Le sedi delle principali officine di posta a Castellammare di Stabia nell’Ottocento
articolo di Gelda Vollono & Lino Di Capua
Alla memoria del compianto prof. Michele Naclerio,
appassionato cultore e studioso di storia postale prefilatelica
del distretto di Castellammare e dei circondari della provincia di Napoli.
articolo del 26/03/2019
In un’epoca dominata dal telefono e da internet mandare e ricevere un messaggio è una cosa non solo comune e alla portata di tutti ma soprattutto immediata, tanto che fa quasi sorridere, perché antiquato e non al passo coi tempi, pensare di affidarlo ad un foglio di carta da piegare, affrancare ed imbustare. Tuttavia solo in un passato relativamente remoto era una rarità. Infatti perché un messaggio scritto possa esistere debbono sussistere diverse condizioni che nel corso dei secoli si sono sviluppate in maniera graduale. Il primo requisito è che devono essere in molti a saper scrivere e leggere, cosa che per molti paesi europei si è verificato all’inizio del secolo scorso. Se poi guardiamo al nostro paese ed in particolare alle regioni del sud possiamo senz’altro affermare che fino agli anni ’40 del ‘900 la maggioranza della popolazione era del tutto analfabeta, tanto che quello dello scrivano era un vero e proprio mestiere:
la celebre scena di Totò nella parte dello scrivano che riceve un cliente nel film “Miseria e nobiltà” fotografa in maniera crudele ma reale la situazione culturale della Napoli di fine ottocento, rimasta ahimè attuale fin quasi alla prima metà del ‘900. Secondo presupposto è che ci debba essere una distanza tra i due interlocutori tale da giustificare l’invio di una lettera, cosa che si verifica dopo l’unità d’Italia quando la mancanza di lavoro nelle campagne spinge intere popolazioni a cercare lavoro nel nord Europa o addirittura oltre oceano.
Occorre infine che ci sia chi fisicamente porti la lettera a destinazione in maniera comoda, affidabile, economica e soprattutto accessibile a tutti e non solo ad una ristretta elite di persone quali capi di stato, nobili e letterati.
Questi presupposti fino a tutto il Settecento furono patrimonio solamente di una ristretta cerchia di persone, che in genere si servivano di corrieri privati.
Si deve alla Rivoluzione francese, ispirata ai principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, l’aver posto le basi per l’organizzazione di un moderno servizio postale pubblico. Infatti durante il periodo napoleonico, il governo francese, appena instaurato, con decreto del 28 febbraio 1806, affidò la soprintendenza generale della posta, delle lettere e dei cavalli al Ministero della polizia generale.[1]
Successivamente nel regno delle due Sicilie, sotto il governo di Gioacchino Murat, nel 1809, con 4 decreti dell’11 marzo, fu organizzato il servizio postale alle dipendenze del Ministero delle finanze.
Il decreto n. 315 sancì che l’Amministrazione generale delle poste e de’ procacci era da stabilirsi nella città di Napoli e che fosse composta da un direttore generale, da due ispettori, da un segretario generale, e da un cassiere generale, tutti e cinque di regia nomina. Il cassiere, prima di entrare in carica, doveva dare una cauzione di 8.000 ducati, da versare nella cassa d’ ammortizzazione, e il cui interesse gli sarebbe stato pagato dalla detta cassa a ragione del cinque per cento. (art. 3)
Si stabiliscono altresì, per ogni funzionario, compiti, funzioni e responsabilità legati al proprio ruolo. (art. 4-12)
Ancora nei comuni dove il servizio potesse esigerlo ci sarebbe stato:
- una officina di posta amministrata da un direttore particolare, e in caso di necessità anche da un controllore:
- un maestro di posta dei cavalli. (art. 13)
I Direttori particolari e i controllori nelle città capitali delle provincie saranno di regia nomina, mentre nelle altre città e paesi saranno designati dal Ministro delle finanze. I direttori particolari potevano assolvere alla bisogna anche le funzioni di maestro di posta. ( art. 14-16)
Negli art. dal 17 al 23 si stabiliscono i compiti di ciascun addetto e le loro remunerazioni.
Infine si dà una descrizione dettagliata della uniforme che i funzionari e gli impiegati dovranno indossare. Cioè:
- Il direttor generale avrà abito di panno bleu ricamato a pieno in oro ed in argento , conforme al modello.
