Roberto Bracco a Piero Girace

Roberto Bracco a Piero Girace

di Giuseppe Zingone

Roberto Bracco

Roberto Bracco nacque a Napoli, il 10 novembre 1861. È stato un giornalista, scrittore e drammaturgo italiano, deputato del Regno d’Italia dal 24 maggio 1924 al 9 novembre 1926.
Fu giornalista per il Corriere del mattino, per il Capitan Fracassa (con l’alias Baby), il Piccolo. Successivamente Matilde Serao ed Eduardo Scarfoglio lo convinsero a collaborare per il Corriere di Napoli (in qualità di critico teatrale e musicale) e sempre con loro a Il Mattino.

Roberto Bracco fu tra i più insigni personaggi della cultura partenopea del suo tempo, profondamente legato in amicizia con Salvatore di Giacomo (Leggi anche: Olga Ossani).
Uomo di cultura straordinaria, convinto e strenuo sostenitore delle proprie idee fino alla morte, fu insieme a Benedetto Croce nel 1925, tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Questo suo schierarsi apertamente, gli costò tantissimo, le sue opere sia commedie che drammi, furono vietate dal regime, la sua vita ne fu stravolta e devastata; forte fu lo scontro con Luigi Pirandello che quasi in contrapposizione a Bracco aderì al manifesto degli intellettuali fascisti.
Odiato dal regime di Mussolini, il suo nome fu in seguito usato (come spesso è capitato nella storia della Repubblica) quale “modello ed emblema dell’antifascismo” una politica barbara quella del dopoguerra e idee politiche faziose si servirono spesso del suo nome per poi dimenticarlo. Roberto Bracco è, oggi, noto solo agli addetti ai lavori del teatro, che continuano a far rivivere le sue opere, ma, ahimé…, sconosciuto ai più.

Il ritrovamento di questa lettera scritta di suo pugno ora nelle mie mani, era indirizzata a Piero Girace. Bisognava salvarla in un articolo, per quel concetto del non dimenticare che appartiene a Liberoricercatore. Questo speciale documento mi ha inevitabilmente commosso.

Lettera Roberto Bracco a Piero Girace, busta1

Un breve collocazione storica della lettera:

Nel 1931 il giornalista Ugo Cafiero scrive una introduzione al libro di poesie di Piero Girace dal titolo, La Fontana di pietra.2Una di queste copie, attraverso il Cafiero giunse in dono a Roberto Bracco. Inoltre Piero Girace, citò il noto giornalista Roberto Bracco, nel suo, Le Acque e il Maestrale, anno di pubblicazione 1937, nel racconto dal titolo, Villeggiature di altri tempi.

“Ma non è giunta nemmeno a metà strada che ella (Olga Ossani) s’imbatte in due giovani, in «paglietta» ed abito bianco di lino, collettone duro e cravatta fantasia. I quali vengono da Napoli, ed hanno fatto un viaggio disagevole e lungo, con l’affannosa vaporiera, che durante tutto il percorso ha strillato agli alberi della campagna ed ai paesotti della linea un saluto pettegolo e vanitoso. Tutto ciò hanno sopportato per bere un bicchiere di acqua minerale delle Terme, e per stare un po’ insieme con la collega scrittrice Febea.

Questi due giovani si chiamano, l’uno Salvatore di Giacomo, l’altro Roberto Bracco. Hanno tutti e due già un nome.

L’uno per molte canzoni e sonetti, di una potente plasticità, di cui si dice un gran bene, e l’altro per certe commedie, umanissime, piene di sentimento, le quali hanno riportato successi strepitosi nei teatri italiani“.3

Lettera Roberto Bracco a Piero Girace

Qui la lettera di stima e ringraziamento di Roberto Bracco:

Napoli, 20 dic. 1932
Egregio Piero Girace,
le sono veramente grato d’aver voluto
offrirmi, con una così bella dedica, le
sue liriche. E’ dolce al mio vecchio cuore
il ricordo deferente di giovani
artisti nobilissimi come Lei tra
l’ostentato oblio di cui oggi sono circondato nel mio Paese…
Aggiungo – quantunque io non creda
che ciò possa avere importanza
per Lei – che queste sue liriche ho
molto ammirate, come ho ammirata
la fervida prefazione di Ugo
Cafiero, prescindendo dai riferimenti
che non mi sono parsi opportuni
e che ho attribuito alla irresistibile
suggestione della insistenza di motivi
dei quali l’atmosfera è pregna.
Augurandole cordialmente degna
fortuna le stringo la mano.

