Maksim Gor’kij

Maksim Gor’kij di Piero Girace

a cura di Giuseppe Zingone

Maksim Gor’kij

Maksim Gor’kij, è lo pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov, nato a Nižnij Novgorod il 28 marzo 1868 e morto a Mosca il 18 giugno 1936, secondo alcuni studiosi, fatto assassinare da Stalin. È stato uno scrittore e drammaturgo russo.

Che Piero Girace sia stato un avido lettore di scrittori russi è notorio, tanto da fa parlare di sé all’inizio della sua carriera di scrittore con lo pseudonimo di Michele Grigorief.1Lo scritto di Girace, che esponiamo qui al lettore, fu pubblicato su: IL RISORGIMENTO ITALIANO, un settimanale letterario, politico, umoristico, stampato a Baltimora negli States, per i nostri connazionali del Maryland e District Columbia. Quando incontra Maksim Gor’kij, Piero Girace ha solo ventidue anni, lo scrittore russo, sessanta.

Buona lettura….

MASSIMO GORKI PARLA DI LENIN E DELLA RUSSIA, Sorrento.

Maksim Gor’kij in Italy. Photo credit Rossiyskaya Gazeta

Siamo nella sontuosa villa del Capo di Sorrento.2Un “groom”3cortese e di bella presenza, ci accompagna in uno spazioso salone, dal quale, attraverso una grande vetrata semicircolare, impresso come in un affresco, appare il panorama paradisiaco del golfo di Napoli. Attendiamo circa dieci minuti, durante i quali il nostro pensiero non fa che fantasticare, e il nostro occhio irrequieto, ora si posa su di una bella statua di bronzo ora nel soffitto, dove strani paesaggi di foreste tropicali suscitano nel nostro animo un vago senso di paura.
Tutto ad un tratto, uno schiudersi di porte ci fa sussultare. Appare sulla soglia la figura maschia di un vecchio alto, dallo sguardo calmo e benevolo. E’ Massimo Gorki in veste da camera. Si avvicina a noi, dicendoci nel più bel russo: “Siate i benvenuti”. Poi dopo una breve pausa, aggiunge: — Posso domandarvi lo scopo della vostra visita?.
Ci affrettiamo a rispondergli, nel più orribile russo: — Siamo venuti semplicemente per conoscerla.
L’autore del “Vagabondi” fa un gesto come per dire: “Troppo gentili siete stati”.
Egli ha la faccia quadra, gli occhi azzurri a mandorla, che dimostrano eloquentemente la sua origine mongola, lunghi baffi perfettamente antitetici a quelli del Kaiser mani grosse e callose, documentazione inequivocabile della sua vita di lavoratore.
Tutti sanno certamente che Massimo Gorki è l’ultimo dei grandi scrittori russi: l’erede necessario di Leone Tolstoi.

