Lo stabiese Vincenzo Sorrentino
il fascista navigatore solitario
(articolo del dott. Raffaele Scala)
Premessa. La biografia di Vincenzo Sorrentino, pur completa nel suo insieme presenta numerose lacune per colmare le quali sarebbero necessarie nuove e più approfondite indagini nei vari Archivi disseminati tra Castellammare di Stabia, Napoli, Roma e, forse, Buenos Aires, dove il nostro navigatore solitario visse gli ultimi trenta anni della sua esistenza e dove ancora riposano le sue spoglie, seppure perdute, gettate chissà dove da chi rubò l’urna che conteneva le sue ceneri. Una vita vissuta pericolosamente, non priva di lati oscuri, di ombre che sarebbe opportuno dissipare. Qualcuno, forse, lo farà. Noi abbiamo gettato il seme della curiosità, del dubbio, se Sorrentino fu veramente un grande navigatore solitario o se millantò parte del credito che il fascismo esaltò per il suo prestigio. Non possiamo, comunque, non riconoscergli un ottima conoscenza dei venti e delle correnti, uno spirito incline alla solitudine, che deve apparire particolarmente spaventosa, allorché altissimi si levano i cavalloni a squassare la fragile imbarcazione o quando la nebbia ti avvolge fitta, demoralizzandoli per timore di cozzare su scogliere e bassifondi,[1] ma soprattutto non deve mancare un indubbio coraggio e un temperamento spericolato, senza i quali non si va da nessuno parte.
Circolo Nautico Stabia – Vincenzo Antonio Sorrentino, figlio del 34enne medico Alfonso e della 24enne casalinga Maria Liberata Milano, sposata il 19 marzo 1898, nasce alle quattro del mattino in via Brin il 22 settembre 1903, terzo figlio dopo Catello (1899 – 1971) e Vincenzo (1901 – 1902), morto quando aveva soltanto 18 mesi di vita. Anche il quarto figlio della coppia ebbe vita breve con la piccola Antonietta scomparsa a soli quattro mesi il 18 luglio 1907. Seguirà un quinto figlio, Antonino (1909 – 1985).
Lo incontriamo, giovanissimo, tra i primi canottieri del Circolo Nautico Stabia, sorto il 23 maggio 1921, gareggiare con i fratelli Guido e Nino Gaeta, già noti militanti socialisti e con Piero Girace, figlio del barone Francesco, già sindaco di Gragnano e assessore del comune di Castellammare di Stabia, condividendone fin dalle origini la fede fascista. Con Nino formerà il primo equipaggio a quattro sceso in acqua in iole.[2] Gli altri tre erano il capovoga, Nino Natale, Paolo Scognamiglio e Carlo Vitelli, mentre Sorrentino fungeva da timoniere.[3] Nonostante fosse mingherlino e di bassa statura, possedeva una incredibile resistenza fisica, messa continuamente a dura prova nelle sue infinite traversate nel golfo di Napoli.
Girace, che aveva probabilmente conosciuto Sorrentino grazie alla comune militanza nel nascente fascio di combattimento e alla stessa passione per il mare nel Circolo nautico Stabia, dove anch’egli si dilettava come vogatore, in un suo articolo racconta di come il giovanissimo Sorrentino fosse da sempre innamorato del mare, di come le sue giornate le passasse sempre nelle azzurre acque del golfo.
Ore ed ore sotto il cielo lattiginoso dell’alba e sotto il sole canicolare, al timone di uno jole o nella sua fragile canoa. Castellammare Capri e ritorno, Capri Gaeta e ritorno erano per lui gite di piacere, le quali si compivano cantando, ossia con grande comodità. Si trattava invece di exploit che avrebbero fatto impressione anche al più vecchio e provetto marinaio, adusato ad ogni aspra e dura fatica del mare.[4]
Un infinito amore per il mare, una instancabile voglia di percorrerlo nella solitudine della sua canoa che, forse, trasmise ai suoi allievi negli anni in cui fu allenatore del Circolo Nautico Stabia, divenuto Fascio Nautico Stabia negli anni del regime nero di Benito Mussolini, sotto la presidenza di Giovanni Vollono, commerciante in grano, nonché segretario cittadino del locale Fascio di combattimento.
Il fascista – Fu tra quanti, il fatidico 20 gennaio 1921 – data dell’assalto fascista di Piazza Spartaco, provocando sei morti e la caduta della prima amministrazione socialcomunista guidata da Pietro Carrese – si iscrissero in massa al Fascio di combattimento costituito, secondo la testimonianza dello stesso fondatore, l’avvocato Alfonso Imperati, verso la fine di dicembre del 1920.
