L’estate dei pittori

L’estate dei pittori

a cura di Giuseppe Zingone

Il pittore Vincenzo Migliaro, tra Piero Girace ed un giovanissimo Antonio Asturi, alle Terme di Castellammare

Sarà il caldo afoso di queste ore, ma questo racconto di Piero Girace, scritto così bene si addice proprio a questi giorni d’estate. In particolare l’Acqua e il Maestrale è un volume meraviglioso, una dedica alla sua città di nascita Castellammare di Stabia. Il giornalista stabiese ci racconta minuziosamente una gara di pittura che si svolse a Castellammare di cui egli stesso fu, co-artefice. Un evento che vorremmo rivedere oggi, con i nostri occhi, mentre siamo costretti ad accontentarci di rileggerlo qui e riportarlo in vita per il semplice piacere dei nostri lettori. Ahimé, quanto mi mancano le Terme con le sue acque!

 

Alberto Chiancone, Piazza Municipio

Al poeta Renato Mucci

Fu una cosa veramente del tutto insolita per gli stabiesi imbattersi, in quelle indimenticabili giornate dell’estate 1934, in ogni momento degli individui assai originali, che stavano piantati intiere ore dietro ad un cavalletto, in mezzo alla strada, nel viavai della gente e dei vicoli, o nelle viuzze dei borghi, e facevano gesti buffi, un occhio intento al paesaggio ed un altro alla ragazzaglia, che si affollava intorno ad essi, insistente ed avida di guardare i colori stemperati sulla tela.

Era stato bandito da pochi giorni un premio di pittura di ventimila lire, da assegnarsi a quel pittore che sarebbe riuscito a fare il migliore paesaggio di Castellammare.

Quelle ventimila lirette, messe in palio dall’Azienda Autonoma di Cura e Soggiorno, avevano avuto la virtù di far accorrere in pochi giorni in Castellammare, numerosi pittori da ogni parte d’Italia, i quali si eran dati a scorrazzare, qua e là, per Quisisana e Pozzano, nelle strade cittadine e nel porto, alla ricerca del bel paesaggio.1

Ma che stranissima gara! Erano scesi gli artisti da Torino, da Firenze, da Roma.

L’idea di una tale gara era nata, non si sa come, un bel pomeriggio di giugno, nell’albergo Stabia, tra le piante del giardino, da una conversazione di Achille Gaeta, Ermindo Campana e di chi scrive. L’idea forse nacque per scacciare la noia del pomeriggio di giugno. A Firenze, dopo pochi giorni si discuteva della cosa, davanti alle « Giubbe Rosse », e Dani e Pagliazzi mi chiedevano notizie e schiarimenti.

Castellammare (Gennaro Villani)

Castellammare (Gennaro Villani)

Ai primi di luglio quanta gente era già venuta quaggiù. L’albergo Stabia n’era pieno. Renato Mucci scrittore finissimo e poeta delicato, che si trovava a Castellammare e prendeva viva parte alle discussioni di quei giorni, diede il suo contributo per la buona riuscita del Premio.

Il primo a far la sua apparizione fu Bompard, il quale, intendiamoci, era venuto non per il premio, ma per trascorrere dei giorni lontano da Roma e dal « Travaso ». Bompard, fine, aristocratico, con una zazzeretta grigia, faceva venire in mente il professor Picard. Trascorrevamo spesso la serata insieme, davanti al caffè di don Aniello o passeggiando sul lungomare; ma non si parlava di pittura. Più che di pittura, con Bompard si parlava di romanzi umoristici. Invece di Goya mettevamo in campo don Chisciotte, invece di Constable, Gulliver, invece di Manet o Renoir, Tartarin ed infine, invece di Fattori o Signorini, Pinocchio. Bompard aveva un’aria assai sbarazzina.

Rarissima foto di Piero Girace, Monsignor Francesco Di Capua e Teodoro Brenson a Castellammare

Rarissima foto di Piero Girace, Monsignor Francesco Di Capua e Teodoro Brenson a Castellammare

Arrivò un bel giorno Teodoro Brenson, un acquafortista russo, che vive da tanti anni a Parigi. Brenson era di media statura, aveva gli occhi celesti ed i modi delicati.