- Gli ispettori e iI segretario generale avranno abito con lo stesso ricamo del direttore generale, ma soltanto sul collare, nelle paramaniche e nelle saccoccie.
- Il cassiere generale e i direttori delle capitali delle provincie avranno Io stesso ricamo degli ispettori alle paramaniche ed al collare solamente.
- I controllori e i direttori delle città non capitali lo stesso ricamo dei direttori delle capitali ma esso sarà largo un terzo di meno.
- Gli impiegati dell’Amministrazione generale porteranno, secondo
l’ assimilazione che ne farà il Ministro delle finanze , e sulla proposizione del direttor generale, l’uniforme dei direttori e controllori impiegati nelle provincie.
- Tutti questi funzionari ed impiegati avranno una veste ed un calzone bianco con bottone di metallo indorato, ornato delle nostre armi, e colla leggenda “Poste reali delle due Sicilie”; cappello alla francese con una cìappa (fermaglio) in oro ed in argento. Essi avranno la spada , o la sciabola.
- I maestri di posta porteranno un abito di color amaranto con galloni in oro al collare, alle paramaniche, alle sacche ed alle bottoniere del petto. Essi avranno ancora una coronetta ricamata su ciascuna delle due punte del collare.
- I postiglioni e portalettere avranno una veste di panno amaranto con un gallone in oro e sopra il braccio sinistro porteranno il nostro reale.
Restituito il Re in questa parte de’ suoi reali domini, l’Amministrazione generale delle poste ebbe con Real decreto de’25 marzo 1819 l’ organizzazione che segue:
- L’ Amministrazione generale delle poste e dei procacci de’ nostri domini di qua del faro sarà sotto l’immediata ed esclusiva dipendenza del Ministro delle finanze.
- Per ciò che riguarda le nomine dei corrieri di gabinetto, le loro spedizioni ed aggiusti; e tutt’altro che si riferisce a tale servizio per la parte diplomatica, l’ Amministrazione generale delle poste potrà corrispondere col ministro degli affari Esteri.
Gli organi periferici erano Direzioni provinciali stabilite nei capoluoghi di provincia ma anche nei comuni, se il servizio lo richiedeva. Ogni ufficio postale aveva un direttore e, se di una certa importanza, diversi impiegati, serventi e portalettere. Negli uffici minori invece vi era solo un distributore. Per lungo tempo i titolari di uffici e distribuzioni avevano a loro carico tutte le spese, dall’affitto della sede alla paga dell’eventuale sostituto quando era malato. In cambio negli uffici minori vigeva la regola dell’ereditarietà dell’incarico.
Di seguito alcuni articoli del succitato decreto riguardanti le caratteristiche cui dovevano soddisfare dei locali per potere adibirsi ad officina di posta:
“Il Direttore dee scegliere nel cortile della sua abitazione un luogo comodo pel travaglio e di cui l’interno sia inaccessibile al pubblico onde egli sia al coverto di ogni sorpresa di curiosità anche della sua famiglia. Egli dovrà comunicare col pubblico per mezzo di un cancello.[2]”
“All’esterno dell’Officina dee essere un’apertura che abbia comunicazione con una cassa situata al di dentro per ricevere le lettere. L’apertura e la cassa debbono essere costruite in modo che di giorno o di notte ognuno possa depositarvi le lettere con confidenza e sicurezza. La cassa delle lettere dee per la parte di dentro dell’officina essere chiusa a chiave.[3]”
“L’Officina di Posta dee essere situata nel centro della città il più che sarà possibile per comodo del pubblico. È soprattutto necessario che sia situata sul cammino de’ Corrieri acciocché questi non possano aver pretesto di portare e di riceversi i pacchetti dalle Officine delle Poste. All’esterno dell’Officina dee essere un’apertura che abbia comunicazione con una cassa situata al di dentro per ricevere le lettere. L’apertura e la cassa debbono essere costruite in modo che di giorno o di notte ognuno possa depositarvi le lettere con confidenza e sicurezza. La cassa delle lettere dee per la parte di dentro dell’officina essere chiusa a chiave[4]”
Si stabilì un tariffario per i diversi servizi forniti e per i diversi oggetti da spedire. Finalmente si fece una designazione definitiva delle persone, che in vari modi dovevano godere della franchigia delle lettere. Divennero di sempre maggior uso i bolli postali, per controllare la provenienza e la data di partenza e di arrivo (e perciò accertare eventuali errori d’inoltro) e verificare se la tariffa era stata pagata esattamente dal mittente o se restava da incassare qualcosa dal destinatario.