Renitente alla leva militare, alla prima chiamata del 14 ottobre 1922, probabilmente preso dagli impegni militanti della sua cieca fede fascista, alla vigilia della fatidica Marcia su Roma, se non dall’altra pur forte passione del mare, questa fu poi revocata il 28 febbraio 1923, anche se in realtà materialmente non prestò il servizio militare, per deficienza del perimetro toracico persistente oltre il periodo della rivedibilità.[5]
Nel suo volume autobiografico, Diario di uno squadrista, Girace fa una breve descrizione di Sorrentino: un ragazzo ciarliero e avventuroso, anche lui squadrista, parlava con entusiasmo di Mussolini e della sua irresistibile eloquenza, di facile effetto e di grande presa, capace di mandare in visibilio il popolo osannante. Aveva incontrato il futuro Duce partecipando al Congresso dei Fasci di Combattimento tenutosi all’Augusteo a Roma nel novembre del 1921, terzo ed ultimo, essendosi concluso con la costituzione del Partito Nazionale Fascista..[6]
Fascista della prima ora, Sorrentino divenne in breve tempo Capo manipolo, alle dipendenze della 145° Legione, Carlo Pisacane e successivamente comandato a frequentare il corso di cultura coloniale a Roma, dove risultò decimo; fu Centurione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (corrispondente al titolo di capitano del Regio Esercito). Nel frattempo si era già guadagnato il titolo di squadrista, partecipando a varie azioni violente nei confronti degli antifascisti a Castellammare e nei comuni limitrofi, ottenne il brevetto della Marcia su Roma e del Fascio Littorio, abitò fin dalla nascita in via Mazzini 3. Si era Laureato in Scienze Economiche e marittime, acquisendo poi la licenza per governare battelli da diporto nell’interno dei porti e lungo le spiagge.
Fu un miliziano di professione, fedele guardia del fascismo nel quale credette ciecamente, sicuramente fino alla fine dei suoi giorni e dal fascismo ebbe onori , riconoscimenti e non poche delusioni, dovute alle sue intemperanze, a seguito delle quali si ritrovò in guai giudiziari e messo in discussione nel partito, fino ad essere sospeso, come vedremo nelle pagine che seguono.
Le prime imprese – Agli onori della cronaca nazionale sale per la prima volta nel 1928, quando sotto l’alto patronato del locale Fascio di Combattimento parte nella serata di lunedì, 23 luglio dal porto stabiese per compiere in canoa il raid, Castellammare di Stabia – Roma, proponendosi di arrivare a destinazione nelle prime ore del mattino dopo. Il via, salutato da moltissima folla, fu dato dallo stesso segretario politico del fascio, il seniore Gaetano D’Auria, per incarico avuto dalla stessa Federazione provinciale fascista.[7]
Sulla scia di questo primo successo, l’anno dopo decise la seconda più importante e faticosa traversata, la Napoli Roma a bordo di una leggera canoa da passeggio di appena sessanta chili e capace di viaggiare alla velocità di quattro miglia l’ora. A bordo portava con sé una bussola, diverse carte nautiche, una discreta provvista di vettovaglie e tre messaggi, due dell’ispettore Scottoni, diretti a nome del Fascio stabiese al capo del Governo e al Segretario del partito, Augusto Turati, mentre il terzo da Francesco Ausiello, Commissario Straordinario dal 1928 dopo la defenestrazione, per incapacità ed eccesso di nemici interni al fascio, del podestà, Francesco Monti, da consegnare al Governatore di Roma.
Partì nel tardi pomeriggio del 26 luglio, un venerdì, alle 18, quando il sole d’estate ancora splendeva, vogando per ventuno ore consecutive. Le cose si misero inizialmente male, come raccontò egli stesso dopo il suo arrivo, in quanto, appena superato Capo Miseno il tempo sembrò improvvisamente peggiorare, con il mare tempestoso, mettendo in forse la stessa capacità della bussola di orientarsi, fino a fargli perdere l’orientamento. Ancora prima, aveva appena avvistato il faro d’Ischia, quando un pesce burlone di grandi dimensioni, con un colpo di coda gli tagliava nettamente un pezzo di fasciame posto sopra il livello dell’acqua. Per nulla impaurito, si fermò il tempo di rifocillarsi e riprese a remare, fermandosi come prima tappa a Fiumicino dopo 21 ore di navigazione, addormentandosi sulla spiaggia per la grande stanchezza. Si risvegliò verso la mezzanotte, riprendendo il mare per altre due ore, fino a quando verso le due di notte del 28, arrivato di fronte al Monte Circeo, decise una seconda sosta accostando in una piccola rada, a causa delle cattive condizioni del tempo e delle ondate che minacciavano pericolosamente la piccola imbarcazione.
Ripartito all’alba, fu costretto ad un nuovo approdo di fortuna a Nettuno, presso Torre Astura, dove trascorse l’intera giornata, decidendo quindi di riprendere la navigazione verso le 23, 30, ma considerando le cattive condizioni del mare, fu costretto nuovamente a fermarsi due ore dopo ad Anzio per riposarsi e dormire, trovando posto alla meno peggio su una carretta ferma sulla strada. Non vi trascorse l’intera notte, appena si rese conto che le condizioni meteorologiche erano migliorate riprese la navigazione e finalmente alle cinque del mattino approdava sulla spiaggia di Ostia.
La più grande difficoltà incontrata durante il raid è stata la manovra per imboccare la foce del Tevere. Le condizioni della foce di Fiumicino erano tali che mi sarebbe riuscito impossibile spingermi verso il Tevere e allora dopo qualche sondaggio e ripetuti tentativi decidevo di trasportare con un carro la canoa fino all’idroscalo di Ostia, dove alle 14,50 di ieri ripartivo per giungere al galleggiante dell’Aniene, fra Ponte Cavour e Ponte Margherita alle 17,30.[8]
La grande impresa – Ormai il nostro navigatore ci aveva preso gusto ed era maturo per la grande impresa, quella che gli avrebbe dato la gloria definitiva, la celebre Roma – Tripoli, minuziosamente descritta nel suo volume autobiografico, Il navigatore solitario, pubblicato nel 1939 e al quale rimandiamo per chi volesse approfondire l’argomento.
