La sorgente dell’acqua Acetosella

La sorgente dell’acqua Acetosella

a cura del prof. Giuseppe D’Angelo*

Castellammare - Strada Benedetto Brin (inizi del '900)

Castellammare – Strada Benedetto Brin (inizi del ‘900)

E’ l’acqua di cui si ha il più antico riferimento storico. Plinio la definisce dimidia che cioè sta nel mezzo avendo a destra la sorgente dell’acqua Rossa e a sinistra quella dell’acqua Acidula.

A partire dagli antichi romani e fino ai nostri giorni l’uso medico di quest’acqua non si è mai interrotto.

Probabilmente la popolarità del suo uso la si deve molto alla citazione pliniana che la indica come ottimo rimedio contro la calcolosi renale.

Nel XVI secolo troviamo già il suo uso in forma organizzata ad opera dei proprietari della sorgente e dei locali ad essa annessi.

Naturalmente il prelievo avveniva dietro regolare pagamento. Nel secolo scorso esisteva una rudimentale forma di imbottigliamento di quest’acqua la quale, confezionata in barili di legno oppure in otri di creta, veniva trasportata in luoghi lontani.

Nel 1933, con regolare decreto ministeriale1, ne veniva ufficialmente autorizzato l’uso in sito e l’imbottigliamento per essere commercializzata su tutto il territorio nazionale ed estero.

Raimondo De Majo, nel XVIII secolo, così scriveva a proposito dell’acqua Acetosella:

“… quanto nobile dunque, e portentoso sia il preggio dell’acqua Acetosella di promuovere l’uscita agli calcoli, alle arene, ed a’ mucchi arrestati nelle cavità de’ reni, o aggruppati nella vescica con tutta la facilità, e blandura, senza arrecare a questi organi di squisitissimi senso dotati stimolo benché picciolo o fugace, stentarebbe si per certo a credere, se l’esperienza giornalmente non lo addimostrasse…”.

Naturalmente il De Majo, in quanto medico la prescriveva ai suoi pazienti lodandone sempre un benefico effetto e dei risultati clinici incoraggianti.

Il prof. Catalani, agli inizi del 1900, utilizzò l’acqua Acetosella nella sperimentazione clinica su alcuni soggetti patologici concludendo che “…l’acqua Acetosella di Castellammare di Stabia è un’eccellente acqua dietetica…” ed è molto utile “… alla digestione, alla diuresi all’attivamento del ricambio materiale…”.

L’acqua Acetosella è una bicarbonato-calcico-alcalina ed è ricca di anidride carbonica allo stato naturale. Il suo residuo fisso supera di poco il grammo/litro.


Nota:

*A cura del prof. Giuseppe D’Angelo, articolo di Benito Antonio Caccioppoli, tratto da: Castellammare di Stabia luogo d’arte cultura e tradizioni, Eidos editore 1997. Pagg. 239-240.

  1. Il 16 agosto 1933, con decreto governativo n. 189, l’Acqua Acetosella viene ammessa alla libera vendita.
15 agosto 1960 - Lo schianto della funivia del Faito (foto Mimì Paolercio)

La funivia del Faito in quel tragico 15 agosto del 1960

articolo pubblicato ad agosto 2012

articolo di Maurizio Cuomo

( in memoria di Francesco, Luigi, Alberto e Costanzo )

Negli anni ’40, viene completato lo studio di una funivia che, partendo dalla stazione di Castellammare Centro, potesse raggiungere alla quota di 1100 m il Monte Faito, dove stava per sorgere, per iniziativa delle stesse S.F.S.M. (Strade Ferrate Secondarie Meridionali), un’importante stazione di soggiorno. L’ambizioso progetto, accantonato per il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale, venne poi ripreso alla fine degli eventi bellici, nei cosiddetti “anni della ricostruzione”.

