Tore e Criscienzo

Il Teatro dei pupi

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Breve premessa dell’autore:
Caro Maurizio, ieri sera mi stavo deliziando leggendo qualcosa di Ferdinando Russo quando mi sono imbattuto nel suo poemetto “’O cantastorie”. Parla dei personaggi o per meglio dire degli eroi del Teatro dei pupi. E i versi che seguono mi hanno portato indietro nel tempo quando, poco più che bambino, andavo a vedere questi spettacoli.
 Il Teatro dei pupi:
Ecco linardo in campo! Il palatino!
‘O palatino ‘e Francia cchiù putente!
Teneve nu cavallo, Vigliantino,
ca se magnava pè gramigna a gente!Comme veveva,neh! Na votta ‘e vino,
na votta sana, ‘un le faceva niente!
Nu surzo sulo, nu varrillo chino!
E se magnava ‘e zeppole vullente!Po’ teneva na spata, Durlindana!
Uh figlio ‘e Dio, e che poc’ ‘ammuina!
Se sape! ‘A maniava chella mana!Na notte, pe’ passà d’ ‘a Francia a’ Spagna,
chisto Linardo, neh, che te combina?
Caccia sta spata e taglia na montagna! 

Nella zona di Castellammare dove abitavo, (e siamo a cavallo degli anni del 1930) il teatrino si trovava di fianco alla discesa del vicolo del pesce, a sinistra per andare verso l’Acqua della Madonna partendo dalla Piazza dell’Orologio. Lì c’era un piccolo slargo in un angolo del quale vi era un locale, un “basso”, abbastanza angusto, con poca aria che proveniva soltanto dal portone d’entrata. In questo piccolo ambiente gli spettatori si accalcavano su sedie e panconi scricchiolanti. Accanto a questo locale vi era il chiosco dell’acquaiolo dove si vendevano granite, gelati, gazzose, lupini, fette di “melloni” e qualche volta anche ‘o pere e ‘o musso.

”Tore ‘e Criscienzo”, pupo napoletano del maestro Lucio Corelli.

”Tore ‘e Criscienzo”, pupo napoletano del maestro Lucio Corelli.

Le granite venivano ricavate grattando, con un attrezzo simile a una piccola pialla, un “pane” di ghiaccio lungo circa un metro e mezzo di sezione quadrata di 20×20 cm.
Il ghiaccio così tritato veniva messo in un bicchiere sul quale poi ci si versava il gusto che il cliente chiedeva: limone, fragola, menta, ecc.
Le gazzose si vendevano in bottigliette la cui chiusura era rappresentata da una sfera di vetro contenuta nel collo sagomato. Con un dito messo nel imbocco della bottiglia si spingeva in basso la pallina e l’acqua… frizzava. Continua a leggere

Banco di Santa Croce (foto Andrea Di Pietro)

Il Dattero di mare

articolo di Ferdinando Fontanella

Banco di Santa Croce (foto Andrea Di Pietro)

Banco di Santa Croce (foto Andrea Di Pietro)

Il primo incontro col Dattero di mare avvenne una estate di molti anni fa, alla spiaggia di Pozzano a Castellammare di Stabia. Quella mattina mi ero alzato all’alba per andare al mare con mio padre. Al nostro arrivo la spiaggia era ancora deserta fatta eccezione per un unico bagnante, in verità più che un bagnate questo bizzarro personaggio sembrava uno scultore folle, munito di martello e scalpello era intento a lavorare una grossa roccia che poco prima aveva faticosamente trasportato a terra dal mare. Il ritmico picchiare del martello sullo scalpello era di tanto in tanto interrotto da una misteriosa manovra, lo “scultore” con una lunga pinzetta estraeva dalla roccia frantumata qualcosa di scuro e affusolato che riponeva con cura in un secchio vicino. Incuriosito ricordo di essermi avvicinato e con grande meraviglia ho notato che quella roccia, per i tanti fori che la crivellavano, sembrava un’enorme fetta di Emmental. Nel secchio invece erano ammassati svariati “frutti” molto simili ai grossi e dolci datteri che si mangiano nel periodo natalizio. Vedendomi così stupito mio padre mi spiegò che quelli che io avevo visto erano si dei frutti, ma di mare, erano Datteri di mare, dalle nostre parti meglio conosciuti come  ‘e cannulicchie ‘e scoglio. Continua a leggere

Le corone cesellate da mio nonno Michele Filosa

Le corone della statua della Madonna del Carmine

( a cura di Massimiliano Greco ) 

La Madonna del Carmine portata a spalla

La Madonna del Carmine portata a spalla

Sul culto della Madonna del Carmine e sulla statua custodita nella chiesa del Gesù, hanno già scritto importanti studiosi. Nell’ottantesimo anniversario dell’incoronazione, vorrei condividere con gli amici di liberoricercatore.it i ricordi di mia madre relativi alla realizzazione delle corone, cesellate da suo padre Michele Filosa, orafo nonché tecnico di precisione del Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia. Mio nonno che all’epoca abitava in via Nuova, ricevette l’incarico da Mons. Pandolfi e fu preferito a diversi orafi napoletani e milanesi, probabilmente anche per una questione di natura economica.