Sotto l’egida della Lega Navale Italiana e benché sconsigliato dal potente ministro delle Comunicazioni, il Conte Costanzo Ciano, considerando le enormi difficoltà del percorso, specialmente nella traversata in mare largo, Mazara pantelleria- Ras el Mustafà[9], Sorrentino partì da Roma il 2 giugno 1930 dall’imbarcadero del Tevere del Circolo Canottieri di Roma, Aniene – creando non pochi equivoci, tra cui la convinzione che Sorrentino fosse un socio di questo circolo – a bordo della sua fragile imbarcazioni a remi. La canoa pesava infatti appena 55 chili e fu realizzata con sottile fasciame di cedro di appena 4 millimetri.[10] Per la importante occasione fu battezzata con il nome di Stabia, seguito dal motto cittadino, Post fata resurgo. La partenza fu filmata dall’Istituto Nazionale Luce. Arrivò a Tripoli, superando non poche difficoltà, il 4 agosto, guadagnandosi l’ammirazione e il personale plauso dello stesso Mussolini. Il Popolo d’Italia così riassume la sua solitaria e perigliosa navigazione da una cronaca inviata dalla stessa capitale libica:
Stamane è giunto a Tripoli il capomanipolo Sorrentino, che ha così concluso il suo audace viaggio in canoa per il quale era partito da Roma in canoa un paio di mesi fa. Il valoroso sportivo è stato accolto al suo arrivo da una grande folla di tutte le organizzazioni fasciste, sportive della colonia, dal podestà, dai rappresentanti del governo e della centuria degli avanguardisti trapanesi. Il commendatore Perugini, nostro podestà ha così telegrafato al podestà di Napoli: tripoli ha entusiasticamente accolto ardimentosa camicia nera, capitano Vincenzo Sorrentino, approdato qui stamane ore otto. Restituisce alla Sirena del Tirreno il saluto augurale, che con cortese pensiero Vossignoria le ha inviato a mezzo valoroso campione, figlio di codesta eroica regione che ha offerto col miglior sangue dei suoi cittadini un contributo cospicuo per la gloriosa riconquista di queste terre alla Patria comune.[11]
L’impresa, come ricorda la pubblicazione del Circolo nautico Stabia, gli valse il conferimento di una grande medaglia d’oro dello speciale conio federale e il diploma della Reale Federazione Italiana di Canottaggio, il cui presidente, l’ammiraglio Luigi di Sambuy, non dimenticò di inviargli i suoi personali complimenti, conditi di insulsa retorica fascista, non dissimili dagli altri innumerevoli telegrammi di congratulazione, da quello del vice prefetto e Commissario Straordinario stabiese, Roberto Ausiello, allo stesso Achille Starace, potente segretario del PNF e presidente del Comitato Olimpico Nazionale. Quest’ultimo a ricordo della sua impresa volle personalmente autografare sul suo diario di bordo la frase, poi pubblicato nella sua citata autobiografia: Vincenzo Sorrentino ha voluto e ha saputo vincere silenziosamente, fascisticamente! Agosto anno VIII.
Dell’impresa ne scrisse anche il suo amico e camerata di antica data, Piero Girace in un articolo scritto quello stesso 4 agosto 1930, ricco di inediti particolari pubblicato nella rivista illustrata della Lega Navale, l’Italia Marinara.[12]
L’ultima, misteriosa fallita impresa – Ancora non pago delle sue imprese, Sorrentino volle ancora cimentarsi nel 1937 in una nuova avventura, stavolta a bordo del panfilo, Espero accingendosi a compiere una crociera di circumnavigazione mondiale a vela. Prima della partenza, il 23 luglio, Sorrentino fu ricevuto dal duce e, nell’occasione, gli regalò un modellino dell’imbarcazione.[13]
A questa crociera aveva pensato fin dal 1930, subito dopo il ritorno da Tripoli, parlandone a Roma con Achille Starace dopo l’incontro col duce, come lo stesso Sorrentino racconta in un suo interessante articolo pubblicato nel quindicinale, Sapere, nel numero del 31 luglio 1937, dove con dovizia di particolari descrive come sarà il suo viaggio di navigatore solitario intorno al mondo, un viaggio lungo almeno 70mila miglia della durata di diversi anni, al punto di non potersi completare, secondo le intenzioni di Sorrentino, prima del 1944.