Il giorno dopo eravamo già amici cordiali. Prendemmo assieme un giorno la stradetta dell’Arcangelo Raffaele, corrosa dall’acqua piovana, ed entrammo in un2vigneto. Sulle nostre teste pendevano certi grappoli di uva, dagli acini grossi, che facevan venire l’acquolina in bocca. Ad una diecina di metri da noi, su di una piazzuola alta della vigna, intorno a certe zucche gialle dalle foglie larghe e raspose, un volitar di moscerini nella luce festosa del sole occiduo. Brenson spiegava il cartoncino sul cavalletto, e guardava a lungo, come se facesse all’amore, la mole del vecchio castello di Quisisana, macchiata qua e là da chiazze di ombra, ed il muraglione coperto di edera, rasente il quale precipita una viuzza petrosa.

Durante questo tempo, il ragazzino, che egli aveva appaltato per il trasporto del cavalletto, piluccava tranquillamente l’uva. I capelli incolti, gli occhi vivacissimi, la maglietta gialla su i calzoni corti, le gambette snelle e nervose, questo ragazzo si divertiva un mondo a piluccar l’uva, ed a guardar il paesaggio del golfo, e poi i segni che Brenson tracciava sulla carta. Veniva dopo un poco a curiosare anche il contadino, che lavorava in quei pressi, a falciare erba per le vacche. La maglietta bianca abbastanza sporca, la barba incolta e le gambe polpute: il contadino aveva una figura bacchica. Lasciammo dopo un poco la vigna, e ce ne andammo al Santuario della Madonna della Libera. Questo piccolo Santuario ha una bianchezza immacolata, che vibra nella solitudine del monte. Suonava l’organo. Brenson guardava sgomento. Tutto ad un tratto dalla finestretta della chiesa si affacciò un monaco.

Neanche lui concorreva al premio. Concorreva invece Cortiello, che giunse in Castellammare con tanto di barba, al volante di una Balilla. Cortiello aveva un’aria gioviale e contenta. Non così Gennaro Villani, cupo, con le lenti, l’ombrello, che pareva un parroco di paese3

Portava nella cassetta gli ideali dell’ultimo ottocento. Il romanticismo di Villani si scontrava nella stessa piazza con l’umorismo e l’ironia di Cortiello. Arrivavano i toscani, baldanzosi, allegri, con un zinzino di alterigia, e se ne andavano tutti insieme ai colli ed alle spiagge. Mi par di vederli ancora, fermi sulla banchina del porto, come quattro mitraglieri: Bausi, Dani, Bartolini e Zuccoli. Pagliazzi lavorava nelle Terme Stabiane, dove con tutta quella folla di villeggianti che bevevano acqua minerale, egli riuscì a fare un quadro veramente gustoso, con certe monache in primo piano, ch’era un piacere a guardarle. Ferroni si aggirava, con la sua barbetta da satiro, sulla strada che da Quisisana mena a monte Coppola.

Leonetta Cecchi Pierraccini, nel suo studio

Arrivavano i romani: Leonetta Pieraccini, moglie dello scrittore Emilio Cecchi, Nino Bertoletti e sua moglie Pasquarosa, Antonio Barrera. Poi qualche piemontese: Domenico Valinotti, un tipo che ricorda per i suoi tratti fisionomici Papini e l’attore Viviani: un uomo colto dall’aria annoiata. Alcuni milanesi: Pompeo Borra, Natalia Mola e Donato Frisia, il quale come tutti i milanesi chiacchierava sempre. Un abruzzese: Michele Cascella, il quale poi è un miscuglio di abruzzese e di milanese, di esotico e di paesano. Altri toscani la seconda spedizione: Polloni, Vieri Torelli, Piombanti, Alberto Caligiani. Qualche polacco: Lino Lipinskji. E poi ancora qualche russo: Erik W. Wesselow, il quale è un principe esiliato, ed è esile, biondo, vera figura d’artista insomma, come se ne incontrano nei romanzi del primo ottocento. Una genovese: Linda Ferrario. Un sardo: Cabras. Il milanese De Bernardi. E poi… e poi… la pattuglia serrata dei napoletani: Giovanni Brancaccio, Vincenzo Ciardo, Luigi Crisconio, Vincenzo Colucci, Franco Girosi, Carlo Striccoli, Alberto Chiancone, Guido Casciaro, Loris De Rosa, Nives Filiasi, Alberto Serao, Vincenzo D’Angelo, De Lisio, Francesco Paolo Diodati,4