Dopo la restaurazione e il ritorno sul trono del regno di Napoli di Ferdinando IV, con decreto 25 marzo 1819, l’Amministrazione generale delle poste e dei telegrafi fu posta alle dipendenze del Ministero delle finanze, con una Direzione generale residente a Napoli, la quale si componeva di un direttore generale, di un ispettor generale, di un segretario generale, e di un agente contabile. Nelle province il servizio era affidato a Direttori di prima, seconda e terza classe. Le Direzioni stabilite nei capoluoghi di provincia avevano il compito di vigilare sul servizio di posta dell’intera provincia. I comuni dell’interno delle provincie erano serviti da’ cancellieri comunali, per ciò che riguardava la spedizione e la distribuzione delle lettere, secondo il decreto del 10 giugno I817. Il decreto del 26 novembre 1821 confermò la denominazione di Amministrazione generale delle poste e procacci. Riuniti tutti i rami dell’Amministrazione provinciale del Ministero delle finanze con decreto 10 gennaio 1825, il ramo postale e quello delle lotterie costituirono un’eccezione nell’ambito di questa riorganizzazione e pertanto restarono distinti e autonomi. Funzione primaria dell’Amministrazione era quella di sovrintendere al servizio della corrispondenza pubblica e privata, tanto per i reali domini, quanto all’estero. A tal fine, si occupava della preparazione dei cavalli e delle vetture adibite al trasporto della posta e dei viaggiatori, nonché dell’organizzazione del servizio dei procacci, “destinati al trasporto di denaro ed effetti di privati e di fondi della Tesoreria generale spediti dalle province di Napoli. Un direttore generale coordinava il lavoro di un ispettore, di un segretario e di un agente contabile.
Ogni capoluogo di provincia aveva una propria direzione provinciale e, in taluni casi, uffici particolari che organizzavano il servizio a livello locale. Per Napoli e province furono predisposte tre officine (di spedizione e d’arrivo, della francatura e di distribuzione), addette alla spedizione e distribuzione della posta, anche di quella estera, che affluiva a Napoli. Altri due uffici, quello dei procacci e delle vetture corriere, sovrintendevano al lavoro degli agenti in partenza e in arrivo e al servizio viaggiatori.
Nei comuni più piccoli si occupava del servizio il cancelliere comunale. La corrispondenza doveva essere raccolta in pacchi sigillati e contenuta in valige chiuse a chiave. Qualsiasi segno di manomissione veniva accuratamente registrato in un verbale in triplice copia, da spedire all’Amministrazione generale delle poste, all’intendente della provincia e all’ufficio postale da cui il pacco proveniva”[5].
Le tasse di affrancatura furono a carico del destinatario, fino al r.d. del 9 luglio 1857, con cui si istituirono i francobolli per i reali domini di qua del Faro e si dispose che la tassa postale fosse trasferita al mittente. L’uso del francobollo fu reso facoltativo fino al regolamento approvato con reale decreto
del 10 maggio 1859, con il quale fu autorizzata la vendita dei francobolli di qua e di là del Faro. Norme specifiche furono adottate per regolare gli itinerari, il tempo di percorrenza e le tariffe.
Secondo la riorganizzazione dei servizi postali del 1809 Castellammare di Stabia era considerata una direzione di terza classe con un direttore generale e con una sede per i servizi postali a seconda delle esigenze locali. Infatti il compianto professore Michele Naclerio scrive nel suo lavoro sulla prefilatelia “spesso le officine postali venivano aperte e chiuse secondo avvenimenti locali; molte volte si trova il decreto di apertura, ma nessuna corrispondenza bollata da quegli uffici. Nel 1809/1810, ad esempio, risultano istituite le officine di posta di Sorrento ed Agerola, ma non si sono mai trovati bolli prefilatelici di quelle località; anche se lettere di quelle località e altre della zona risultano regolarmente bollate dall’ufficio postale di Castellammare di Stabia” [6].