Ma la durata dell’impresa non può essere esattamente prevista giacché non sarà una manifestazione a fine esclusivamente sportivo marinaro per la conquista di un primato mondiale nel campo sportivo, ma comprenderà lo svolgimento di un vasto programma che va dalla speculazione scientifica alla commerciale, da quella propagandistica a quella culturale.[14]
Non era il primo ad affrontare questo avventuroso e pericoloso viaggio. Prima di lui, in quegli stessi anni, a compiere una crociera intorno al mondo, seppure non in solitudine, ci aveva pensato il capitano di lungo corso di origine siciliana, Francesco Aurelio Geraci (1899 – 1983), accompagnato dal capitano Paolo David, poi sostituito dallo studente nautico, Rosario Dominici a causa di una malattia del primo, con una imbarcazione a vela di dieci metri di lunghezza progettata dal cantiere Pellegrino di Napoli e denominata MAS (Memento Audere Semper), senza motore e senza radio. Il viaggio di Geraci era iniziato il 18 agosto 1932. Tornarono dopo quasi tre anni di navigazione, sbarcando a Fiumicino il 4 giugno 1935, dopo 399 giorni di navigazione effettiva.[15] Forse Sorrentino ne trasse lo spunto, magari ebbe modo di parlarne con lui per trarre profitto dalla sua esperienza, dei pericoli attraversati, che pure non mancarono. Questo non lo sapremo mai. Intanto, sempre negli anni Trenta in cui ci provò Sorrentino, altri navigatori solitari tentarono l’impresa di circumnavigare, non tutti vi riuscirono: dall’argentino Vito Dumas, al maltese di origine britannica, il 25enne Michele Formosa che lo aveva tentato per scommessa, partendo da Malta il 3 ottobre 1938 su una piccola imbarcazione, naufragando poi su uno scoglio brasiliano il successivo 31 marzo. Stessa sorte per il veleggiatore solitario, Al Lastinger, un americano partito il 4 marzo 1938 su una piccola imbarcazione con l’intenzione di attraversare l’Atlantico e infine raccolto nel golfo del Messico mezzo sfinito dopo appena dieci giorni di navigazione. E così via, in una sorta di reciproca emulazione senza fine, ma soprattutto senza averne le adeguate capacità. Tra gli ultimi italiani a provarci ricordiamo il milanese Ambrogio Fogar che partì dal porto di Castiglione della Pescaia il primo novembre 1973, anche lui a bordo di una piccola imbarcazione di undici metri e tornato dopo 400 giorni, il 7 dicembre 1974. Fogar, erroneamente viene indicato come il papà di tutti i navigatori italiani. Una nota stonata viene anche da Wikipedia che alla voce, Navigatori solitari, cita 17 nomi, tra cui tre italiani (Alex Carozzo, Ambrogio Fogar e Giovanni Soldini) ma non quella di Vincenzo Sorrentino, il cui nome è ormai dimenticato da tutti. Praticamente cancellato.
Per consentirgli questa circumnavigazione a vela con lo yacht Espero, il 16 luglio 1936, fu trasferito presso il Comando Generale, in servizio presso l’Ispettorato militare sportivo. Nelle intenzioni del capitano Sorrentino la crociera doveva avere inizio nei primi giorni dell’agosto 1937, con partenza dal porto fluviale di Roma e toccare in successione Gibilterra e Tangeri e da lì verso Rio De Janeiro. Tutto era pronto nei minimi dettagli. A fare da madrina al panfilo Espero, una imbarcazione di undici metri e con una superficie velica di 48 metri quadrati, il 6 giugno 1937, una domenica, che vogliamo immaginare di sole splendido, era intervenuta perfino la giovane Principessa del Piemonte, Maria Josè, moglie di Umberto II di Savoia, entrambi da tempo trasferitosi a Napoli, nella fastosa e antica Reggia borbonica di Piazza Plebiscito.[16] Ironia della sorte, la principessa era notoriamente antifascista, al punto da incontrarsi con noti sovversivi, fino ad ordire un ingenuo tentativo di rovesciare il regime mussoliniano.
In una intervista rilasciata qualche giorno dopo, Sorrentino dichiarò senza preamboli:
Anzitutto mio primo intendimento nell’effettuare questo giro del mondo, da solo in una barca a vela di limitate proporzioni, è quello di risvegliare nei giovani e sportivi d’Italia l’antica coscienza marinara, che tanto sta a cuore al Regime, specialmente oggi che la nostra bella Italia, per volere del Duce e per le virtù militari del nostro popolo, ha il suo Impero.[17]
l’Espero salpò nel pomeriggio del 10 agosto 1937, un martedì, dal porto di Ripagrande, sul Tevere, pronto a toccare i porti dei cinque continenti, in un viaggio dalla durata indeterminata e comunque non meno di quattro o cinque anni.[18] Purtroppo la sorte gli fu avversa non riuscendo a superare neanche le antiche colonne d’Ercole, la porta verso l’ignoto secondo gli antichi.
L’affondamento dell’Espero – l’imprevisto era dietro l’angolo: era appena ripartito da Biserta, la città tunisina più settentrionale dell’Africa, quando a quindici chilometri dalla costa, Sorrentino notò verso l’estrema punta dell’imbarcazione una improvvisa fiammata seguita da un continuo crepitio, simile ad uno scoppio represso. Nei pressi vi era il deposito di munizioni, completo di quattromila cariche e vi era il serio rischio di far esplodere l’intero panfilo. Cercò disperatamente di spegnere il fuoco, ustionandosi mani e viso, ma riuscendo fortunatamente a vincere il fuoco e spegnerlo definitivamente. Purtroppo le fiamme avevano già distrutto le strutture della prua, rendendo impossibile il prosieguo della navigazione e costringendolo a calare in mare la piccola scialuppa di gomma. Riuscì in qualche modo, non senza fatica, a trascinare il piroscafo verso la costa, approdando a Capo Angela, promontorio roccioso della stessa Biserta. Qui gli vennero incontro alcuni arabi che provvidero a dare notizia al faro e ad informare le autorità dell’accaduto. Qualche giorno dopo, esperite le pratiche relative all’incidente, si Imbarcò sulla motonave passeggeri, Città di Palermo, arrivando a Napoli e da qui rientrò a Castellammare di Stabia il successivo 12 ottobre.