Suo
Roberto Bracco

Roberto Bracco, firma

Un fatto poco noto, svelato recentemente dal libro di Pasquale Iaccio,4fa luce sulla qualità umana del drammaturgo napoletano, soprattutto in termini di dignità, stile e senso dell’onore. Quando, nel 1937, l’anziano Bracco versava in cattive condizioni di salute e di forte indigenza, Emma Gramatica (attrice delle sue pièce) chiese per lui al ministro della Cultura Dino Alfieri di aiutarlo finanziariamente, al fine di «trovare un modo pietoso per alleviare la vita che si spegne di quest’uomo di ingegno che ha avuto gravi torti ma non ha mai fatto nulla di male, e se non ha tentato nulla per superare i suoi errori non è stato per orgoglio ma per dignitoso silenzio temendo di essere mal giudicato». Mussolini dispose d’urgenza che l’aiuto gli fosse concesso e l’assegno fu recapitato da Alfieri alla Gramatica. Ma Bracco, messo al corrente dell’iniziativa dell’amica, non accettò il sussidio. L’attrice fu costretta a restituire la somma, accompagnata da una lettera dello stesso Bracco al ministro Alfieri: «Eccellenza, per una serie di circostanze che sarebbe qui inutile precisare, mi è pervenuto con molto ritardo lo chèque di Lire diecimila da Lei inviatomi. (…) Una profonda e benefica commozione ha prodotto in me l’atto generoso da Lei compiuto con eleganza di gran signore e con una squisita riservatezza, in cui ho ben sentito la bontà e la comprensione di chi amorosamente e validamente vigila le sorti della famiglia artistica italiana. Ma la commozione profonda e benefica non deve far tacere la mia coscienza di galantuomo, la quale mi avverte che quel denaro non mi spetta».

Roberto Bracco si spense a Sorrento, accudito dalla moglie, il 20 Aprile 1943.

Leggi gli altri scritti di Piero Girace.

Articolo terminato il 14 marzo 2023


 

  1. La lettera di ringraziamento di Roberto Bracco a Piero Girace fu spedita da Napoli la notte tra il 20-21, Dicembre del 1932, (con la seguente dicitura): Spedisce: Roberto Bracco, via Santa Teresella degli Spagnoli 28 Napoli. La stessa giunse a Castellammare il 21 dicembre del 1932, così sulla busta, A Piero Girace Castellammare di Stabia (presso la Tipografia L.anzaro). Ricordiamo che la tipografia di Florindo Lanzaro aveva sede in via Coppola, numero 33.
  2. Piero Girace, La fontana di pietra, Editrice la biblioteca fascista 1931.
  3. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, Arti grafiche Sav 1961, pag. 132-133.
  4. Pasquale Iaccio, Un intellettuale intransigente: il fascismo e Roberto Bracco, Napoli, Guida, 1992.
Don Vincenzo Gargiulo

Il Canonico Don Vincenzo Gargiulo

Il Canonico Don Vincenzo Gargiulo

a cura di Giuseppe Zingone 

Don Vincenzo Gargiulo

Don Vincenzo Gargiulo

Sin da tempi antichissimi l’uomo ha cercato di proiettare il suo operato nell’avvenire e numerose sono le testimonianze a riguardo, dalle pitture nelle caverne alle piramidi, dalle opere d’arte alla scoperta dell’universo.
L’essere umano dunque sente questo impulso naturale verso il futuro, ma spesso il tentativo “di passare alla storia” è stato anche frutto di tragedie immani come le guerre.
Nella vita comune di ogni uomo c’è dunque lo sforzo di lasciare traccia di sé, basta guardare le tracce sui muri di ogni città, il bisogno di dire ciò che altri non hanno detto, di compiere gesta in cui nessuno si è ancora cimentato: ed ecco che alcuni decidono di adoperarsi per essere ricordati, dunque con un fine ben preciso di appagamento individuale; mentre altri si donano gratuitamente, spendono la loro vita per un valore più elevato, uno scopo che non ha come obiettivo il riconoscimento personale immediato.
È proprio per questo che vogliamo parlarvi di uno stabiese che in un momento difficilissimo della nostra storia nazionale diede il meglio di sé stesso dedicando la propria vita agli ultimi, ai poveri, ai diseredati, ai bisognosi. Quest’uomo è Don Vincenzo Gargiulo.