Da ricerche effettuate presso l’archivio storico le notizie sulle sedi delle officine di posta sono frammentate e incomplete. Sappiamo per esempio che nel 1818 il corriere di posta è un certo Giovanni Battista Pagano per il quale si chiede la sospensione in quanto si ubriaca. In una lettera del 2 giugno 1819 il direttore generale delle poste in Napoli, sig. D’Andrea, chiede all’allora sindaco Catello Giordano di comunicargli la situazione della nuova abitazione dove è stata traslocata l’officina delle poste e se è comoda al pubblico in modo che egli possa darne approvazione.
Questo perché, avendo avuto il direttore delle poste di Castellammare lo sfratto sia dal locale dell’officina che dalla propria abitazione e non essendo riuscito a trovare altro locale idoneo, ha trasferito la sua attività in una stanza della sua nuova abitazione che è vicina a quella del sottintendente.
Il 4 giugno il sindaco cosi risponde: “La stanza utilizzata all’impiego di officina è idonea perché ha un balcone sulla pubblica strada sul quale può essere affissa la tabella per conoscenza al pubblico[7]”.
Da questo scarno carteggio si deduce, che comunque in città doveva esistere una officina di posta certamente di diversi anni antecedente il 1818 e che la sua sede dovesse trovarsi nel centro della città e presumibilmente nella zona alta cioè nei dintorni della piazzetta del Caporivo. Queste nostre deduzione derivano dalla considerazione che i servizi postali dovevano essere a disposizione di un élite di persone e la piazzetta del Caporivo, all’epoca vicina alle casine di delizie, alle ambasciate e agli alberghi, poteva costituirne un luogo ideale.
Il 3 agosto 1840[8] ritroviamo una lettera del sottintendente Conca[9] diretta al sindaco Francesco Del Giudice con la richiesta di trovare nuovi locali da adibire ad officina di posta[10], in quanto è indispensabile che essa sia separata dall’abitazione dell’ufficiale contabile. Si chiede altresì che tali locali siano centrali preferibilmente sulle strade del Gesù o del Duomo e che siano a piano terra.
Il successivo 10 agosto il sindaco risponde che non è stato possibile trovare alcun locale nelle strade suindicate, tuttavia alla via Coppola è stato rinvenuto un basso di proprietà del sig. Pasquale Bonadia che potrebbe essere idoneo allo scopo.
L’undici agosto il sottintendente rifiuta tale soluzione ritenendo che il locale non è idoneo e per il sito e per l’“angustezza”, pertanto si rinnova la richiesta al sindaco di trovare locali più idonei cercando anche in strade diverse da quelle da lui indicate nella prima lettera.
Anche qui purtroppo non si è dato sapere quale fosse la sede dell’officina postale, tuttavia, da un carteggio di poco successivo all’ Unità d’Italia, si apprende che la sede dell’officina di posta è ubicata alla via 2 Caporivo e che la sua gestione è affidata al dir. sig. Gaetano Albano. Pertanto si potrebbe ipotizzare che proprio in questa strada furono allocati i locali della nuova officina di posta di cui si parla nel carteggio del 1840.
Di seguito si riporta un sunto del carteggio degli anni successivi:
- In data 8 aprile1861, il vicesindaco Federico Mosca[11] informa il sig. dir. compartimentale delle poste di Napoli Carlo Vaccheri[12] che il sotto dir. delle poste sig. Avitabile si è impegnato per trovare nuovi locali idonei all’ufficio delle postema senza risultato perché nessun locale è a pianterreno, con due entrate in modo che ad una di essa si possa fissare la cancellata.
- Nello stesso giorno c’è la risposta di ringraziamento ed esortazione a continuare nella ricerca.
- Il giorno successivo il Mosca chiede al Vaccheri l’approvazione affinché, in attesa di trovare locali idonei, l’ufficio delle poste venga provvisoriamente situato in una stanza al primo piano della casa del sig. Avitabile alla Fontana.
- L’undici aprile viene dato il consenso a patto che la gestione del servizio di posta passi dal sig. Albano al sig. Avitabile.
- Il vice sindaco nello stesso giorno redige una relazione nella quale al direttore uscente viene contestata la mancanza di sei ducati e sessanta grani, mancanza che l’Albano giustifica col fatto di aver dovuto costruire una nuova tabella con lo stemma di casa Savoja e di non aver ancora ricevuto il rimborso[13].
