Michele Grigorief
a cura di Giuseppe Zingone
Lo stratagemma di un giovane stabiese, “giovane prodigio” delle lettere, con tanta voglia di veder pubblicati i suoi racconti dai giornali della sua epoca, induce ad una riflessione, valida ancor oggi.
Era il 1922, un Piero Girace appena diciottenne cerca di farsi spazio nel mondo del giornalismo con una consapevolezza: dalla politica, all’arte, alla cultura, gli italiani sono affascinati e ammaliati da tutto ciò che proviene dall’estero ed anche i giornali vanno in quella direzione.
Fosse anche solo il nome, se straniero è più alla moda, è più chic, fa tendenza, affascina.
A ben pensarci neanche le ideologie del novecento hanno radici nostrane, le idee vengono importate, prese in prestito, infelicemente adottate, mi riferisco al fascismo e al comunismo, quando si pensò di poter cambiare il paese su proposte e tesi che tali rimasero e che mille guai hanno prodotto e ancora oggi producono, perché non ci appartengono.
Dopo cento anni le cose non sono cambiate affatto. Basta ascoltare i nostri politici: Jobs act, spending review, lockdown, smart working, endorsement. Anche a livello musicale le cose non vanno meglio, è proprio il caso di dire “suona meglio” se esotico: Mister Rain, Lda, Rosa chemical, Amadeus, solo facendo riferimento all’ultimo Sanremo 2023 .
Purtroppo e questo ve lo dice chi è del mestiere, non si salva nemmeno la scuola: Flipped classroom, brain storming, coding, circle time, lo storytelling, la peer education. Oggi lo svilimento della cultura italiana, passa, sempre per colpa nostra, attraverso l’egemonia anglofona.
Tralascio l’ambito medico ed allora passo la parola a Michele Grigorief ed al suo traduttore stabiese Piero Girace, perché contro ogni forma di assoggettamento abbiamo ancora qualche risorsa: l’intelligenza e la bravura.
Ma soprattutto impariamo ad amare la NOSTRA cultura, la nostra LINGUA.
Quando ero Michele Grigorief (ossia quando pubblicavo nelle più diffuse riviste e nei maggiori quotidiani d’Italia le novelle raccolte in questo volume) ebbi le più grandi soddisfazioni che un giovanissimo scrittore possa sperare. Fingevo di tradurre dal russo l’inesistente novelliere, sul quale si appuntò in quel tempo l’attenzione della gran massa del pubblico, ed anche quella dei direttori delle più note riviste e di non pochi importanti quotidiani.
Avevo diciotto anni quando inventai Michele Grigorief. Il primo racconto – «L’infedele» – che ho inserito in questo volume, fu pubblicato dalla rivista «Novella», allora diretta da Enrico Cavacchioli. In seguito le «Grandi Firme» di Pitigrilli2lo ripubblicò con il titolo «Diario» dandone la paternità al grande romanziere russo Michele Artzbascef, il famoso autore di «Sanine» e di «Al limite estremo». Ad eccezione del titolo, fu riprodotto integralmente.
Nemmeno una virgola spostata. La cosa,3comunque, mi lusingò non poco. In qualità di responsabile della proprietà letteraria di Michele Grigorief in Italia, scrissi subito una lettera piuttosto risentita a Pitigrilli, chiedendo spiegazioni circa l’arbitrio commesso ed esigendo un’immediata rettifica sulle «Grandi Firme».
In assenza dell’autore di «Cocaina», che si trovava in quei giorni a Parigi, mi rispose Lucio Ridenti, il quale si giustificò dicendo che erano stati presi in buona fede e che mi avrebbero ricompensato con la somma di lire cento. Rifiutai insistendo che esigevo la pubblicazione della rettifica sulle «Grandi Firme».
Ma Ridenti rispose che per il prestigio della rivista (in quel tempo apprezzata e diffusa dappertutto) ciò era impossibile, e che, qualora io avessi insistito, ci saremmo visti davanti al tribunale di Torino. Ero giovanissimo, del tutto inesperto di azioni giudiziarie e di tribunali, e quindi non mi occupai più della cosa.
Anni dopo, il barone Saverio Procida,4l’indimenticabile critico letterario del « Roma» mi disse: – Sei stato un fesso. Ti sei lasciato sfuggire una bella occasione per farti una grande pubblicità!
Ma intanto Grigorief continuava a pubblicare le sue salacissime novelle interessando la gran massa del pubblico.
Una volta mi presentai dal direttore di un grande settimanale a rotocalco, «Il Mattino Illustrato», e timidamente.5gli dissi di aver tradotto dal russo Michele Grigorief. Rispose: «I russi sono pesanti. Nella pagina delle novelle pubblichiamo soltanto scrittori brillanti come Duvernois, Boutet, Avercenko, ed altri del genere. Nemmeno gli italiani accettiamo. Noi vogliamo novelle rapide, telegrafiche, umoristiche, senza le noiose descrizioni di bravura letteraria e gli scandagli psicoanalitici, che annoiano i poveri lettori».