Chi era Massimo Gorki? Un semplice “mugik”, un uomo del popolo, figlio di un povero tappezziere.
Quando il grande pensatore principia a parlarci della sua vita passata, notiamo immediatamente uno scintillio tremolare nei suoi occhi glauchi, che tali, forse, son divenuti a furia di guardare il cielo.
Nacque il 14 marzo 1868 o 1869, a Niznij Novgorod, sul Volga. Il suo vero nome è Alexio Maksimovic Pieskow (in russo “Gorkij” significa “amaro”).
Ebbe un’infanzia agitata ed una adolescenza e gioventù randagia; del quale periodo egli ha già parlato ampiamente nei suoi libri “Infanzia”, “Fra la gente” e “Le mie università”.
Fece tutti i mestieri che gli capitarono fra le mani: ciabattino, apprendista in un negozio, pittore di immagini sacre, sguattero, giardiniere. falegname, fornaio, ecc.; sempre povero, sempre disgraziato, spesso affamato, tanto che a venti anni tentò di suicidarsi; ma non riuscì che a ferirsi gravemente. Uscito dall’ospedale, ricominciò la sua vita di vagabondo, facendo dapprima il venditore ambulante, poi il cameriere ed infine il segretario dell’avvocato Lanin, del quale egli conserva un grato ricordo.
Questo ultimo ebbe una grande importanza sulla vita del giovane scrittore. Fu per lui come un padre, poiché fu il primo a comprenderlo ed a proteggerlo.
Se l’influsso dell’avvocato Lanin sul suo sviluppo intellettuale fu grande, degno di nota è quello ch’ebbe Vladimiro Koroljenko, il glorioso autore del “Sogno di Makar” e del “Musicista cieco”, ch’egli conobbe a Niznij Novgorod, nel 1893.
“Mi ritrovai — dice l’illustre scrittore — dopo pochi anni nuovamente sulla strada, vagabondo affamato, ma libero al punto di scrivere una protesta contro il governo russo, che mi fece arrestare, incatenare e spedire in Siberia, donde poi uscii, ma rovinato in salute”.
Notiamo che il suo viso, a mano a mano ch’egli parla, s’illumina e si trasforma straordinariamente. Ci parla, con nostalgia, della sua grande patria lontana, ch’egli percorse in lungo e in largo, sospinto non solo dalle necessità della vita, ma anche da uno strano istinto d’artista, avido di conoscenze e ansioso di vedere sorgere giorno per giorno davanti al suo sguardo nuovi orizzonti, nuove terre, nuovi uomini, onde scrutarne l’enigmatico filo, che li unisce e li fa vivere.
Le parole del pensatore coloriscono tanto superlativamente, da far sparire davanti ai nostri occhi, la meravigliosa visione dell’incantevole Tirreno, del Vesuvio e della cascata di case che, da via Tasso e dalla collina di Posillipo, disgrada fino al mare, e proiettare, invece, sullo schermo della nostra fantasia interminabili pianure, le famose steppe russe dove il canto del patetico grillo si diffonde malinconicamente nell’aria grigia, che appesantisce l’animo.
Massimo Gorki ha la voce armoniosa, che ricrea l’udito di chi lo ascolta; quando parla, sembra che faccia uno sforzo per costringere le sillabe ad una azione chiara, quasi temesse di non essere compreso.
Sulla sua arte, fino ad oggi, innumerevoli sono stati i giudizi dei critici. Qualcuno l’ha paragonato a Guy de Maupassant, per l’efficacia delle sue descrizioni, altri a Cekov, per quel senso di malinconia e di pessimismo a cui sono informati i suoi racconti, altri ancora a Dostoiewskij per quell’innato istinto di penetrare il segreto della vita, il mistero degli esseri e delle cose. Massimo Gorki, invece, in tutte le sue opere, reca l’impronta della sua personalità. La sua arte non è il frutto di una lunga esercitazione letteraria. L’amenità dell’inventiva difficilmente si riscontra nei suoi scritti, i quali tutti formano come un unico documento importantissimo: il diario della sua vita. Egli ci descrive ciò che ha veduto ciò che ha osservato, ciò che ha sentito, ciò che ha vissuto e c’è veramente tanta evidenza in quello che ha scritto, che ci sembra di leggere non una finzione, ma un’amara confessione.
L’opera sua, dunque, è tutta a sfondo autobiografico ed il lettore sente, leggendola, che i fatti raccapriccianti I di miseria e di pene, di delusioni e di vaneggiamenti sono brani di vita, in cui si nota l’amarezza del ricordo, il fluttuare di un passato burrascoso e tormentato.
Ci parla, infine con uno strano sorriso sulle labbra della grande rivoluzione russa. E’ questo l’argomento del quale noi avremmo desiderato un resoconto particolareggiato ma, purtroppo, rimaniamo delusi poiché egli vi passò su a volo d’aquila.