La lettera che segue sebbene posteriore a questa di ben 10 anni potrebbe darci indicazioni circa l’ubicazione trovata all’epoca per la nuova sede. Infatti in essa viene espressamente scritto che la sede dell’officina di posta, trovasi a Largo Duomo.
Tale lettera datata 29/03/1871[14] è una petizione all’allora sindaco Francesco De Angelis da parte di alcuni cittadini perché l’ufficio delle poste non venga traslocato, il settembre prossimo, dal largo del duomo dove attualmente trovasi, al Corso Vittorio Emanuele nei locali del sig. Merenghini. Motivano la loro istanza rimarcando il fatto che l’attuale posizione al centro della città è ritenuta più comoda da raggiungere, anche per coloro che non sono del paese, e che la sua vicinanza alla guardia nazionale la rende senza alcun dubbio una sede molto sicura.
Da notare che all’epoca palazzo Merenghini ospitava l’Albergo Imperiale[15].
Il sindaco il 17 maggio, perorando la richiesta dei suoi concittadini, invia una lettera al direttore generale delle poste, che tuttavia il primo giugno in risposta scrive che, avendo stipulato il 15 febbraio regolare contratto col sig. Saverio Scelzo, per la sublocazione di un locale da lui tenuto a pigione dal sig. Pietro Merenghini per uso di ufficio postale, sarebbe un onere troppo grande per l’Amministrazione rescinderlo e inoltre i locali dove attualmente è situato officina di posta non corrispondono più alla bisogna del servizio.
Tuttavia nei mesi successivi si trova un compromesso: la direzione generale approva la rescissione del contratto col sig. Saverio Scelzo, al quale vengono rimborsati anche 3000 lire per acquisto dei mobili, che avrebbero dovuto arredare la nuova officina di posta, e la stipulazione di un nuovo contratto con il sig. Calvanico, proprietario di un magazzino a largo Duomo già in uso come officina di posta, a patto che si faccino dei lavori straordinari per renderlo idoneo. Di conseguenza invia al sindaco la bozza di entrambi i contratti, che dovranno essere sottoscritti da tutte le parti e reinviate allo scrivente perché possano avere l’ approvazione degli organi superiori.
L’undici agosto presso il notaio Giovanni Greco viene stipulato e regolarmente registrato il contratto tra il sig. Ignazio Calvanico e l’Amministrazione delle regie poste. In esso si stabilisce la durata di anni otto a partire dal 9 settembre 1871 e fino all’8 settembre del 1879 per la somma di 400 lire annui da pagarsi in pigioni di 100 lire a trimestre. Inoltre Il 23 settembre il sig. Ignazio Calvanico, a nome del padre Giuseppe, analfabeta, rilascia una ricevuta scritta al Sindaco per 85 lire delle quali 14 lire e 50 centesimi sono serviti per le spese del nuovo contratto di fitto e settanta lire e quarantacinque centesimi per quelle di ristrutturazione del magazzino onde adattarlo all’uso di cui sopra. Nel 1876 il Municipio di Castellammare delibera di affittare alcuni locali posti al pianterreno della Casa comunale alle regie poste, Pertanto si rende necessario trovare una soluzione per rescindere il contratto stipulato con il Calvanico nel 1871 e passato ai suoi eredi nel 1872[16].
Il sette giugno si addiviene ad una transazione mediante la quale il sig. Ignazio Calvanico, in nome suo e in nome degli altri coeredi, in qualità di loro procuratore, accetta di modificare la durata del contratto da anni otto ad anni cinque, con scadenza quindi l’otto settembre del corrente anno, a patto che l’Amministrazione comunale paghi per i rimanenti tre anni la somma di lire 400 annui precedentemente convenuti nel suddetto contratto. Inoltre il sig. Calvanico s’impegna a donare al Comune gli arredi che si trovano nell’officina di posta, compresa la buca delle lettere di marmo con la corrispondente colonnetta di legno al suo interno.
Il 5 agosto del 1876, si ha la delibera da parte della Giunta che approva il contratto con il quale affittare alle regie poste i locali di proprietà della casa comunale.
