La via del Gesù

La via del Gesù

nei ricordi della prof.ssa Gelda Vollono

articolo del 19/07/2021

L’ingresso del portone del palazzo in cui sono nata a via Gesù n.35.

Ho appena finito di leggere La primavera cade a novembre, primo romanzo giallo del dott. Angelo Mascolo, ambientato nella Castellammare degli anni ’40. L’interesse, l’entusiasmo e spesso la commozione mi hanno sopraffatto durante la lettura, riconoscendo nello svolgersi della storia i luoghi tanto amati della mia infanzia ed adolescenza.

Sono nata, infatti, in un palazzo d’epoca di via Gesù al n. 35 (poi 36), interamente di proprietà di un notaio di Napoli, che l’aveva comprato per investire i suoi risparmi. Infatti all’epoca, sto parlando dell’inizio del secolo scorso, molti napoletani, sia perché venivano a trascorrere le loro vacanze a Castellammare, sia per mettere al sicuro i loro soldi, ricavandone un guadagno certo, acquistavano appartamenti, ville ed edifici nel centro storico della città.

La via Gesù era, all’epoca, il cuore pulsante della città, la strada dello shopping e dello struscio, conosciuta anche come via degli orefici per la presenza di numerose gioiellerie lungo il suo percorso, cito a mo’ di esempio la gioielleria del sig. Tafuri e quella del sig. De Meo. La strada partiva da piazza Municipio, ora piazza Giovanni XXIII, e arrivava fino al vico del Pesce da dove continuava come calata Mercato fino a piazza Cristoforo Colombo, citata ancora oggi come piazza Orologio, anche se il suo nuovo toponimo risale al 1925. Lungo il suo percorso s’incontravano numerose chiese e due grandi discese: a dx. le calate Gesù” e san Bartolomeo”, mentre a sx. due vicoli via Nuova e vico San Bartolomeo.

Sulla calata Gesù, oltre al negozio di frutta di “Nicola ‘o ‘nzalataro”, c’era la rinomata cantina di “Ciccio ‘a rui sorde”, meta di povera gente, che con pochi soldi trovava sempre un piatto caldo e un bicchiere di vino ad accoglierla. Famosi erano la pasta e fagioli e il sugo con le polpette o con le cotenne di maiale, che erano sempre sul fuoco e che profumavano tutta l’aria intorno.

 L’altra, quella di san Bartolomeo, al mattino era luogo di un mercato, principalmente della frutta e del pesce. Mi sono rimaste impresse nella memoria due giovani donne che scendevano a piedi da Pimonte: portavano sulla testa in una cesta il loro carico di frutta con equilibrismo ed incedere elegante degni del migliore defilé di moda. Di loro non si è mai saputo il nome perché per tutti erano E pimontese.

Non mancava la presenza di alcuni negozi su entrambi i lati della discesa: di quello di un fabbro ferraio, ubicato a dx. alla fine di tale discesa, mia madre mi raccontava che, nell’ultimo conflitto bellico, quando le pattuglie tedesche catturavano giovani civili, per destinarli ai lavori forzati, molti di essi avevano trovato la salvezza in questo negozio, perché dotato di una botola, che conduceva sotto la strada e che il fabbro occultava mettendoci sopra pesanti attrezzi da lavoro.

Ritornando al palazzo in cui ho trascorso buona parte della mia infanzia e adolescenza, esso era situato alla sx. della Chiesa del Gesù con la quale contribuiva a formare la calata Gesù e si affacciava da una parte sull’omonima strada e dalla parte opposta su via Campo di Mola. Sotto al palazzo, ad angolo con la discesa, c’era il negozio di don Ciccio il salumiere. Da lui andavo o per comprare la nutella, che all’epoca si vendeva “sfusa”, avvolta con   della carta oleata, o perché mia madre mi mandava a comprare “o ntrattieno”. Si usava allora questo espediente quando le mamme volevano togliersi di torno i figli per qualche tempo.  Don Ciccio appena mi vedeva intonava l’area dalla Bohème “che gelida manina te la lasci riscaldar …” perché avevo sempre le mani fredde ed anche perché mi voleva in qualche modo canzonare vista l’assonanza di gelida con il mio nome Gelda.

Avevamo un portiere famoso per i suoi mastini napoletani, che erano a guardia dello stabile ma che, all’occorrenza, fungevano da guardia del corpo dei condomini. Mia zia, giovane ostetrica durante il periodo dell’ultima guerra, mi raccontava che, allorché si doveva recare in piena notte al capezzale di una partoriente, veniva sempre accompagnata da “Vicienzu re’ can (Vincenzo dei cani)”, così era conosciuto il portiere in tutto il quartiere, e da uno dei due suoi fedelissimi mastini. Ciò che ancora ricordo di loro è la puzza che si avvertiva molto prima di entrare nel portone e il fatto che non li ho mai sentiti abbaiare.