Il capitano Sorrentino ha aggiunto che i danni, per quanto rilevanti – circa 40 mila lire – subiti dalla sua imbarcazione non sono tali da compromettere l’esito della prova che era stata felicemente iniziata e che egli, con la tenacia che tanto lo distingue contro ogni ostacolo e contro ogni avversità, riprenderà al più presto per portarla a termine.[19]
L’impresa progettata da Sorrentino non fu mai portata a termine, forse per i venti di guerra che soffiavano e agitavano l’intera Europa, coinvolgendo ben presto il mondo intero o per altri motivi a noi ancora ignoti. Ma le disgrazie dell’Espero non erano destinate ad esaurirsi, nonostante il suo nome bene augurante. Tutto accadde il 24 settembre 1938, quando a bordo del suo amato e sfortunato panfilo, sul quale scrisse la prefazione al suo libro autobiografico, Il navigatore solitario, almeno stando a quando scrive e alla data riportata nel volume, accadde qualcosa. Quello stesso giorno in cui concluse l’introduzione, per cause che non conosciamo, il panfilo Espero affondò nei pressi di Capo Palinuro. L’incidente portò il suo comandante ad essere denunziato dalla Capitaneria di porto il 21 febbraio 1939, sotto la grave accusa di essere in qualche modo responsabile dell’affondamento, mentre il successivo 13 marzo fu dallo stesso sospeso dal grado e dall’esercizio di navigazione in attesa dell’esito del giudizio.[20] Non ci è dato sapere perché il navigatore solitario si trovava in quel punto della costa campana e cosa accadde in realtà quel giorno e per quale motivo fu messo sotto accusa. Allo stato delle nostre attuali ricerche non lo sappiamo non avendo reperito la necessaria documentazione sulle motivazioni della denuncia da parte della capitaneria di porto a carico di Vincenzo Sorrentino. Probabilmente non vi furono per lui conseguenze penali visto che in quella stessa primavera del 1939 fu nominato, grazie ai suoi meriti fascisti – Decurione della 145° Legione, Brevetto della Marcia su Roma e Fascia Littorio – direttore della Consorzio del latte Stabiese, rimanendovi fino al 28 agosto 1940, data in cui il Prefetto di Napoli sciolse il Consiglio d’amministrazione in seguito ad una inchiesta, che pur non riscontrando ammanchi o malversazioni, rilevò delle irregolarità amministrative.[21]
La fine di una carriera – Non so se sia possibile azzardare un ipotesi maliziosa, ma il dubbio che Sorrentino abbia affondato volontariamente l’Espero, ormai cosciente di non poter riprendere quella circumnavigazione del mondo tanto minuziosamente programmata. La frustrazione per l’impresa agognata e strombazzata e così miseramente fallita può averlo indotto a causare quel suicidio del suo amato piroscafo, per dare un senso alla sconfitta, una giustificazione a sé stesso e al mondo per l’impossibilità di riprendere il mare, di attraversare l’Oceano e l’Atlantico. La verità è affondata con l’Espero e sepolta con la morte del navigatore solitario. Di certo lo strano e, al momento, per noi, misterioso affondamento dell’Espero, segna la fine della carriera di Vincenzo Sorrentino come navigatore solitario, avviandosi verso più stabili e tranquilli lavori dietro una più comoda scrivania, nonostante l’ancora giovane età, appena 35enne in quel 1938, anno sedicesimo dell’Era fascista. Sicuramente più tranquilla doveva essere la carriera di ufficiale della milizia, seppure poco confacente con il carattere e la personalità finora mostrata da Sorrentino, a riprova della gravità di quanto accaduto quel 24 settembre 1938 nei pressi delle tranquille acque di Capo Palinuro. Un mistero che speriamo non rimanga tale. Una tranquillità che infrangerà partendo volontario per la guerra, combattendo nel deserto dell’Africa Settentrionale.
Intanto il 4 aprile 1940 aveva fatto domanda per la nomina di Ufficiale di Porto di complemento, in seguito alla quale il Ministero della Marina fece le opportune indagini sul conto di Sorrentino chiedendo informazioni al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Castellammare. La risposta arrivo il successivo 21 aprile con alcune note dolenti a carico dell’ormai ex navigatore solitario, tra cui una denuncia risalente al 19 novembre 1932 quando fu denunciato al Tribunale di Roma per lesioni volontarie, ma successivamente amnistiato. Non è chiaro se fu a causa di questa rissa o per altri successivi motivi che si ritrovò sospeso dal grado e dalla milizia a scopo punitivo per sei mesi il 13 febbraio 1934. Condonata la sospensione, fu successivamente reintegrato nel grado e riammesso nella milizia quale ufficiale a disposizione del Comando di Legione.
Una seconda denuncia è relativa al 21 febbraio 1939, a seguito dello strano affondamento dell’Espero di cui si è detto in precedenza.
