ponte

L’Acquedotto borbonico

a cura di Antonio Cimmino

Real cantiere

Real cantiere

Già dalla fine del 1500 nella zona di Castellammare di Stabia erano presenti numerosi cantieri navali artigianali, già dotati di forme organizzative del lavoro ed in grado di realizzare imbarcazioni più complesse delle semplici barche da pescatori. Lo sviluppo della cantieristica fu favorito dall’abbondanza di legname nei vicini boschi demaniali, e consolidò la competenza dei maestri d’ascia stabiesi, che si tramandavano il mestiere da padre in figlio. Nel 1780 il ministro del re di Napoli, Giovanni Eduardo Acton, a conclusione dell’indagine per individuare il sito dove far nascere il grande e moderno cantiere in grado di dotare la Regia Flotta di nuove navi, identificò in Castellammare la località dai requisiti ottimali. I boschi di proprietà demaniale di Quisisana, alle pendici del Monte Faito, garantivano legname, le acque minerali permettevano un trattamento del legno altrove impossibile, i collegamenti con Napoli avvenivano su una strada larga e comoda, la consolidata competenza dei maestri d’ascia stabiesi assicurava disponibilità di maestranze qualificate.La realizzazione del Real Cantiere di Castellammare, fu approvata da Ferdinando IV di Borbone, e completata nel 1783 previa l’abolizione del convento dei Carmelitani che sorgeva sul luogo. Divenne in breve il maggiore stabilimento navale d’Italia per grandezza, con ben 1.800 operai. Le maestranze qualificate degli stabiesi, vennero supportate dai lavori più pesanti svolti ai galeotti. La materia prima era conservata in enormi magazzini; le abbondanti acque minerali erano convogliate in grandi vasche che servivano per tenere a mollo il legname e per accelerarne il processo di stagionatura. Così descrive il cantiere un osservatore del tempo (Achille Gigante, “Viaggi artistici per le Due Sicilie”, Napoli, 1845): “Esso fu qui stabilito da Re Ferdinando IV, fin da’ primi anni del suo regno, occupandovi un vasto spazio di terreno, nonché l’abolito monasterio de’ Padri Carmelitani. Di buone fabbriche il sussidiò quel principe e di utensili e macchine necessarie quali a quei tempi poteansi desiderare. Oggidì è il primo arsenale del regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie regioni d’Europa. Vi sono in esso vari magazzini di deposito, e conserve d’acqua per mettere a mollo il legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza sono addimantati, e mercè dei quali abbiamo noialtri veduto con poco di forza e di gente tirare a secco un vascello nel più breve spazio di tempo” (era il Capri di 1700 tonnellate, il cui alaggio impegnò agli argani, in turni successivi, 2400 uomini: la grandiosità dell’impresa fu immortalata in un acquerello). Il cantiere iniziò l’attività produttiva con la corvetta Stabia, varata il 13 maggio 1786, seguita il 16 agosto, dalla Partenope, che procedette a ritmo serrato con molte altre costruzioni. Centinaia di navi, militari e mercantili sono state costruite fino ad oggi da questo stabilimento situato a poche decine di metri dalla sorgente di Fontana Grande e servito dall’ASAM. Le acque minerali, però, non potevano servire alle necessità idriche delle migliaia di persone, galeotti, soldati, operai e tecnici che prestavano la loro opera nella costruzione navale. C’era bisogno di un approvvigionamento continuo di acqua potabile che la sorgente di Fontana Grande, posta sullo stesso livello s.l.m., non poteva fornire agli impianti, alcuni dei quali situati a livelli superiori, come ad esempio, gli scali e le banchine di allestimento. I tecnici dell’epoca, progettarono allora, un acquedotto che portava l’acqua dalla sorgente di Agerola, posta a 1000 metri s.l.m., fino a Castellammare, passando per il palazzo reale di Quisisana. Migliaia di metri di canaletti impermeabilizzati, con pozzi di ispezione, sfiati ed altre opere idrauliche, furono costruiti da Agerola, passando per la zone delle Franche di Pimonte, per arrivare a Monte Coppola e ai boschi di Quisisana. Qui una derivazione alimentava le fontane ccdd. “del re” e la reggia sottostante. Il canale principale proseguiva fino alla strada sorrentina per arrivare al cantiere, superando valloni ed ostacoli di ogni genere. Così descrive (traduzione dal latino da parte di Giacinto d’Avitaja-Rapicano) il Milante l’acquedotto borbonico: “…Queste acque sgorgano nella montagna di Scala, luogo detto di S. Giuliano, e Acqua Fredda, ed in altre sottoposte montagne, discoste da Castellammare più miglia. Per via di condotti, e Ponti, e d’una infinita estensione, diede opera quel Sovrano, che esse discendessero per Rimonte, Tralia, Quisisana, e giungessero in Castellammare al luogo detto sotto a’ Cappuccini, e di là passassero al Cantiere, e sulla riva stessa del mare al Molo varie fontane per comodo pubblico, e specialmente de’ naviganti. Di queste acque il lodato Re Ferdinando ne concedette una porzione alla Città; la quale ne ha formato diverse fontane, e l’ha guidata per li Monasteri, pubblici stabilimenti, e non poche abitazioni de’ Cittadini…”

Nelle foto si possono ancora vedere tratti di canale ed un ponte situato a Monte Coppola che permette l’attraversamento del canale sul sottostante vallone. Ogni giorno gli idraulici dell’epoca ispezionavano tratto dopo tratto la conduttura per scoprire e, conseguentemente riparare, perdite e fughe d’acqua, nonché per la periodica manutenzione delle opere.
Ancora oggi, un immobile posto nei boschi, sul viale che porta a Monte Coppola, è di proprietà del demanio marittimo a ricordo della servitù della zona alle attività della cantieristica navale. Alla fine del 1800 la Società Italiana per Condotte d’Acqua di Roma, progettò un’altra linea di acquedotto che, sempre dalla sorgente di Agerola, convogliava l’acqua in un serbatoio posto nei boschi di Quisisana. Il tracciato era ed è, grosso modo, lo stesso, solo che al posto delle canalette sono stati sistemati tubi in ghisa lamellare, attualmente ancora in esercizio, per alimentare la città di Castellammare, ancora non interessata allo sviluppo urbanistico ed accentrata nella fascia pedemontana.


Note: si ringrazia il sig. Enzo Guadagno dell’Associazione stabiese “Città Viva”, per la fattiva collaborazione e per la gentile concessione dell’articolo.

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