Mi piace menzionare alcuni condomini, che hanno in qualche modo segnato la mia fanciullezza: sul nostro stesso pianerottolo, al primo piano, proprio di fronte al nostro appartamento, abitava la famiglia del prof. Catello Marano, cui la città ha dedicato una strada per i suoi meriti culturali, e che ricordo seduto alla scrivania con l’immancabile giacca di velluto rosso intento a studiare o a dare ripetizioni agli studenti.  Mi torna alla mente anche la sua giovane figlia, di cui purtroppo non ricordo il nome, che intratteneva me, allora bambina di pochi anni, con fiabe e giochi; accanto a noi c’era la famiglia Tommasini composta da quelle che io allora chiamavo le signorine di donna Fiore perché l’appartamento era abitato dalla vedova Fiorella Tommasini e dalle sue due sorelle zitelle;  al secondo piano negli anni ’60 un appartamento fu occupato dalla succursale della Scuola Media “F. Di Capua” che ebbi la fortuna di frequentare sia perché mi bastava fare solo un piano per essere a scuola e sia per gli ottimi insegnanti che ho avuto. Ricordo con piacere le proff.sse Molinari e Prota con l’indimenticabile e insostituibile prof. Francesco di Nocera.  Qualche tempo dopo, ho avuto il piacere e la soddisfazione di essere l’insegnante di tutte e tre i suoi figli; infine al terzo piano il sig. Montefusco, che aveva a via Mazzini un famoso negozio di giocattoli, paradiso di noi bambini ma inferno per i poveri nostri genitori, che, se avevano la malaugurata idea di passarci davanti insieme a noi, dovevano ingaggiare una vera e propria battaglia per staccarci dalle vetrine.

Quasi alla fine della strada c’era poi il palazzo dove era stato istituito l’Oratorio antoniano  fondato dal sac. Catello Longobardi e diventato in seguito meta di pellegrinaggio da parte di chi voleva ricevere grazie dal Santo di Padova, per mezzo delle continue preghiere della sorella Maria, nota in città come Onna Sciurella, e delle sue amiche.

Purtroppo, agli inizi degli anni ’60, l’intensa urbanizzazione della zona a nord-est di Castellammare, con la costruzione di tanti palazzi, innescò una vera e propria emigrazione interna: interi rioni nel centro storico incominciarono a svuotarsi per andare a riempire quelli moderni, in parte popolari in parte eleganti e lussuosi, della Nuova Castellammare. Di conseguenza anche tutto il tessuto produttivo, che ruotava intorno ad essi ne risentì, per cui a mano a mano molte delle attività commerciali si spostarono in altre zone più redditizie mentre, altre come la gioielleria del sig. Tafuri, chiusero definitivamente la loro attività.

Anche in via Gesù cominciò l’esodo di molte famiglie e nel giro di qualche decennio la desolazione e l’abbandono s’impossessarono di questo quartiere, cambiandone radicalmente la fisionomia, perfino le Chiese dovettero ridurre l’orario e i giorni delle loro funzioni per mancanza di fedeli.

Negli anni ’80, quando si rifece parte della toponomastica cittadina, si pensò bene di spezzarla in due tronconi, forse perché era troppo una tale denominazione per una strada che non aveva più né memoria né identità. E così quello fino alla Chiesa del Gesù mantenne il toponimo antico, mentre il successivo, che si prolungò fino a piazza Cristoforo Colombo, si chiamò via San Bartolomeo. Si cancellò di fatto anche la memoria della strada, che dal Vicolo del Pesce portava a piazza Cristoforo Colombo ed il cui toponimo calata Mercato ricordava la funzione che essa nel passato aveva ricoperto. Inoltre la numerazione di via san Bartolomeo iniziò da piazza Cristoforo Colombo ma inspiegabilmente, interrompendosi all’altezza del Vicolo del Pesce, andò a decrescere anziché accrescersi lungo tutto il suo percorso, come è logico e normale che si faccia, Per meglio chiarire il pasticcio che è stato fatto l’Oratorio Antoniano, qualche negozio dopo il Vicolo del Pesce risulta essere ubicato in via san Bartolomeo 72 e il palazzo in cui sono nata, accanto alla calata Gesù è al n. 36.

Portone di Onna Sciurella

Il portone di “Onna Sciurella”

Insomma si è cambiato il nome ad un tratto di strada ma non la sua numerazione. Cosa ancora più sconcertante è che, non solo molti atti pubblici redatti fino agli anni ’90 ma anche pubblicazioni, guide di viaggio, fotografie e cartoline, fino a tutt’oggi continuano ad usare la vecchia toponomastica.

Allora mi chiedo se non sia il caso di ripristinarne le vecchie denominazioni, in modo da rimettere le cose a posto ed evitare ulteriore confusione.

3 pensieri su “La via del Gesù

  1. Anna Di Nocera

    Leggo con piacere e commozione i ricordi della mia amata professoressa di matematica (sono uno dei figli del professore Francesco Di Nocera) a cui devo la passione per questa disciplina, mi sono laureata in fisica ed ora insegno io stessa matematica e fisica nei licei di Caserta. Con affetto Anna Di Nocera

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