Non abbiamo ulteriore informazioni sull’esito della domanda, probabilmente rigettata, ma sappiamo che nel corso del secondo conflitto mondiale si arruolò volontario per la guerra e pare che sia stato fatto prigioniero durante i fatti d’arme della Tunisia.[22]
In realtà il 15 maggio 1940 lo ritroviamo nei quadri del Comando Generale addetto alle squadre della motonautica. Solo pochi mesi, poi farà domanda per essere mobilitato nella 18° Legione militare, guadagnandosi il grado di Centurione il 1° settembre 1941. Trasferito nella Milizia Artiglieria Marittima il 9 settembre 1942, partecipò dal 1 gennaio al 10 maggio 1943 a tutte le operazioni di guerra svoltosi nell’Africa Settentrionale e in questa ultima data fatto prigioniero in Tunisia dalle Forze Armate Alleate, probabilmente a Biserta.[23] Tre giorni dopo ci fu, dopo un’ultima, strenua resistenza, la resa totale delle residue forze italo tedesche e la fine, dopo 35 mesi di alterne vicende, della Campagna di Tunisia, con oltre duecentomila prigionieri tra italiani e tedeschi. Almeno 140mila gli italiani. Non è retorico aggiungere che gli italiani seppero coprirsi di gloria, nonostante fossero inferiori di numero, privi di mezzi adeguati, senza rifornimenti e in parte abbandonati a sé stessi dagli alleati germanici. Tra i prigionieri lo stesso generale, Giovanni Messe, che aveva assunto il comando della I Armata in Tunisia a febbraio e considerato il miglior generale italiano durante la seconda guerra mondiale. L’inizio della fine per l’Italia fascista.
Stando al suo Foglio matricolare, Sorrentino risulterebbe rientrato a Napoli dalla prigionia soltanto il 27 febbraio 1946 e definitivamente congedato il 13 luglio, ma dallo schedario politico dei sovversivi, depositato nell’Archivio di Stato di Napoli, abbiamo trovato una nota del 24 gennaio 1945, scritta dal commissario di PS di Castellammare di Stabia, dove si informa il Regio Questore che Sorrentino, residente nella casa paterna di via Mazzini 3, mantiene integra la sua fede fascista, ma di non aver dato luogo a rimarchi in linea politica.[24]
Ritenendo improbabile che il commissario di pubblica sicurezza si sia inventata la nota, si tratta di capire cosa può significare rientrato a Napoli il 27 febbraio 1946, quando da oltre un anno risulta presente nella sua città natia. Errore di trascrizione? Un modo per ottenere benefici economici più alti dallo Stato Repubblicano in quanto ex combattente e prigioniero di guerra? Non sappiamo. Qualcuno forse ci spiegherà.
Buenos Aires e l’amore – Poco altro sappiamo di cosa abbia fatto della sua vita dopo la caduta del regime mussoliniano. Fascista convinto, rimase fedele alla sua idea continuando a professarla quando tutti gli altri avevano gettato la camicia nera, provando a mimetizzarsi. Si racconta che, in maniera sfrontata continuasse a passeggiare indossando, provocatoriamente il suo fez, incurante dei pericoli che poteva correre, fino a quando l’aria si fece per lui insopportabile, decidendo di emigrare in Sudamerica. La caduta della Monarchia, la scelta definitiva della Repubblica, l’egemonia comunista, seppure soffocata e spenta dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948 che determinarono la vittoria definitiva della Democrazia Cristiana, sostenuta dal Vaticano, ma soprattutto dagli Stati Uniti d’America lo convinsero a cambiare aria. In realtà Sorrentino non aspettò il risultato delle elezioni politiche, forse non credette nella sconfitta del Fronte Popolare, l’aria che si respirava nel Paese era di grande attesa e per qualcuna pre rivoluzionaria. Non volle o non seppe aspettare e scelse l’Argentina, dove dal 1946 era Presidente Juan Domingo Peron, un generale da sempre simpatizzante del fascismo e dello stesso Benito Mussolini. Non casualmente l’Argentina, con la dimostrata complicità del Vaticano, sarà il rifugio preferito di gran parte dei nazisti in fuga dalla Germania a partire dal famigerato criminale di guerra, Erich Priebke, l’ex comandante della SS, responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine, dove trovò la morte, con altri 334, lo stabiese Manfredi Talamo (1895 – 1944), Tenente Colonnello dei carabinieri, medaglia d’oro al valor militare. Rifugio non solo di nazisti, ma anche di molti gerarchi fascisti, compreso il secondogenito dell’ormai ex duce, Vittorio Mussolini e di Edoardo Moroni, ex ministro di Salò, trovando nel grande paese sudamericano una Patria di riserva.[25] Con Sorrentino emigra anche un altro fascista stabiese, Mariano Buonocore, napoletano di nascita, disegnatore tecnico e progettista nel Regio Cantiere Navale, squadrista iscritto dal 1921, che aveva partecipato alla marcia su Roma e fermato e detenuto dalla polizia inglese nell’ottobre del 1947 per essere sottoposto a interrogatorio sui suoi trascorsi politici. Quest’ultimo episodio convinse il 42enne Buonocore a cambiare aria, imbarcandosi sulla nave, Ercole e sbarcando a Buenos Aires il 2 dicembre 1947.
