articolo di Ferdinando Fontanella
Approfittando delle splendide giornate di inizio estate, quest’anno, ho deciso di fare un tour per gli scavi archeologici del circondario vesuviano.
Visitando le sontuose ville romane di Stabia e Oplonti, le straordinarie città antiche di Pompei ed Ercolano ho inconsciamente desiderato di poter sentire, anche solo per pochi minuti, una voce, un suono, un rumore, vedere un colore, annusare un odore, insomma percepire qualcosa di concreto, che non fossero rovine, che mi facesse rivivere realmente quel tempo ormai passato.
Un sogno irrealizzabile direte voi, ed è quello che pensavo anche io, finché, non ho visto, in un angolo umido e ombroso degli scavi di villa San Marco a Castellammare, l’Acanto (Acanthus mollis L.) una pianta erbacea spontanea dell’area mediterranea, caratterizzata da grandissime foglie profondamente incise, riunite in una rosetta basale dalla quale si erge, nel periodo primaverile-estivo, una splendida spiga fiorita.
Il verde brillante delle foglie d’Acanto, le delicate sfumature bianco – roseo – violetto dei fiori, il loro impercettibile odore, hanno agito sulla mia ragione ed è così che finalmente ho rivissuto in modo reale un frammento del passato, qualcosa che per gli antichi era stato importantissimo.
L’Acanto è, infatti, tra le piante che hanno profondamente influenzato la cultura dell’antichità, l’architetto romano Marco Vitruvio Pollione nel I secolo a.C. nel trattato “De Architectura, libro IV” racconta che lo scultore greco Callimaco (seconda metà del V secolo a.C.) prese spunto da questa pianta per realizzare diversi ornamenti architettonici, tra cui anche il capitello nello stile corinzio.
Il mito descrive la storia di un matrimonio mancato di una giovane di Corinto, morta poco prima delle nozze. Sulla tomba della donna, la sua nutrice pose un canestro ricoperto con una lastra lapidea. Alla base del canestro crebbe una pianta di Acanto che, arrivata alla lastra di copertura, ripiegò le proprie foglie verso il basso, assumendo la singolare configurazione che è divenuta propria del capitello corinzio.
Motivi ispirati a questa essenza si riscontrano anche nell’architettura cristiana, la pianta è simbolo di resurrezione ed è spesso riprodotta per adornare i monumenti sepolcrali e le colonne delle chiese dove si custodiscono le reliquie dei Santi.
Per gli antichi romani l’Acanto fu anche una importante pianta ornamentale, adatta ad essere coltivata in ambienti umidi ed ombrosi era usata come pianta di bordura e di macchia nei viali e nelle zone in ombra delle ville, ma principalmente trovava impiego come elemento decorativo dei ninfei, edifici caratterizzati dalla costante presenza dell’acqua e per questo consacrati alle ninfe, considerate dai romani le divinità di fontane, sorgenti e fiumi.
Nella mitologia greca Acanto (dal greco ákanthos, spina) era anche il nome di una ninfa amata da Apollo. Acanto non ricambiava l’amore del dio del sole che, offeso, tentò di rapirla ricevendo in cambio dei graffi al volto. Per questo affronto Apollo decise di tramutare la ninfa Acanto in una pianta spinosa, adatta all’ombra ma che per vivere avesse bisogno comunque del sole.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
Bellissimo articolo !