Il 18 settembre, mediante scrittura privata tra l’assessore Mosca Giuseppe, in rappresentanza del sindaco Catello Rispoli, e Baldassarre De Marco, Capo di Ufficio di seconda classe delle amministrazioni delle poste e titolare dell’ufficio postale di Castellammare, il Comune dà in fitto al De Marco cinque locali, a sinistra dell’ingresso della Casa Comunale, da adibirsi ad uso di ufficio postale per la durata di anni nove, dal 9 settembre 1876 all’8 settembre 1885. La pigione stabilita è di 616,25 lire da pagarsi trimestralmente e posticipati, ad eccezione del primo pagamento, che si dovrà corrispondere alla fine di dicembre e comprenderà i mesi da settembre a tutto dicembre. Le scadenze successive saranno del 30 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 31 dicembre di ogni anno. Si conviene che le spese di ristrutturazione dei locali siano a carico dell’Amministrazione comunale mentre quelle per il trasloco spettino all’Amministrazione delle poste.
Segue elenco dettagliato e dei locali e degli arredi esistenti nell’ufficio di posta con allegata la pianta con la loro destinazione d’uso (figg. 1 e 2).
I locali sono così assegnati: Sala di accettazione, Stanza del Capo d’ufficio, Sala di distribuzione, Stanza degli arrivi e partenze, Retret[17].
All’ingresso è ubicata la sala di accettazione (in fig. 6 col n. 1) alla quale si accede mediante una porta con due serrature e con una vetrina divisa in tre parti con serratura e pomelli di plastina[18]. Due divisioni con rispettivi banconi e lastre metà opache e metà semplici. Un lume a gas a sospensione e una bussola con serratura e pomi di plastina.
La stanza del capufficio ( probabilmente in fig. 6 col n. 7) ha come arredi una bussola con serratura e pomi di plastina, una finestra con persiana corredata di inferriate, cassa per il misuratore del gas con coperchio e lavamani e una lampada a gas.
La sala di distribuzione (in fig.7 col n. 5) ha due scaffali uno mobile e l’altro fisso con vetri e serrature con pomi di ottone, due lumi a gas uno fisso e l’altro mobile con tubo di pergamena, un tavolaccio, due sedie, una cassa di legno fissa per la buca delle lettere con chiavi, una finestra con piccola persiana.
La stanza degli arrivi e partenze (in fig.7 col n. 3), provvista di una finestra, ha come arredi un piccolo tavolino con piano estraibile per la bollatura delle lettere, un piccolo scaffale con nove caselle, due lumi a gas pendenti, un becco a gas e uno scannetto [19] a tre scalini.
Il Retret (in fig.7 col n. 6) ha una finestra per dare luce alla stanza ed è fornito di una bussola al vano d’ingresso, di un sedile del cesso con bacinella all’inglese ed un’altra per orinatoio, di un serbatoio dell’acqua e di un becco per il gas.
I locali adiacenti (in fig.7 coi nn. 2 e 4) sono adibiti al deposito dei vaglia e delle lettere da distribuire ai portalettere. Tali locali forniti di bussola con serratura e pomi di cristallo hanno uno scaffale a 24 scomparti e un ripostiglio a muro con due scansie.
Il contratto è approvato e reso esecutivo con decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 24 novembre 1876, registrato alla Corte dei Conti il 6 dicembre successivo al registro 617 Decreti Finanziari.
Poco prima della scadenza del contratto, in data 29 febbraio 1884, rendendosi necessarie alcune modifiche, si vuole infatti costruire una stanza, da adibire ad ufficio vaglia, ricavandola dall’attuale stanza di distribuzione delle lettere. Il sig. Beniamino Ingenito a tale scopo redige un preventivo ipotizzando un costo di 350 lire.
Il Comune, in considerazione del fatto sta per scadere il contratto di fitto, pur dichiarandosi favorevole a fare eseguire i lavori, concede solamente un contributo di 200 lire, mentre delibera che la rimanente somma resti a carico dell’Amministrazione delle poste.
Il 30 maggio 1884 Il dir. sig. Petrillo scrive al sindaco (Scherillo Nicola) per avere conferma degli accordi presi sui lavori da eseguirsi per l’ampliamento dell’ufficio e per quelli di ristrutturazione : restauri delle mura, pavimento, infissi e simili. Aggiunge inoltre che, fermo restando il contributo del Comune di 200 lire, l’Amministrazione delle poste è disposta ad accollarsi fino alla cifra di 265 lire, i lavori di divisione della stanza.