Il 21 febbraio 1947 era stato stipulato un primo accordo tra Italia e Argentina in materia di emigrazione, favorita dalla grande espansione economica del paese sudamericano e Peron, da poco eletto nuovo Presidente era intenzionato a privilegiare una politica immigratoria intesa a favorire Paesi affini, quali Italia e Spagna ed inoltre selezionare, in via preventiva, l’origine e l’orientamento ideologico degli immigrati, preferibilmente mediterranei, cattolici e anticomunisti. Un richiamo irresistibile per lo stabiese, che lasciò la terra natia nell’ultima decade di marzo del 1948, imbarcandosi dal porto di Napoli sulla nave, Andrea Gritti, registrandosi come professione in qualità di rappresentante, non sappiamo bene di cosa, e approdando a Buenos Aires il 2 aprile, dove sapeva, tra l’altro di essere stato preceduto da tanti antichi camerati, in cerca di un luogo sicuro per sfuggire alle vendette e al carcere o solo per rifarsi una vita. Sulla stessa nave, ma imbarcatosi a Genova, quel giorno viaggiava anche la piemontese Maura Scivini, una 26enne, originaria di Pallanza, oggi Verbania, una ridente ed elegante cittadina affacciata sul lago Maggiore, di fronte al golfo Borromeo.[26] Se fu amore a prima vista non sappiamo, di certo il lungo viaggio, forse una decina di giorni, servì a farli conoscere, a piacersi e forse ad innamorarsi, dividendo il resto della loro vita in comune, fino a sposarsi il 18 febbraio 1955.
Andarono ad abitare in una villa posta nella periferia della grande metropoli, frequentando la numerosa colonia italiana lì presente e in particolare quanti provenivano dall’area stabiese, per non sentire la nostalgia del suo Paese, ormai troppo lontano. Luogo di ritrovo era un ristorante italiano. Sembra che Sorrentino in qualche modo riuscì ad entrare in contatto con Peron, fino a conoscerlo personalmente, al punto che fu lo stesso Caudillo a farlo impiegare in una agenzia locale del Banco di Napoli. Più verosimilmente trovò l’impiego grazie alla potente organizzazione fascista di italiani rifugiatosi a Buenos Aires, con i quali era in stretto rapporto, a loro volta collegati con esponenti governativi.
Sorrentino tornava spesso in Italia, nella sua amata e indimenticabile Castellammare di Stabia, per incontrarsi con i fratelli, il pediatra Catello e il dirigente dell’Inps, Antonino, a sua volta trasferitosi a Trieste, dove conoscerà e sposerà nel 1960, Maria Cossovieh. Prima di trasferirsi a Trieste, Antonino fu anche socio del Circolo Nautico, partecipandovi dall’aprile 1947.[27] Con loro Vincenzo intrecciava infinite discussioni politiche, avendo pareri divergenti, se non contrastanti, pare infatti che Catello, il primogenito fosse democristiano, mentre Antonino era un socialista convinto.
Non sappiamo se nella sua lunga permanenza in Argentina Sorrentino abbia continuato a militare nelle frange fasciste, ricostituitosi nel paese sudamericano, se li abbia soltanto frequentati oppure si sia definitivamente allontanato. Purtroppo questo è un buco nero al momento senza soluzione. Personalmente, conoscendo il personaggio, riteniamo che abbia sicuramente frequentato quegli ambienti e, probabilmente, attivamente militato nell’associazionismo messo in piedi da Vittorio Valdani, ingegnere ed ex manager della Pirelli che aveva rifondato il Fascio di Buones Aires fin dall’indomani dell’assassinio di Matteotti nel 1924 e successivamente guidata da altri elementi nel secondo dopoguerra.
Gran parlatore, Sorrentino aveva mantenuto anche in età avanzata il suo carattere da simpatico guascone. Amava divagare e raccontare delle sue giovanili imprese e spesso ricordava che la canoa con la quale aveva effettuato la traversata Roma Tripoli l’avesse egli stesso disegnata e fatta costruire da un cantiere di Livorno, sotto la sua personale supervisione, scegliendo perfino il tipo di legname più adatto alla traversata che intendeva effettuare, un leggero fasciame di cedro di appena 4 millimetri di spessore e remi pieni, a pala ricurva, di un solo pezzo, della lunghezza di 2,75 metri.
Dopo la sua morte, avvenuta verso la fine degli anni Settanta, il corpo fu cremato e conservato dalla moglie in un pregiato vaso cinese nella loro bellissima villa, dove però alcune settimane dopo fu trafugato da alcuni ladri entrati in casa per rubare. La moglie disperata e in lacrime telefonò ai parenti stabiesi del marito raccontando quanto era accaduto. Naturalmente le ceneri non furono restituite e probabilmente abbandonate, se non disperse chissà dove. Allo spirito avventuroso di Sorrentino un finale così non poteva dispiacere!
La coppia non ebbe figli.[28]
Nota. Chiunque abbia notizie, articoli, foto o qualunque altra informazione su Vincenzo Sorrentino utili ad arricchire questa scarna biografia, può contattarmi tramite mail, raffaelescala1954@gmail.com
[1]Il Popolo d’Italia, 24 luglio 1941: Navigatori solitari.
[2]Dalla Treccani, Enciclopedia on line: Iole, sottile imbarcazione di legno, leggera, con sedili fissi o scorrevoli, scalmiere ricavate nell’orlo dei fianchi o su braccioli.
[3]Giuseppe D’Angelo: Circolo Nautico Stabia 1921 – 1996. Settantacinquesimo dalla fondazione.
[4]Piero Girace: La crociera dell’ardimento e della tenacia. (Roma tripoli in canoa), in L’Italia Marinara, quindicinale, Anno X XXI, Agosto 1930
Colgo qui l’occasione per ringraziare l’amico Giuseppe Zingone per le preziose informazioni, gli indispensabili articoli e alcune immagini dell’Istituto Luce su Vincenzo Sorrentino da lui fornitomi.