Ecco alcuni punti per meglio definire il contesto in cui dovette lavorare l’emerito canonico stabiese. Il milleottocento è un secolo straordinario, ricco di cambiamenti non solo politici, ma soprattutto sociali e tecnologici, è il secolo dei cambiamenti dovuti alla Rivoluzione Industriale. Un tempo difficile invece per la Chiesa Cattolica, tutti i suoi beni con l’unità d’Italia vengono incamerati dal nuovo stato, molti monasteri e diverse congregazioni religiose vengono soppresse, molti vescovi vengono mandati in esilio, come accadde per Mons. Francesco Saverio Petagna, vescovo di Castellammare di Stabia ai tempi del Gargiulo. Riportiamo a seguire il contenuto presente sul sito delle Suore Francescane Alcantarine (www.alcantarine.org) per la concisa e chiara biografia e una analisi della situazione della città di Castellammare di Stabia a metà Ottocento:

Libro XI Battezzati anno 1832-36 pag. 122 n.1 - Parrocchia dello Spirito Santo

Libro XI Battezzati anno 1832-36 pag. 122 n.1 – Parrocchia dello Spirito Santo

“Vincenzo Gargiulo nasce a Castellammare di Stabia, il 2 agosto 1834, decimo figlio di Catello e Maria Laura De Angelis. Continua a leggere

Edit. E. Ragozino, Napoli - 3536 - La stazione ferroviaria

Il rione di piazza Ferrovia

Il rione di piazza Ferrovia
( a cura del prof. Giuseppe D’Angelo, testo tratto da: “Rivivi la Città” )
Edit. E. Ragozino, Napoli - 3536 - La stazione ferroviaria

Edit. E. Ragozino, Napoli
3536 – La stazione ferroviaria (coll. Carlo Vingiani)

Il 31 luglio del 1842 viene inaugurato il tratto ferroviario Napoli-Castellammare. Questo avvenimento favorì e determinò il primo vero sviluppo industriale ed urbanistico della zona del rione Spiaggia. In origine questo luogo era abitato da sparse casette di pescatori che operavano tra la foce del Sarno e la costa. Con l’apertura della linea ferroviaria, essa divenne il punto di carico e scarico di tutte le merci provenienti dall’interno, sin dalla Calabria e la Puglia. Difatti, all’epoca esistevano solo reti stradali, poco comode e mal tenute, al cui confronto la moderna linea ferroviaria Napoli-Castellammare dovette sembrare quanto di più comodo, moderno e veloce il secolo scorso potesse offrire. Su questo luogo, così, sorsero molti depositi e varie industrie, mentre le famiglie di pescatori, che qui abitavano, ben presto si trasformarono in famiglie di operai. Fino al 1876, poi, al posto dell’attuale Piazza della Ferrovia esisteva una piccola strada, poiché tutta l’area di fronte alla Stazione era di proprietà della fabbrica di Cuoi del francese Francesco Bonnet, poi della famiglia Jammy, fabbrica istituita in Castellammare sin dal 30 agosto 1809.

Nel 1876, appunto, il Comune, per rendere più elegante, accogliente e razionale tale luogo, decise la costruzione di una piazza, convenendo con i fratelli Jammy, eredi di Bonnet, la cessione di parte del suolo. La piazza fu consegnata al Comune l’11 gennaio 1877. Continua a leggere

Bar Umberto

articolo del dott. Tullio Pesola

In via Brin, sull’ampio marciapiede di fronte all’attuale Farmacia “San Ciro” (un tempo nota come Farmacia “Del Gaudio”, ubicata, però, all’inizio di via Santa Caterina), si apriva un lussuoso punto di ristoro. Infatti, se il Centro della nostra Città riceveva lustro dal “Bar Mosca” o dal “Gran Caffè Napoli”, la Periferia veniva impreziosita dalla presenza del “Bar Umberto”.