Alberto Chiancone, Castellammare 1954, olio su tela, cm 40x50, Napoli, collezione Ammendola

Alberto Chiancone, Castellammare 1954, olio su tela, cm 40×50, Napoli, collezione Ammendola

Tito Diodati; gli stabiesi: Guglielmo Spagnuolo, Gaetano Di Capua, Cascone e Filosa. Castellammare in quei giorni era invasa dai pittori, dei quali, alcuni come lanzichenecchi, la mettevano a soqquadro nelle loro tele. Brancaccio veniva con il cattivo tempo, quando le nuvole, gravide di tempesta scendevano dalla montagna, piombavano sulla cupola del Duomo e funestavano di tènebra la piazza del municipio, dove sta, grigio e massiccio, con una torretta quadrangolare, il palazzo di città. Giovanni Brancaccio si appostava sulla banchina, presso la casupola di legno di zi Domminico, che il mare assaltava di tratto in tratto, e dipingeva incurante del vento che gli agitava i capelli, e del mare che mugghiava lì presso e gli spruzzava acqua sul viso. Ciardo invece, calmo calmo, nel pomeriggio sereno, prendeva la via delle colline; e lo accompagnava il suo allievo Vincenzo D’Angelo. Si fermava al Castello, dove di estate soggiorna l’amico Salvatore De Martino, e di là dava mano ad un paesaggio di ulivi di grande liricità. Sopraggiungeva Crisconio, con il suo berretto basco che gli nasconde la calvizie, ed andava come sbandato, arrampicandosi ai sentieri della montagna, irrequieto, febbrile, con la cassetta ed il cavalletto a tracolla. Crisconio è un artista dinamico, spassoso, feroce nelle sue battute umoristiche. Napoletano fin nelle mima lo potresti scambiare per uno di quei turchi venditori di tappeti, dagli occhi di fuoco, asciutto, tutto spirito e fantasia. Con Crisconio ce ne andammo a colazione un giorno dal parroco don Alfredo Santaniello, che è una specie di patriarca di San Matteo; un altro giorno ce ne andammo verso il Sarno. Il fiume scorreva pacifico, accompagnato dai pioppi. Mucchi di pannocchie sulle sponde e casette vigilate da gelsi fronzuti. Il fiume portava nenie di altre contrade; l’acqua era verdognola: come fosse stanca di camminare con tutto quel caldo, s’impantanava grumosa presso le sponde, sulle5quali le spighe agitate dal vento facevano il rumore del mare. Stava ferma nei solchi una contadina, giovane, forte, che aveva le gambe nude affondate nelle zolle argillose. Sembrava una deità fluviale. Il fiume si snodava luccicante tra i campi pieni di sole, ed io pensavo alla sua sera, in cui s’inargenta di luna e mormora ghiotto tra le erbe odorose delle sponde, mentre le lucciole che brucian d’amore, si specchiano nelle sue acque. Crisconio guardava intorno con occhi di pazzo. Come tutto era arioso e grande.

