‘O palazzo ‘e Sant’Antonio
(ricordi, impressioni, suggestioni)
di Giuseppe Zingone
Anche questa estate sono tornato a Castellammare, dove ho ritrovato con piacere mio cugino Maurizio (alias liberoricercatore) il quale, mi ha fatto dono di una immaginetta votiva di Sant’Antonio da Padova, non un’icona qualunque, ma quella della devozione propria stabiese iniziata nel Centro Antico. Naturalmente il dono era mirato, infatti ho vissuto in quello stabile fin dalla nascita e oltre la maggior età; inutile dire che Sant’Antonio “‘o zelluso” com’era familiarmente chiamato dall’anziana Signorina Maria Fiorella Longobardi per tutti “Onna Sciurella” è il protagonista dei miei ricordi. È bastata una “fiurella” a suscitare in me tante memorie, soprattutto quelle di cui ho fatto esperienza in prima persona; ciò di cui non ero al corrente l’ho chiesto ai miei genitori.
‘O Palazzo ’e Sant’Antonio è ubicato in via San Bartolomeo al numero civico 72, salendo da piazza Orologio (p.zza Cristoforo Colombo) ci si dirige a sinistra verso via Gesù, l’edificio legato a quelli successivi ha i suoi confini delimitati da un lato dal caratteristico Vico del Pesce e oltre gli stabili contigui ad esso, ci ritroviamo alla calata San Bartolomeo; di fronte non di bella veduta il poderoso Monastero di San Bartolomeo, sfido un qualsiasi Giacomo Leopardi di immaginare oltre quelle (siepi) mura cosa ci fosse! La nostra finestra era disdegnata anche dal sole che compariva solo per qualche ora; alle spalle, via Campo di Mola (qui il sole invece era una visione onirica) e gli edifici che si affacciano su via Bonito, mia moglie da nubile era anche mia dirimpettaia (dalla casa di mia nonna, il palazzo di fronte era distante circa sei metri).
Il primo negozio incastonato nell’edificio è un panificio dei fratelli Antonino (detto Pupiello, per altri Cupiello) e Roberto Maresca, oggi gestito dai figli di Antonino, a seguire un negozio di abbigliamento Ninna Nanna; oltre l’ingresso del civico 72, la macelleria D’Apice. Tutti e tre questi negozi avevano anche un proprio ingresso nell’atrio a cielo aperto del palazzo.
Vorrei riuscire a rendervi presente l’odore del pane a tutte le ore che da noi era letteralmente di casa, era il naso ad indicarci quando il pane veniva sfornato. Una vera leccornia poi la focaccia, d’inverno a scuola, d’estate al mare una colazione irrinunciabile. Di sera poi si affacciava alle nostre porte l’odore della brioche, la morte sua, era la profana Nutella.
A Pasqua da piccolo ricordo che molti portavano ad infornare i propri “casatielli c’’o pepe” fatti in casa, anche questo rito oramai si è estinto!
Subito dopo il terremoto dell’Ottanta, in questo negozio fui anche testimone di un evento che ha dello stupefacente e che ho ancora chiaro stampato nella memoria: delle signore parlando tra loro ad alta voce affermavano che un vecchietto aveva annunciato per quella sera un’altra attività sismica, cosa che avvenne regolarmente qualche ora più tardi come da profetica predizione.
Della macelleria ricordo solo il calore dei motori della cella frigo e l’intenso odore della carne macellata.
L’atrio del palazzo oltre a numerosi angoli per giocare a nascondino aveva una particolarità, forse più unica che rara nel centro antico: C’era l’ascensore!; sembra che fosse dono di un italoamericano devoto a Sant’Antonio, che ne omaggiò l’intero palazzo (forse per grazia ricevuta?), ma anche per le difficoltà a salire le scale dell’anziana Signorina Longobardi; ad ogni piano una fermata, salvo quando Padre Viscusi Innocenzo (vocazionista) subentrato alla Signora Fiorella nel rettorato della chiesa “d’‘o zelluso”, decise di tenerla tutta per sé e farla fermare solo al terzo piano dov’era il tempio del grande francescano, vi lascio immaginare le “benedizioni” dei condomini e l’antipatia che suscitò tale gesto anche in noi ragazzi, che non potevamo più giocarci.