L'ingresso del Bar Umberto era ubicato dove ora vi il barbiere

L’ingresso del Bar Umberto era ubicato dove ora vi il barbiere

Si trattava di una elegante struttura con architettura in stile liberty. Con le sue bellissime decorazioni e stucchi, rimasti assolutamente intatti nonostante il secondo conflitto mondiale, era un importante luogo di ritrovo dove potersi fermare per gustare una ineguagliabile tazzina di caffè, intrattenersi ai tavoli con qualche amico con cui dissertare di sport o di politica, o dilettarsi al gioco del biliardo. Titolare di questo Gran Bar, che tra l’altro gestiva di persona, era ‘Onna Puppinella,  una donna forte di carattere, che non si fermava certo alle prime difficoltà, ma andava avanti con grande caparbietà. Svolgeva con determinazione la sua attività, animata da grande fiducia in se stessa, che le dava il coraggio di affrontare al meglio ogni situazione. Ella sapeva interpretare le aspettative dei clienti e capiva eventuali situazioni che richiedessero azioni di immediato intervento. Sapeva ascoltare, sapeva consigliare, sapeva diventare confidente per il cliente abituale, sia che avesse voglia di scherzare o che invece avesse bisogno di una parola di conforto, qualora lo stato d’animo dello stesso lo richiedesse in quel determinato momento. Tutta questa sicurezza, però, non le impediva di possedere anche una spiccata vena autoironica. Sapeva ridere di se stessa e riusciva a prendere la vita con la giusta dose di ironia. Continua a leggere

Antico santuario di San Michele Arcangelo al Monte Sant'Angelo a Tre Pizzi.

San Catello e il tempio al monte Aureo

articolo di Maurizio Cuomo

Leggenda vuole che ritiratisi in preghiera nella quiete di una grotta sulle alture del monte Aureo (così nel Medioevo era appellato l’odierno “monte Faito”), in una notte buia, il vescovo Catello e l’abate Antonino ebbero la celeste visione dell’Arcangelo Michele, che ordinò loro di edificare un tempietto sulla cima del monte, laddove si vedeva ardere un grosso cero; i religiosi ubbidirono con assoluta devozione ed in breve edificarono sulla designata cima del monte (oggi monte Sant’Angelo, quota 1444 metri), un tempietto in legno in onore di San Michele Arcangelo, una piccola dimora consacrata a Dio ove giornalmente veniva officiata la Santa Messa.

San Catello: apparizione nella grotta

San Catello: apparizione nella grotta

Tutto volse per il meglio, fin quanto proprio per la sua condotta eremitica, il vescovo Catello fu vittima di una inattesa calunnia, con la quale lo si accusava di aver trascurato e abbandonato i fedeli e la sua chiesa. Il vescovo fu così sospeso e condotto prigioniero nelle carceri di Roma, perché giudicato colpevole da Papa Pelagio II.

Catello, uomo di straordinaria fede, si chiuse in contemplazione e in preghiera, e accolse la momentanea ingiusta decisione con ammirevole spirito di sopportazione. Stretto in continua meditazione ed ispirato da illuminazione divina, l’incarcerato Catello predisse al diacono suo temporaneo custode di cella che in un futuro non lontano, egli da carceriere, sarebbe stato elevato a pontefice, ma tale affermazione pur sortendo nel diacono sorpresa e perplessità, fu ben presto dimenticata. Alla morte di Papa Pelagio II (anno 590), la predizione fatta tempo addietro nelle carceri, ebbe ad avverarsi: il diacono carceriere di Catello, fu realmente eletto Papa con il nome di Gregorio Magno.
In seguito alle rivelazioni avute in sogno da un monaco benedettino (presumibilmente Sant’Antonino), Papa Gregorio Magno, novello Papa, ebbe in ricordo la predizione di Catello (fatta nelle carceri), e mosso a commozione lo riconobbe innocente. Finalmente scarcerato, Catello fu accolto festosamente dal popolo stabiese per essere immediatamente reintegrato a pieno diritto con la carica di vescovo di Stabia. Continua a leggere