Non sappiamo se tali lavori furono eseguiti, tuttavia ai primi di marzo dell’anno successivo, il sig. Petrillo scrive di nuovo al sindaco Scherillo per sapere se, prima che egli affronti la spesa per fare dei lavori di modifiche alla buca d’impostazione, intende rinnovare il contratto d’affitto dei locali alla scadenza del prossimo otto settembre.
Presumibilmente il sindaco gli risponde che la giunta è intenzionata a non rinnovare il contratto. Pertanto egli invia una lettera al direttore provinciale delle Poste di Napoli esprimendo la sua preoccupazione perché l’Amministrazione comunale non intende rinnovare il contratto di fitto dei locali siti nel palazzo comunale. Ricevuta la lettera il direttore la invia alla direzione generale di Roma che a sua volta a più riprese scrive al sindaco sollecitandone una risposta. Il 25 marzo, non avendo ricevuta alcuna risposta, sulla base di quanto comunicatogli da Napoli, scrive al sindaco esortandolo a recedere dalla decisione di non rinnovare il contratto di fitto ai locali dell’ufficio postale, vista l’importanza che tale servizio riveste per il pubblico. In alternativa, se ciò non fosse proprio possibile, lo prega di trovare dei locali idonei e il cui fitto non sia di eccessivo aggravio per il bilancio dell’Amministrazione delle poste.
Il 28 marzo arriva la risposta da parte del sindaco che gli conferma che non è possibile il rinnovo perché, per sopravvenute necessità di pubblico servizio, il Comune ha bisogno di occupare altri locali. Pertanto improrogabilmente alla scadenza naturale del contratto le poste devono sgomberare i locali[20].
L’Amministrazione delle poste subito si adopera per trovare locali idonei allo scopo tant’è che già nel mese di aprile comunica al sindaco di volere fittare i locali siti al piano terra del palazzo di proprietà del sig. Luigi Cardone[21], ubicati all’angolo della piazza Vittorio Emanuele e piazza Principe Umberto.
Tuttavia poiché tali locali necessitano di ristrutturazione e di modiche per adeguarli all’uso, si chiede di prorogare di un mese lo sgombero dei vecchi locali.
Ottenuto quanto richiesto si iniziano i lavori che, come spesso accade, prolungandosi oltre il previsto, costringono l’Amministrazione delle poste a chiedere un’ ulteriore dilazione, spostando alla fine di ottobre lo sgombero. Finalmente il tre novembre, trasferito l’ufficio postale nei nuovi locali, il direttore di Napoli sig. Tutino ringrazia con una lettera il Sindaco e la giunta “per la bontà avuta di permettere che l’ufficio stesso fosse rimasto nei locali municipali fino al 31 scorso”.
Sul finire del secolo Il 10 marzo del 1889 con regio decreto n. 5973 le due direzioni generali delle poste e dei telegrafi distaccati dal ministero dei lavori pubblici furono unificati sotto un unico Ministero. Tra gli scopi vi era il risparmio ottenuto dalla fusione fra il servizio postale e quello telegrafico, con economie che potevano derivare dall’ottenere in molti centri un uso promiscuo degli spazi e del personale. A tal fine, nel 1895 si istituì una direzione unica delle poste e telegrafi in ogni capoluogo di provincia.
Per quanto riguarda Castellammare il 1800 si chiude con le informazioni riportate sul quarto di copertina di una guida del 1898[22] che di seguito citiamo integralmente:
Servizio Telegrafico
L’ufficio é sito al Corso Vitt. Emanuele N. 20, 22 e 74.
Orario – Distribuzioni e raccomandazioni dalle ore 8 ant. alle ore 8 pom. – Vaglia e risparmi, dalle ore 8 ant. alle 4 pom. – Servizio pacchi dalle 8 ant. alle 5 pom.
Levata dalle Cassette Succursali, 7ant., 10 ant., 5 pom., 7 p. – Uscita dei Portalettere, 8 e 9,30 ant., 4,30 p., 7,00 p.
ARRIVI – Distribuzioni delle corrispondenze – da Napoli, da Roma ed alta Italia, ore 6 e 8 ant., 1, 4,30, 6,00. pom. Id. Estero 9 ant., 4,30 pom.
PARTENZE – Ore utili per l’impostazione – Per Napoli, ore 8, 10,40 ant.; 1, 2,45, 5,30, 6,30 pom. – Per la bassa Italia, 10,30 ant. – Italia ed Estero, 11 ant., 6,30 e 9 e p.