Oltre agli ingressi dei negozi, al piano terra viveva una anziana signora soprannominata “Ciaciona” (la sua casa poi andò ad ingrandire la panetteria), poi vi erano altri due grandi ambienti ad uso deposito e un sottoscala anch’esso chiuso.
La prima rampa di scale di undici gradini, le altre “tese” invece ne avevano dodici, agevoli per chi sale, ed anche per la memoria di chi li ha percorsi per tanti anni, (tra il secondo e terzo piano mio cugino Giuseppe Rapicano in una sfida al salto più lungo, si ruppe spalla e braccio). Tra una rampa e l’altra delle scale, vi erano dei quadri: il primo era la Madonna del Buon Riposo, tra il primo ed il secondo una immagine, mi sembra, della Sacra Famiglia, tra il secondo e il terzo piano un bel quadro raffigurante Sant’Agnello.
Raggiunto il primo piano, lato destro troviamo un appartamento che era di proprietà di un ordine di suore residenti a Pianura, che tornavano lì solo d’estate per fare le cure termali e all’occorrenza qualche bagno al mare, seguiva poi, la casa del sarto Don Enrico Raffone e di sua moglie Anna, bravissime persone, chiudeva quel lato del piano l’appartamento dei signori Verdoliva (marito, moglie e fratello di lei, anzianissimi!); sul lato sinistro appena arrivati al primo piano invece vi era il bel appartamento con affaccio su via San Bartolomeo di ben tre balconi, del “Maresciallo” così lo chiamavano si trattava di un maresciallo di Pubblica Sicurezza (ancora vivente a detta di mio Padre).
Al secondo piano tutta una serie di piccole residenze di una stanza o poco più tranne due, ancora (lato destro) un piccolo alloggio delle suore già ricordate, dove trascorse i suoi ultimi anni mia nonna materna Anna Romano (successivamente subentrammo noi nella sua casa); a seguire la casa di un anziano e sempre elegante signore “’On Tummaso” se ben ricordo Somma di cognome; ancora oltre, la casa della signora Anna Bottone anch’essa piccolissima in più tanto tetra, dal momento che la signora non accendeva quasi mai la luce forse per risparmiare, ricordo ancora quando avanti negli anni fu portata via in barella, ormai non più autosufficiente, finì i suoi ultimi anni in un ospizio; infine la casa dei signori Trattelli.
Al secondo piano lato sinistro salendo dalle scale la famiglia Castellano, noi famiglia Zingone e la casa ben più grande del Professor Catello Longobardi e consorte signora Regina, il professor Longobardi era anche nipote dell’omonima fondatrice dell’Oratorio Antoniano.
Al terzo piano sempre in appartamenti delle suore di Pianura vi era la signora Pina De Angelis ed una sua sorella con il marito una casa più in là, tutto il resto del piano era luogo di preghiera per Sant’Antonio ed anche di dedizione ai poveri, ad accogliervi all’ingresso della piccola chiesa un bel crocifisso attorniato da miriadi di ex voto, quasi come dei flash, rivedo braccia, gambe, occhi, figure intere, piedi, quasi sempre d’argento, di persone che riconoscevano al santo un potestà sulla loro vita, un intervento che aveva del prodigioso, del miracoloso.
Infine all’ultimo piano che poi era l’accesso al tetto dell’edificio dove ogni condomino aveva l’antenna, un altro mini-appartamento, dove viveva l’anziano signor Vanacore.
I tetti per noi bambini erano “off limits” per ovvie ragioni…, ma lì oltre alle antenne c’era qualcosa che gli altri edifici (escluse le chiese) non avrebbero mai potuto avere, le campane, e quello, l’unico punto per noialtri da cui poter osservare il loro fragoroso scampanio.
Da quei tetti, ho avuto modo di osservare anche tremendi incendi del mio amato monte Faito (di cui ha ricordo anche mio cugino Maurizio).
