresso di capitale nazionale fortemente voluto dall’establishment politico dell’epoca, che portò ad una progressiva estromissione dell’imprenditoria svizzera dal comparto delle manifatture cotoniere meridionali. Roberto Wenner moriva l’anno dopo, 1919, forse proprio per il forzato distacco dalla realtà industriale che tanto aveva contribuito a consolidare e a far progredire: Questo distacco, forse non voluto nell’intimità del suo animo, fu costretto a compierlo per motivi che un giorno il pubblico saprà e giudicherà (Giovanni Wenner, L’origine … , pag. 76).
Della ottocentesca fabbrica della robbia di Castellammare sopravvive, ancorché priva dell’antico tetto a falde, la sola palazzina centrale sede degli uffici, chiaramente visibile all’osservatore curioso che voglia addentrarsi nei luoghi presso la foce del Sarno.
Moltissimo interessante per chi curioso come me vuole conoscere la storia ,le tradizioni e i costumi del proprio territorio .Bisognerebbe però divulgare queste notizie più volte e su stampa quotidiana per incuriosire la gente e spronarla alla conoscenza della storia ,,tradizioni ed usi dei luoghi dove si vive per affrontare meglio la vita presente.
Bello e curato articolo
Sempre da ammirare il lavoro certosino che svolgete e che ci consente di non perdere la memoria dei nostri luoghi,persone,avvenimenti. Un plauso e tante grazie !