Le corone cesellate da mio nonno Michele Filosa

Particolare delle corone cesellate da mio nonno Michele Filosa, orafo nonché tecnico di precisione del Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia

La raccolta e la fusione dell’oro fu fatta lungo la calata via Gesù dove, con un furgoncino, fu trasportata l’attrezzatura necessaria. Era il 24 maggio del 1933. L’oro fu raccolto grazie alla generosità della popolazione: chi donava un anello, chi un paio di orecchini, chi altri oggetti preziosi.
Mio nonno, aiutato dal figlio Mario che anni dopo ebbe il laboratorio in piazzetta Quartuccio, asportava le pietre e metteva il metallo prezioso nel crogiolo per ricavare i lingotti che in seguito sarebbero serviti per realizzare le corone, su disegno dell’architetto Giuseppe Pandolfi, fratello del prelato. Questi, pur abitando di fronte all’abitazione di mio nonno e nonostante gli facesse visita spesso e volentieri per verificare lo stato dei lavori, amava ammirare le fasi della lavorazione per mezzo di un cannocchiale per cui mio nonno, a richiesta, doveva posizionare i manufatti in modo tale che questi potesse guardarli da casa sua.
Mia madre, unica ancora in vita della numerosa famiglia, ricorda che fu un lavoro massacrante visti i tempi richiesti per la consegna. Il fratello, che all’epoca aveva poco più di vent’anni, per alleviare il dolore alla schiena dovuto alle ore passate curvo sul banco a lavorare di traforo, era costretto a dormire sul pavimento. A lavoro ultimato, ricevettero la visita di tutti i sacerdoti di Castellammare, una vera e propria processione.

Statua della Madonna del Carmine

Essendo avanzate diverse pietre preziose, Mons. Pandolfi pensò di donarle a mio nonno. “Don Michele, disse, voi avete una famiglia numerosa”.
E lui di rimando: “Monsignore, vi ringrazio per il pensiero, ma queste pietre appartengono alla Madonna!”.
Prima dell’incoronazione, avvenuta il 16 luglio del 1933, le corone furono esposte al pubblico nelle vetrine del bar D’Arco che si trovava proprio di fronte alla chiesa del Gesù.
Oggi, per ovvi motivi di sicurezza, le corone sono gelosamente custodite e vengono esposte soltanto in particolari occasioni.

L’estate dei pittori

L’estate dei pittori

a cura di Giuseppe Zingone

Il pittore Vincenzo Migliaro, tra Piero Girace ed un giovanissimo Antonio Asturi, alle Terme di Castellammare

Sarà il caldo afoso di queste ore, ma questo racconto di Piero Girace, scritto così bene si addice proprio a questi giorni d’estate. In particolare l’Acqua e il Maestrale è un volume meraviglioso, una dedica alla sua città di nascita Castellammare di Stabia. Il giornalista stabiese ci racconta minuziosamente una gara di pittura che si svolse a Castellammare di cui egli stesso fu, co-artefice. Un evento che vorremmo rivedere oggi, con i nostri occhi, mentre siamo costretti ad accontentarci di rileggerlo qui e riportarlo in vita per il semplice piacere dei nostri lettori. Ahimé, quanto mi mancano le Terme con le sue acque!

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‘E stufe a rena

‘E stufe a rena
di Ferdinando Fontanella

Il naturalista stabiese Ferdinando Fontanella scrive di suo nonno, lo scritto, racconta in modo semplice e veritiero uno spaccato di vita stabiese.

Il Lungomare con la sabbia Vulcanica

Il Lungomare con la sabbia Vulcanica (coll. Catello Coppola)

Peccato per tutte quelle erbacce e quella immondizia, adesso che questa spiaggia era diventata così grande sarebbe stata il posto ideale per fare delle belle e salutari “stufe a rena”. A questo pensava Mastu Ciccio ogni qualvolta gli capitava di fare quattro passi lungo l’arenile di Castellammare. Immaginava i punti dove sarebbe stato più opportuno scavare le buche, si dilettava a calcolare quante persone avrebbero potuto beneficiare di quella sabbia calda e asciutta. Curarsi con le sabbiature, o per dirla con un termine medico che aveva sentito da un professore, la psammoterapia era, un tempo, uno dei grandi vantaggi che offriva la sua città. Una cura semplice e gratuita per guarire o alleviare i reumatismi, le artrosi. Un toccasana soprattutto per la gente più povera che per campare faceva lavori logoranti, mangiava poco e viveva nei bassi, case piccole e umide al piano terra o nei seminterrati dei palazzi del centro antico dove raramente arrivava il sole Un lungo e piovoso inverno passato in queste condizioni spesso lasciava profondi segni nello spirito e nel corpo. Segni dolorosi che solo l’arrivo della calda estate, del sole, dell’aria di mare e della sabbia potevano mandare via. Una sabbia costituita da un miscuglio di minerali unico al mondo, una ricetta i cui ingredienti erano stati portati dal vicino Vesuvio, dal Fiume Sarno e dai circostanti monti calcarei come il Faito. Una sabbia ricca di preziosi minerali che il sole asciugava e riscaldava fino ad una temperatura di 50-60 gradi. Continua a leggere