Vincenzo Migliaro, un tramonto da Castellamare, olio su tavola, 24x24

Vincenzo Migliaro, un tramonto da Castellamare, olio su tavola, 24×24

I pittori sbucavano fuori da tutte le parti; dal bosco di Quisisana o da una viuzza del porto. Facevano cori per le strade e ritornavano cantando dal lavoro come fanno i soldati di ritorno da una marcia; e la gente, vedendoli passare, li guardava con un senso di stupore. Frisia portava i calzettoni e le scarpe grosse, per dar la scalata ai Lattari, dove c’è il buon latte e il buon vino. Chi potrà dimenticare le lunghe chiacchierate di questo milanese ardente che come un barbaro prendeva di assalto i nostri paesaggi? A mano a mano che il termine per la presentazione dei lavori si avvicinava, i pittori intensificavano la loro opera. L’albergo Stabia era diventato una specie di quartier generale della pittura. Si discuteva, spesso si polemizzava. Michele Cascella con il quale ero solito trascorrere lunghe ore, diceva che quella gara poteva segnare l’inizio di un movimento artistico napoletano. E perchè no? Quisisana poteva essere una sede degna, come un tempo lo fu Posillipo. Don Giacinto Gigante aveva lavorato a Quisisana. Un bel giorno m’imbatto con Colucci. Poi con Striccoli. Colucci aveva (l’ha ancora mi pare) una bella zazzera.6Sembrava un americano in cerca di godimenti spirituali; ed è invece un calmo ischitano, che assapora i colori con un gusto signorile. L’altro invece, voglio dire Striccoli, è un giovane pugliese, gioviale, cordialissimo, irruento, che ha una foga lirica nel dipingere come nella parlata, frettolosa, dialettale. Nell’albergo Stabia si vedevano quadri dappertutto, nelle stanze, nel bureau, dove imperava don Achille Gaeta, e nel salone, con le pareti gremite dei paesaggi di Enrico Gaeta, dove la sera la pittrice Leonetta Pieraccini schizzava, per divertimento, profili agli amici. Donna intelligentissima e piena di buon gusto Leonetta Cecchi Pieraccini, allieva di Giovanni Fattori, amica di Ungaretti, di Soffici, di Cardarelli, di Baldini, di Bontempelli, insomma di tutte le celebrità letterarie che frequentano lo studio di suo marito.. Ma un bel giorno giunse all’albergo Vincenzo Migliaro, irsuto e scontroso. Migliaro faceva parte della giuria insieme con Ettore Tito, Roberto Papini, Pietro Barillà, Prencipe ed Erminio Campana, segretario. Fiutava l’aria come un vecchio lupo selvaticissimo uscito dal bosco, e guardava sorridendo i cuccioli ed i lupacchiotti che si gingillavano e si rincorrevano per le strade di Castellammare.

Il vecchio Maestro quando fu invitato a far parte della giuria del premio protestò veementemente, e disse e pregò di lasciarlo in pace nel suo studio; ma gli amici incalzarono con le preghiere, ed egli vecchio lupo scontroso, ma buono, dovette alla fine cedere alle loro insistenze, e se ne venne, taciturno, con donna Nannina, in Castellammare. Molti pittori gli facevano la ronda intorno. Ma inutilmente. Egli era inabbordabile. Dopo pochi giorni venne finalmente il giudizio. E venne anche una pioggia dirottissima. Tito e Migliaro ritornavano in macchina dall’edificio7delle scuole dove avevano passato in rassegna tutte le opere e durante il percorso parlavano. Vi era grande ansietà di sapere nella cittadinanza. L’autista guidava la macchina e tendeva l’orecchio ai discorsi che facevano i due giudici. Acchiappò a volo due nomi, per non dimenticarli, scrisse con il dito, sul vetro appannato del parabrise: Ciardo Colucci.

Guido Casciaro, La Spiaggia

Erano nomi di vincitori. Altri nomi circolavano già per il paese. Ma i nomi che con più insistenza si facevano sin dal mattino erano quelli di Ciardo, di Colucci, di Crisconio, di Brancaccio, di Pagliazzi, di Cascella, di Cortiello, di Chiancone e di Bausi. Molti opinavano anche per Frisia e Bertoletti. Le fantasie erano in fermento. Si parlava di Casciaro, di Ferroni, di Villani, Ma la voce generale sulla quale tutti si trovavano d’accordo. era quella che i napoletani figuravano con buone opere ed avrebbero riportato la vittoria. Come successe infatti.

Vittoria assoluta. I vincitori tutti napoletani: Loris De Rosa, Colucci, Chiancone, Ciardo, Cortiello. Allo Stabia vi fu un solenne banchetto. Ma mentre si brindava e si conversava, molti pittori, quel giorno, lasciarono Castellammare e se ne tornarono di umor nero alle loro sedi. Pioveva a dirotto.8

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Articolo terminato il 09 luglio 2023


  1. Tratto dalla nuova edizione del 1961, voluta, dall’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo di Castellammare di Stabia, del libro di : Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, del 1937, pag. 73.
  2. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 74.
  3. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 75.
  4. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 76.
  5. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 77.
  6. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 78.
  7. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 79.
  8. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 80.

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