Ero avvilito. Ma con timidezza, ed altrettanta faccia tosta, azzardai: – Ma Michele Grigorief è un umorista. E’ l’unico scrittore russo che una volta ha fatto ridere Lenin, Il direttore mi guardò con aria incredula, poi disse: – Me ne mandi qualcuna. Vedremo di che si tratta.
Tornai a Castellammare, dove abitavo, piuttosto depresso. E mi ero quasi rassegnato a non farne nulla. Ma il giorno seguente, rasserenato, mi decisi ad inviargliene una: «L’aggressione». Mi recavo con grande ansietà alla edicola dei giornali, ogni settimana, per vedere «Il Mattino Illustrato» e lo sfogliavo con grande trepidazione. Nulla. Una settimana. Due. Nulla. La terza settimana, apro il settimanale e vedo tutta una pagina dedicata alla mia novella «L’aggressione» con le illustrazioni a colore del grande disegnatore norvegese Arvid Muheller. Provai una forte emozione; e contemplai a lungo la testata: – «L’AGGRESSIONE –6novella di Michele Grigorief – ed in calce: – traduzione dal russo di Piero Girace». Incoraggiato, gliene spedii subito un’altra, intitolata «Lettere».
Dopo due settimane, un’altra pagina del «Mattino Illustrato» fu dedicata alla mia novella; ed il «Mattino» quotidiano, in una mezza colonnina in neretto, per fare la pubblicità all’omonimo settimanale, scriveva: «Una vipera ha morsicato una donna. La vipera è morta avvelenata. Basta leggere il racconto “Lettere” del grande scrittore russo Michele Grigorief, il geniale costruttore di novelle» eccetera eccetera, con iperbolici elogi all’inesistente scrittore.
Quella mattina dormivo profondamente. Mi venne a svegliare mio padre e, sorridendo, mi porse il giornale.
Vedi che cosa scrivono di Grigorief!… Ormai lo scrittore russo aveva raggiunto una bella notorietà. Ne sentivo parlare in treno, al caffè, dai conoscenti.
Il direttore di un quotidiano mi chiese se Grigorief avesse scritto anche dei romanzi: voleva pubblicarne qualcuno a puntate nel suo giornale.
Gli dissi che avrei scritto a Grigorief e gli avrei presto fatto sapere qualcosa in proposito.
Intanto su vari giornali e riviste apparivano articoli ed interviste riguardanti l’inesistente scrittore. Lo si vedeva a Capri, a Castellammare e a Sorrento in compagnia di una bella7bionda. Un mio amico di Capri una volta mi disse: Lo sai che ho visto a Capri, a Marina Piccola, Michele Grigorief?
Rimasi trasecolato. Ah davvero? Sul serio l’hai visto? Altro che! E’ un giovane alto, con le basette lunghe, i capelli foltissimi. Non si lascia avvicinare da nessuno. Così io l’avevo descritto in un articolo che era apparso sul «Giornale d’Italia».
La notorietà di Grigorief aumentava di giorno in giorno. Il «Giornale dell’arte» di Milano, diretto allora dal pittore Raoul Viviani, pubblicò un lungo articolo dal titolo «La vita avventurosa di Michele Grigorief», in cui si diceva che era nipote di Ivan Turghenief e che durante i torbidi della rivoluzione russa aveva conosciuto Michele Zoscenko, l’autore di «Vino nuovo» ed Isacco Babel, noto in tutta la Russia per la sua «Cavalcata rossa»: questi lo avevano aiutato facendolo assumere come cronista nel loro giornale, dove, dopo un breve periodo di tempo, aveva rivelato le sue qualità di umorista e di novelliere. In tale articolo si diceva ancora che Lenin, quasi sempre ipocondriaco, dopo aver letto una novella dell’autore di «Donne terribili» si era messo di buon umore ed aveva voluto conoscere di persona lo scrittore.
Fantasie. Fantasie dei venti anni. Io continuai a «tradurlo» ancora per molto8tempo; ma, a poco a poco, incominciai a sentire una certa invidia per il suo successo. Mi dicevo: Perchè a lui tutte le porte dei giornali e delle riviste sono aperte e a me no? Perchè a lui tante lodi?
Avevo quasi deciso di «sopprimerlo» quando il mio amico scrittore e poeta Ernesto Grassi pubblicò nel «Mattino» un corsivo in cui rivelò chi era Michele Grigorief.
Egli scrisse: «Gratta gratta il russo, un bel giorno esce fuori il napoletano. Il tanto famoso e avventuroso Michele Grigorief non è altri che Piero Girace».
La cosa sorprese e deluse molta gente, soprattutto i direttori dei giornali e delle riviste che avevano creduto nella reale esistenza dello scrittore russo.