Servizio Postale
L’Ufficio è sito al Corso Vittorio Emanuele N. 20 e 22.
L’orario ordinario è dalle 7 ant. f.no alla mezzanotte.
Il ricapito dei telegrammi vien fatto con la massima sollecitudine da 4 fattorini – Per i villeggianti che dimorano negli alberghi e nelle casine della collina di Quisisana, vi è un ufficio succursale alla contrada Botteghelle, e propriamente presso l’Hotel Quisisana.
L’orario di detta succursale è dalle 7 ant. alle 9 p. Ma per cortesia di chi la dirige ( come nell’ufficio centrale ) si ricevono e si trasmettono telegrammi anche fuori orario.
Note:
[1] Editto con cui si organizza la Polizia generale
[2] cfr. art. 6
[3] cfr. art. 7
[4] cfr. art. 15
[5] G. LANDI: Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861), Napoli, Giuffrè, 1977.
[6] Naclerio, Michele Storia postale prefilatelica del distretto di Castellammare di Stabia (Torre Annunziata, Capri, Sorrento, Meta, Piano di Sorrento, Massa Lubrense, Vico Equense, Gragnano, Pimonte, Lettere, Agerola, Boscotrecase, Ottaviano) e dei circondari della provincia di Napoli (Torre del Greco, Portici, Casoria, Caivano, Pozzuoli, Ischia, Procida, Marigliano, Nola); bolli postali di Castellammare di Stabia. Castellammare di Stabia N. Longobardi, [2004]
[7] A.S.C.C.S. Busta 80
[8] A.S.C.C.S. Busta 80
[9] Si tratta del principe di Conca D. Carlo Invitti che ricoprì l’incarico di sottintendente di Castellammare per un periodo di 19 anni. La sua morte avvenne il 17 gennaio dell’anno 1841 (da Cronica delle Due Sicilie di C. De Sterlich Napoli tip. Gaetano Nobile, 1841)
[10] All’epoca Castellammare, capoluogo di distretto, era una officina di posta di seconda classe. (Parisi, Catello: Cenno storico-descrittivo della città di Castellammare di Stabia : contenente la sua indicazione, le notizie dell’antica e nuova Stabia, il suo stato attuale ed un’appendice di utili nozioni che la risguardano : da servire di guida ai nazionali ed agli esteri che frequentano questa città Firenze : [s.n.], 1842)
[11] L’allora sindaco in carica era Raffaele Vollono che tuttavia di lì a breve fu sostituito proprio dal suo vice Federico Mosca.
[12] Il 16/09/1860 era stato nominato direttore generale delle poste, ferrovie e telegrafi di Napoli, il barone Gennaro Bellelli. Tuttavia il decreto del 19/03/1861 sopprimeva la direzione delle poste e strade ferrate di Napoli riunendo tutti i servizi postali sotto un’unica direzione ed il barone Bellelli fu messo in aspettativa. La direzione generale di Napoli divenne compartimentale e Carlo Veccheri ne divenne il direttore.
[13] Il decreto dittatoriale n. 13 del 9/09/1860 prescriveva che i sigilli dello Stato, delle pubbliche Amministrazioni e dei pubblici Ufficiali “avranno lo stemma della Real casa di Savoia, con la legenda Vittorio Emanuele II re d’Italia”.
[14] A.S.C.C.S. Busta 80
[15] Alvino, Francesco Viaggio da Napoli a Castellammare con 42 vedute incise all’acqua forte. Napoli stamperia dell’Iride, 1845
[16] A.S.C.C.S. Busta 71
[17] Dall’antico francese vuole intendere una stanza appartata e cioè la ritirata o gabinetto.
[18] Potrebbe essere una specie di celluloide , tuttavia non siamo riusciti a trovarne il significato esatto.
[19] Sgabello.
[20] A.S.C.C.S. Busta 63
[21] N.d.r. Marito della sig.ra Luisa Grosso nipote ed erede dell’Antonino Spagnuolo, primo proprietario del palazzo.
[22] Vedi Stabia e poi … ! Per la villeggiatura Estate – Autunno 1898 in Castellammare di Stabia. CASTELLAMMARE STAB. TIPOGRAFICO ELZEVIRIANO