Il fulcro dell’edificio era in ogni modo l’Oratorio Antoniano portato avanti da “Onna Sciurella”, del quale il fondatore era suo fratello Mons. Catello Longobardi una laica, nubile, che nel tempo aveva intessuto una pia azione di enormi dimensioni, basti pensare le centinaia di fanciulli che negli anni hanno fatto lì la loro Prima Comunione, ho saputo da mia madre che mia nonna, scendeva da Scanzano fino a Castellammare appositamente per portare il pane alla chiesa di Sant’Antonio, pane che poi sarebbe stato ridistribuito ai poveri (successivamente per quelle scale ho visto anche chi povero non era), e lì avevano luogo anche i famosi pranzi del Martedì per gli indigenti.
Il tredici Giugno poi, il portone era in festa, spesso veniva addobbato anche con luminarie era la nostra festa patronale e allora salivano e scendevano centinaia di persone, le campane suonavano ad ogni messa e più, c’erano le prime comunioni ed ai ragazzi bisognosi veniva fornito gratuitamente un abitino per la santa festa. Nella chiesa poi, per i più piccoli, tramite un’apposita apertura posta sul tetto, piovevano delle caramelle “dono di Sant’Antonio in persona”, le prime comunioni avvenivano anche in altre date, come mi testimonia mia madre che si accostò per la prima volta al Santissimo Sacramento insieme a suo fratello Domenico e sua sorella Rosa, il 29 Giugno 1957 festa di San Pietro e Paolo.
Ricordo durante tutto l’anno pellegrinaggi continui di gente che arrivava da tutto il circondario stabiese, chi giungeva per sciogliere un voto fatto al Santo chi ad impetrare una grazia, si racconta che la stessa “Onna Sciurella” insistesse con tono molto confidenziale affinché il Santo elargisse il tanto agognato prodigio: “Zellù falle ‘a grazia”
Mi è capitato di vedere spesso donne che salivano sin al terzo piano in ginocchio e qualcuna addirittura con la lingua per terra, segno di una devozione oggi inimmaginabile.
Non vi erano solo rimedi per l’anima ma anche per il corpo, infatti una collaboratrice della signora Longobardi, una certa “Girèlla” (sig.na Cira Infante), preparava degli “unguenti” che poi venivano concessi ai fedeli (in cambio di un’offerta per il santo) da applicare sulla parte del corpo dolorante. Da fonte indiscutibile abbiamo notizia anche della composizione del preparato terapeutico: si trattava di ovatta che veniva imbevuta d’olio e poi avvolta in quella carta cerata di cui si servivano le salumerie o gli olivari per avvolgervi i loro prodotti ed infine il tutto veniva benedetto.
Dopo l’era della Signora Longobardi le succedettero altre pie donne (tra cui la sig.na Cira) fin quando il tutto passò nelle mani del già citato padre Viscusi che addirittura venne ad abitare in mezzo a noi e precisamente al terzo piano prima porta lato destro, egli condusse come poté la cosa fino all’avvento del terremoto. Anche il nostro edificio nonostante la protezione di Antonio da Padova, subì seri danni e fu tutto siringato di cemento oltre a tutti quei pali in legno che servivano a puntellarlo, ora era più saldo, ma più complicato salire sia a piedi che in ginocchio, quando però tutto passò anche la chiesa sembrò riprendere tutte le attività consuete, tranne i pranzi per i poveri.
Sennonché stava per prepararsi l’immane tragedia, (l’anno dovrebbe essere il 1981/82) anche quel giorno mi recavo a scuola con mia sorella presso l’ex ufficio sanitario vicino la Ferrovia dello Stato in quanto il terremoto aveva danneggiato permanentemente la sede della Scuola Media Statale Alfredo Panzini (a piazza Giovanni XIII) e ci vedevamo costretti ai doppi turni; quando la scuola finì tornando a casa notammo una enorme colonna di fumo nero levarsi verso il cielo proprio in direzione della nostra casa, la chiesa di Sant’Antonio non esisteva più.