Uscì, quindi, fuori il mio nome, ma dovetti molto stentare prima che i miei scritti fossero accettati. Ciò mi amareggiò non poco. E parecchi anni dopo, quand’ero redattore ed inviato speciale del «Mattino», in un corsivo dal titolo «Esterofilia», che poi inserii nel mio libro «Antro di Apollo», scrissi quanto segue: «Sono molti coloro che amano la letteratura straniera, ed in ispecial modo i romanzi e le novelle: alcuni per proprio gusto letterario, altri, e sono la maggioranza, per amor dell’esotico. L’esterofilia minacciava un tempo di diventare addirittura epidemica, ma ancor oggi, sia pure per forza di abitudine, nonostante9gli ammonimenti e le polemiche, continua a dar segni di vita, mercè la compiacenza, non del tutto disinteressata, di alcuni editori italiani.
Tale esterofilia è, sotto molti aspetti, una forma di grossolana pacchianeria, che rimonta ad epoca più o meno remota, poiché l’uomo è stato sempre un po’ proclive a supervalutare tutto ciò che vien da fuori.
A tal proposito citerò un esempio, che mi riguarda assai da vicino, per dimostrare come tale mania abbia influito, e forse influisca anche ora, su molte persone intelligenti e dotate d’indiscutibile capacità.
A diciotto anni, sconosciuto, relegato in un paese di provincia, un giovane scriveva ed aveva la fregola di veder pubblicato qualche suo iscritto. Ma come fare?
Non conosceva nessuno. Sapeva che in genere le riviste e i giornali cestinavano senza misericordia tutti gli scritti firmati da sconosciuti. Pensò a lungo sul da fare, si scervellò, fantasticò.
Il paese di provincia era malinconico, sordo alla letteratura; ed il giovane, per avere contatti col mondo, divorava romanzi di ogni specie, italiani e stranieri, e leggeva giornali e riviste, in cui spesso figuravano firme di autori stranieri, di preferenza russi. Poiché in quel tempo la Russia era di moda.
Ne parlavano le signore intellettuali, ed i giovanotti scapigliati. Il diciottenne solitario ebbe allora un’ispirazione:10inventò da un giorno all’altro uno scrittore russo, Michele Grigorief, al quale cedette prodigalmente la paternità di tutti i suoi scritti; e spedì subito una novella ad una grande, popolare rivista, dove pubblicavano scrittori italiani e stranieri di fama indiscussa.
E nella lettera di accompagnamento spiegava ch’egli aveva tradotto alcune novelle dell’umorista russo Michele Grigorief.
La novella venne, senza troppo ritardo, pubblicata; e dopo qualche settimana il giovane ricevè con gradita sorpresa, un assegno bancario di lire cento quale compenso della sua traduzione. Ne inviò altre a giornali importanti, a riviste note; e tutte indistintamente vennero pubblicate, tanto che il nome dell’inesistente scrittore russo incominciò a crearsi una certa notorietà, tutto a scapito del giovane sconosciuto «traduttore», il quale ebbe agio in quei giorni di sentir elogiare spesso la vena narrativa dello scrittore russo, definito, negli avvisi pubblicitari delle riviste che ospitavano le sue novelle, «grande», « originale», «costruttore geniale di racconti», e via di seguito.
Lo straniero inesistente usurpava tutto quello che spettava al giovane. Il quale, seccato alla fine da tutto ciò, ed anche un poco ingelosito, volle inviare alla rivista, che aveva pubblicato la prima novella del Grigorief, un racconto con la propria firma. Attesa una settimana. Due. Cinque.
Sempre invano. Provò l’esperimento11con altri giornali ed altre riviste. Lo stesso esito.
Ah, dunque si disse in Italia un giovane per poter pubblicare deve camuffarsi da straniero. Esterofilia endemica, dunque. Quel giovane ero io. E sin d’allora ho provato per tale mentalità un forte disgusto.
Su tale argomento anni fa parlò anche Giorgio de Chirico in un lungo articolo di recensione sul mio libro «Antro di Apollo», da me pubblicato nel 1942 e che ebbe i consensi di scrittori e critici seri, tra cui Ardengo Soffici e Raffaele Calzini.
Questa è la semplice storia del mio esordio di scrittore. Le novelle di questo libro, non hanno pretese letterarie: sono scarne, giornalistiche, telegrafiche, tutto fatti, ma hanno, secondo me, una sola virtù: quella di non annoiare.12
Articolo terminato il 25 febbraio 2023
- L’evoluzione della rivista Novella che in pochi anni passa da rivista dei migliori scrittori italiani ad una attenzione sempre maggiore per gli scrittori esteri o presunti tali. ↩
- Pitigrilli, pseudonimo di Dino Segre, è stato uno scrittore, giornalista e aforista italiano. Ebbe un grande successo in Italia nel periodo tra le due guerre mondiali. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 189. ↩
- PROCIDA, barone SAVERIO, critico d’arte del Pungolo di Napoli, prosatore elegante ed arguto. Ha collaborato a notevoli riviste di letteratura e di critica e fondò, con lo Scalinger, il simpatico giornale letterario: Fortunio. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 190. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 191. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 192. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 193. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 194. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 195. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 196. ↩
- Michele Grigorief, Donne Terribili, Edart 1969, pag. 197. ↩