[5]ASN, Foglio matricolare di Sorrentino Vincenzo
Si coglie l’occasione per ringraziare l’archivista dell’Archivio Militare, sede distaccata di Pizzofalcone dell’Archivio di Stato di Napoli, dottoressa Angela Sorrentino per la sua preziosa e gentilissima disponibilità.
[6]Piero Girace: Diario di uno squadrista, seconda edizione, Editrice Rispoli Anonima, Napoli 1941, pag. 75-76
[7]Il Popolo d’Italia, 24 luglio 1928: Un raid remiero, Castellammare – Roma
[8]La Stampa, 31 luglio 1929: Da Napoli a Roma in canoa. Il racconto dell’interessante viaggio.
[9]Vincenzo Sorrentino: Il navigatore solitario, 1939, Lettera di Ciano alla lega Navale Italiana, pag.228. Il libro, donato a Libero Ricercatore da Giuseppe Zingone, è consultabile gratuitamente nella sua versione integrale nel sito web, nella rubrica curata con grande passione da Gaetano Fontana.
[10]In realtà è possibile che Sorrentino nel periodo della sua permanenza a Roma, dove prese la residenza, in via Scipioni 121 in quanto ufficiale della Milizia, si sia iscritto al Circolo Aniene, frequentandolo negli anni Trenta.
[11]Il Popolo d’Italia, 5 agosto 1930: Il raid Roma – Tripoli in canoa, da Tripoli, 4, notte
[12]Piero Girace:La crociera dell’ardimento, cit.
[13]La Stampa, 24 luglio 1937: Le udienze del Duce. Il capomanipolo Sorrentino e Il Popolo d’Italia, stessa data: Le udienze del duce.
[14]Sapere, quindicinale di divulgazione: Dai remi alle vele. La crociera del panfilo Espero, 31 luglio 1937, pag. 66-67, articolo a firma del capitano Vincenzo Sorrentino
[15]Il mio viaggio intorno al mondo, capitano Francesco Gerace, Tratto dal Notiziario del C.I.R.M, n. 2, 1958 e La Stampa, 29 gennaio 1935: Compiono il giro del mondo su di una fragile imbarcazione a vela; 1 maggio 1935: Il raid di Gerace e Dominici. Come furono compiute in tre anni le 27mila miglia di navigazione e 23 maggio 1935: I “globe trotters” del mare stanno per terminare il loro viaggio. Cfr. anche Lorenzo Bono: Tre Oceani, il primo giro del mondo di un velista italiano, Nutrimenti Mare edizioni, 2021
[16]La Stampa, 7 giugno 1937: Il giro del mondo da solo con un panfilo di 11 metri.
[17]La Stampa, 11 giugno 1937: Il giro del mondo su una barca a vela. La prossima partenza del capitano Sorrentino. Cfr anche Stampa sera, stessa data in prima pagina.
[18]La Stampa, 9 agosto 1937: Solo attorno al globo. Oggi il capitano Sorrentino salpa per il giro del mondo. Cfr. Anche 11 agosto:Il navigatore solitario è partito per il giro del mondo. Un accenno viene pubblicato anche sul Popolo d’Italia il 10 e 11 agosto, un giornale che notoriamente dava poco o nullo spazio al Sud: L’Espero del capitano Sorrentino inizia oggi il viaggio intorno al mondo; Il capitano Sorrentino partito per il suo viaggio intorno al mondo.
[19]Il Popolo d’Italia, 13 ottobre 1937: Il raid intorno al mondo del capitano Sorrentino. Come e perché la prova è stata sospesa.
[20]ASN, Sovversivi: Sorrentino Vincenzo, b. 90: Pubblica Sicurezza a Ministro della Marina, Divisione Generale del Personale e dei Servizi Militari, Roma ,23 aprile Anno XVIII: Nomina ad Ufficiale di Porto di complemento
[21]ASN, Sovversivi, Sorrentino Vincenzo: Commissariato di Pubblica Sicurezza a Regia Questura, 11 gennaio 1944.
[22]ASN, Sovversivi, Sorrentino Vincenzo, b. 90, Da Commissariato PS a Questore, 11 gennaio 1944.
[23]Vincenzo Sorrentino era inquadrato nel I Reparto Mobile, Milmart, una specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, Reggimento San Marco, una centuria addestrata come fanteria di marina. Da una relazione del 30 agosto 1941, l’organico del reparto era composto da due compagnie con 11 ufficiali, 19 sottufficiali e 276 camicie nere.
[24]ASN, Sovversivi, Sorrentino Vincenzo, busta 90
[25] Federica Bertagna: La Patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, Donzelli Editore, 2006
[26]Cfr. sito web, CISEI: Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana: Scheda dell’emigrante, ad nomen.
[27]Il Risveglio di Stabia, settimanale fondato da Catello Langella, n. 12, 3 maggio 1947: Circolo nautico.
[28]Le scarne, ma preziose informazioni sulla vita argentina mi sono state fornite da un nipote di un cugino di Vincenzo Sorrentino, Francesco d’Apuzzo, arzillo pensionato della Banca Stabiese, ottantaduenne, contattato telefonicamente il 15 dicembre 2022 su informazione dell’amico Gaetano Fontana. Non mi è stato possibile reperire la data di morte di Vincenzo Sorrentino. L’Ufficio dello Stato Civile del comune di Castellammare di Stabia e l’ambasciata argentina in Italia, da me interpellati, non hanno saputo e potuto darmi le informazioni richieste.