Lev Tolstoj e lo scrittore Maksim Gorkij

PER LA CAUSA DELLA PATRIA
— “Ho fatto molto per la causa della mia Patria! — esclama. —
Partecipai, nel 1905, alla prima rivoluzione. Fui immediatamente reclutato nella prigione della fortezza di Pietro e Paolo. E dovetti, poi emigrare, portando in giro per diverso tempo nello strade popolose di New York e per il mondo intero le mie illusioni perdute.
Vissi, poi, alcuni anni esule a Capri. Rientrato in patria, dopo lo scoppio della guerra mondiale, fui a capo del giornale “La vita nuova”. Non accolsi con simpatia il colpo di Stato di Ulitnof Lenin; appunto in quell’epoca pubblicai “Le lettere fuor di tempo”.
E, dopo pochi mesi dallo scoppio della rivoluzione, ritornai in Italia. “Avevo bisogno di sole e di azzurro, per cancellare dalla mia mente gli spettacoli raccapriccianti della guerra fratricida”.
Massimo Gorki tace; poi si alza, dirigendosi verso la grande vetrata che egli apre con energia, esclamando: — “Solo il sole ci fa vivere, solo il sole che trionfa sull’ombra”.
Gli domandiamo se intende restare ancora molti anni in Italia. A tale domanda il pensatore si fa scuro in volto, poi dopo una lunga pausa dice: — “Vorrei rimanervi ancora molto tempo; ma è impossibile. C’è la mia patria lontana, le steppe sconfinate e tristi: c’è tutto il mondo dei miei ricordi, sebbene amari essi siano stati: c’è infine, il teatro delle mie battaglie e dei miei tormenti che attendono questo povero esule”. Gli brillano negli occhi due lacrime che conferiscono una luminosità sorprendente al suo sguardo calmo ed espressivo. In giù, sul mare innumerevoli gabbiani, nel riverbero delle acque sembrano angeli del cielo, venuti espressamente per salutare il poeta.
C’informa dei grandi festeggiamenti, che il Governo dei Soviets, nel prossimo aprile, si propone di conferirgli, per premiare il suo infaticabile lavoro di artista ed assertore di idee, spesso per la redenzione del popolo e della società.
LE FESTE CHE GLI SI PREPARANO
— “Questa, cerimonia, — dice il pensatore. — mi lusinga e mi rallegra nello stesso tempo, poiché non avrei mai pensato, che un povero vagabondo conte me, in un lontano giorno, sarebbe stato festeggiato pubblicamente da tutto il suo popolo”.
La figura di Massimo Gorki, nel semicerchio azzurro della vetrata, mentre il sole si tuffa lentamente nelle acque partenopee, s’ingigantisce. Si riveste di irrealità.
La luce vivida del tramonto gli si riverbera sul volto, illuminandolo stranamente. L’autore di “Bassi fondi’’, il nomade, tormentato dell’analisi e della conoscenza, acquista l’aria pacata e solenne, che richiama alla mente di chi l’osserva quelle figure nobili, fatte di bontà e d’ingegno, di generosità e di modestia, di abnegazione e spiritualità, che tutti chiamano apostoli.
Giunge, dopo un poco, un cameriere che reca in mano un vassoio. E’ l’ora del thè. Il Maestro è un bevitore incomparabile di quest’aromatica bevanda, quando scrive, poi, quadruplica la razione abituale. Ci ritiriamo in un angolo del salotto, dove giganteggia sulla parete un ritratto del conte Leone Nicolaievic Tolstoi. Gli rivolgiamo qualche domanda in merito alle sue relazioni avute col grande scrittore e filosofo.

Lev Tolstoj e lo scrittore Maksim Gorkij

LA VENERAZIONE PER TOLSTOI
— “E’ il simbolo più bello della Russia! — esclama. — L’uomo che io ho più invidiato ed amato! Mi ricordo ancora con precisione del tempo. in cui egli era convalescente a Gaspra di una grave infermità. Bisogna comprendere bene la sua anima, penetrare l’enigma dell’uomo profeta, con le sue luci meravigliose, con i suoi improvvisi accecamenti, con le sue mitezze e con le sue asprezze, per poter comprendere l’anima russa, il tormento spirituale, che agita tuttora la Russia intera. Lo vidi diverse volte, gli parlai spesso: lo ascoltai sempre con religione. Delle conversazioni presi nota giornalmente in foglietti sparsi, che raccolsi in un volumetto e pubblicai dopo la sua morte, avvenuta ad Astapovo”. L’autore dell’ “Asilo notturno” continua a parlare, entusiasmandosi, come se egli non si trovasse con indiscreti stranieri, che, in men di un’ora, gli hanno messo in subbuglio il suo sacro mondo dei ricordi.
Massimo Gorki, terminato il suo sfogo filiale di venerazione per il grande scomparso, ricade nuovamente nel suo mutismo impenetrabile.
Infine, ci congediamo da lui, nel mentre echeggiano nel nostro animo le parole che il più grande dei poeti russi contemporanei, Andrea Pjelyr, disse di lui: “Il nostro tempo amaro si alza davanti a noi e noi vediamo in Gorki l’interpetre del tempo che vive in noi.4Piero Girace

Articolo terminato il 1 aprile 2024

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  1. Michele Grigorief, è lo pseudonimo di un giovanissimo Piero Girace, che così pubblicava i suoi primi racconti su riviste dell’epoca, scritti che poi vennero raccolti nel libro: Michele GrigoriefDonne Terribili, Edart 1969, pag. 190.
  2. Della permanenza di Maksim Gor’kij in Italia, leggi: Sorrento anni Trenta: Gor’kij sorvegliato speciale.
  3. Groom, sta per ragazzo di servizio, valletto, paggio di case signorili, fattorino.
  4. Piero Girace, MASSIMO GORKI PARLA DI LENIN E DELLA RUSSIA, in: IL RISORGIMENTO ITALIANO, nel Maryland e District Columbia, giornale settimanale letterario politico umoristico, Baltimora, Sabato 17 Marzo 1928, pag. 4.

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