Stazione funivia del Faito (coll. Walter Raimondi)

Stazione funivia del Faito (coll. Walter Raimondi)

Sull’onda dell’entusiasmo, di questi anni, la Circumvesuviana diede inizio alla costruzione della funivia per il monte Faito, importantissima via di collegamento tra Castellammare di Stabia ed il nascente villaggio montano del Faito. I lavori iniziati sul finire degli anni ’40, terminarono ben presto ed il 24 agosto del 1952, venne inaugurato l’impianto con la prima corsa ufficiale. Era nata la funivia del Faito, dalla quale, sorvolando rasenti e quasi immersi nella lussureggiante vegetazione del Faito, si potevano contemplare le bellezze del Golfo, un mezzo innovativo di trasporto,  che diede nuovo impulso alle mete turistiche e alle gite del fine settimana. L’eccezionale novità, fece in modo che negli anni a seguire si verificò un vero e proprio successo: gli avventori incuriositi ed affascinati dal moderno mezzo, accorsero in gran numero, fino a rendere il Faito, celebre per la frescura e l’intrinseca salubrità dell’aria.

L’armonia di questi anni, felici e spensierati, fatti di gite, escursioni e pic-nic, per i quali si verificava in ogni fine settimana estivo, una vera e propria transumanza di interi nuclei famigliari, fu però, interrotta bruscamente dalla tragedia occorsa il 15 agosto del 1960. Continua a leggere

Attacco al Monarca

a cura di Gaetano Fontana

Attacco al Monarca (coll. G. Fontana)

Il Veloce ed il Monarca (coll. G. Fontana)

Sono passati circa 150 anni da quando il porto di Castellammare la notte tra il 13 ed il 14 agosto 1860 è stato teatro dell’unica battaglia navale tenuta dai garibaldini durante la Spedizione dei Mille.
Vi chiederete perché fu “l’unica”. La risposta è molto semplice: le navi a disposizione di Garibaldi erano poche. Il “Piemonte”, ormai vuoto, fu devastato dai colpi di cannone ed andò in secca. Il giorno 12 maggio 1860, lo “Stromboli” lo prese a rimorchio e lo portò prima a Palermo e poi a Napoli ove, restò inutilizzato nella darsena militare. Successivamente passò alla Marina Sarda.
Il “Lombardo” ebbe una differente storia. Restò in secca, semi affondato, a Marsala fino all’11 luglio 1860 finché, un certo Napoleone Santocanale, provvide al recupero utilizzando duecento operai e ben trenta pompe. Rimorchiato a Palermo fu iscritto nella Marina da Guerra Sarda.
Da qui l’esigenza di Garibaldi di riorganizzare la sua flotta seguendo il consiglio di Carlo Pellion Conte di Persano che diceva: “le navi Borboniche conviene pigliarsele e non distruggerle”. Continua a leggere

Cattedrale

La Cattedrale di Castellammare di Stabia

articolo pubblicato il 22 novembre 2015

articolo del prof. Giuseppe D’Angelo

( testo tratto da “Rivivi la Città” )

In seguito al terremoto del 1456 che sconvolse il napoletano, la Cattedrale, sita al Quartuccio, era rimasta fortemente lesionata e sin d’allora si pensò ad una riedificazione delle fondamenta. Dopo numerosi tentativi incompiuti, nell’anno 1581 il vescovo stabiese mons. Ludovico Maiorano di Gravina risolse il problema cattedrale: tre anni dopo vendette quell’antica sita al Castello per investirne il ricavato nell’edificazione di una nuova. E in effetti, con delibera comunale del febbraio 1587, la Città ne decise la riedificazione, eleggendo all’uopo una commissione comunale.

La Cattedrale (opera del prof. Stefano Buonocore)

La Cattedrale (opera del prof. Stefano Buonocore)

Il Vescovo pose la prima pietra A dì 22 de novembre 1587. La costruzione procedette lentamente. Nell’anno 1643, può considerarsi virtualmente terminata; tanto è vero che la città concesse cappelle gentilizie a varie famiglie. La nuova cattedrale fu costruita sullo stesso sito della precedente, perché quella fu diruta… per farsi la nova forma della chiesa.

Nel 1668 vi fu istallato anche il nuovo organo, a destra dell’altare maggiore, ma mancava ancora di atrio, costruito nel 1713 a spese della città. Tale atrio “poggiato sopra quattro pilastri, che reggono tre archi, e dietro a questi appoggiate tre lamie a vela”, dopo una cinquantina d’anni, rischiando il crollo, fu costruito ex novo nel 1774.

Dopo la costruzione dell’Atrio e dell’Altare Maggiore, l’amministrazione comunale decise anche, nel 1774, la rifazione dell’antico campanile. Ma il vescovo si oppose perché avrebbe dovuto cedere dieci palmi di terreno. Dopo varie polemiche, anche con l’intervento del re, nel 1782 la città decise di ricostruirlo su suolo comunale, ove è al presente, per una spesa complessiva di 7323 ducati.

Fino al 1875 la cattedrale non subirà ulteriori interventi radicali. Nel 1880 viene recuperato dal monastero della Pace l’antico Coro ligneo e sistemato nell’abside, ove è tuttora. In tale anno inizia anche la costruzione della nuova cappella di S. Catello. Tutti i lavori avranno termine nel 1893, tanto che il 13 agosto il vescovo Sarnelli consacrerà solennemente la cattedrale.

All’interno si possono ammirare tele di Giuseppe Bonito, Nunzio Rossi, Lanfranco, lo Spagnoletto, sculture di Jerace, splendidi pastori del settecento napoletano a grandezza naturale.


N.B.: per eventuali ulteriori approfondimenti, si rimanda ad uno studio ben articolato ed esaustivo dal titolo “Il Duomo stabiese”, del prof. Giuseppe D’Angelo, pubblicato su www.gdangelo.it.

Dieci figli – I delfini

Premessa dell’autore

Il brano che segue è il primo capitolo tratto da un libro ambientato a Castellammare di Stabia tra gli anni ’50 e ’80, da me scritto e pubblicato nel 2021. Oltre agli aneddoti in esso contenuti, l’intento è quello di ritrarre gli ambienti della città in quell’epoca, di raccontare alcuni scorci di vita quotidiana e di evidenziare i valori che la caratterizzavano.

Eduardo Di Gioia

Dieci Figli - Eduardo Di Gioia

Dieci Figli – Eduardo Di Gioia

CAPITOLO 1

I delfini

Tratto dal libro “DIECI FIGLI” di Eduardo Di Gioia

Erano le estati degli anni cinquanta e al porto dell’acqua della Madonna si assisteva ogni giorno ad un insolito spettacolo corale. Le vicine terme stabiane attiravano centinaia di turisti, ’e furastiéri, provenienti dalle zone dell’entroterra campano e dalla Puglia, per beneficiare delle terapeutiche sorgenti di acque naturali che convogliavano nella città. Le cure termali sembravano predisporre i visitatori ad ulteriori svaghi, così quando venivano a rinfrescarsi bevendo l’acqua della Madonna alla fonte, si trattenevano per godere delle attrazioni del luogo.

Noi stabiesi eravamo bravissimi ad inventare attrazioni: c’era ad esempio chi, per guadagnare qualche lira, si arrampicava su un traliccio altissimo per poi tuffarsi, sparire nelle acque del porto e riapparire più al largo tra gli applausi degli spettatori; qualcuno, invece, si immergeva a ridosso della banchina scomparendo nei fondali e riemergeva dopo due, a volte tre minuti suscitando lo stupore del pubblico, ma riuscendo in realtà in quell’impresa solo nascondendosi, per buona parte del tempo dell’immersione, dietro qualche gozzo ormeggiato. Accadeva anche che una nave da poco varata, appena visibile sul pontile più lontano del porticciolo, “diventasse” la nave del re e venisse con quell’appellativo annunciata con voce stentorea dal barcaiolo traghettatore il quale, con un richiamo accattivante, attirava a sé l’attenzione dei turisti termali allo scopo di far loro visitare la “storica” nave. Continua a leggere