Naturalmente il quadro del santo fu salvo “per miracolo” almeno così sembra, infatti molti pensavano non fosse l’originale (si tratta di una stampa con l’effigie del santo in scala di grigi) non lo stesso fu per chi abitava in corrispondenza del tempio, infatti i vigili del fuoco pur riuscendo a domare l’impetuoso fuoco, finirono per allagarci l’appartamento, rivedo ancora il volto stravolto dei miei genitori, e siccome “chi poco tene, caro tene” ci rimboccammo le maniche e senza nessun tipo di aiuto nei giorni seguenti risistemammo il tutto, compresa la tinteggiatura della tela del soffitto.
Un banale corto circuito all’ingresso della chiesa dove c’era il crocefisso con le candele, questa fu la causa addotta dai pompieri per una tragedia che avrebbe potuto avere risvolti ben più gravi.
All’indomani della sciagura padre Innocenzo cercò per il quadro una più consona sistemazione e la trovò al piano terra in uno di quei depositi, proprio quello a fianco all’ascensore, ma il santo sembrava proprio non voler rimanere più nel suo palazzo, per cui trovò più degna dimora nella Chiesa di Santa Caterina assistito sempre da padre Viscusi. Anche qui però la permanenza fu breve, era come se il padre leggesse nei pensieri del santo, decisero allora di muoversi ancora una volta verso un’altra chiesa quella dello Spirito Santo. Alla morte di padre Innocenzo il quadro passò nelle mani del suo confratello padre Antonio Razzano che ne riavviò il culto, ancora presente nella chiesa di piazza Fontana Grande.
Una volta andati via i padri Vocazionisti, la Parrocchia fu affidata dal vescovo Felice Cece, ad uno Stabiese d.o.c., sac. Don Roberto Buonuomo, ma questa è storia recente; fatto è che per ora il santo sembra trovarvisi molto bene.
Per gli amanti dell’antropologia è da segnalare il bisogno dei fedeli alla fine della messa di toccare il quadro di Sant’Antonio quasi fosse una reliquia, un intrinseco bisogno di avere vicino qualcuno che ti protegga, ti aiuti nella vita, per dirla tutta il bisogno di affidarsi ad un altro (Altro=Dio), il bisogno del sacro. Nella chiesa Cattolica esiste una stretta relazione tra Chiesa Militante (noi), Chiesa Purgante (coloro che sono in attesa di entrare nella gioia del cielo) e Chiesa Trionfante (coloro che godono della beatifica visione di Dio), del resto i Vangeli hanno notizia di molti temi analoghi: Matteo 9,21; Matteo 14,36; Marco 5,28; ancora Marco 6,56; anche se riferiti a Gesù.
Per non tralasciare nulla, sembra che quel famoso terzo piano sia tornato alla sua destinazione iniziale, oltre ad essere la sede della Caritas Diocesana vi è anche il Centro Beata Madre Teresa di Calcutta con una rinnovata mensa per i poveri e due dormitori (maschile e femminile) per persone in difficoltà.
Un ideale passaggio tra donne che neanche si conoscevano, ma che avevano in comune, anche se per certi aspetti in maniera diversa, l’amore per gli ultimi del mondo, i fratelli di Cristo.
Le tracce di oltre un quarto di secolo non sono riducibili a questa breve narrazione, in quanto la singola giornata di una persona comune, potrebbe riempire intere pagine di quaderno; qui si è pensato di restituire lo stretto necessario per aiutare a non trascurare un frammento di storia locale che ci appartiene.
Ciao Giuseppe, sono Emilia longobardi, figlia del professore e della signora Regina. Grazie per questi ricordi che ci hai regalato, anche se io ,data l’età piu’ avanzata ne conservo anche alcuni precedenti ai tuoi. Mi ricordo che mia madre, grande sportiva, diceva sempre che somiglia vi tanto ad un calciatore all’epoca molto famoso. Spero di riscontrarti e di scambiarci altri ricordi e informazioni
Ciao Peppe,
Grazie per aver rinfrescato tanti ricordi della mia infanzia. Non avevo pensato al Palazzo di Sant’Antonio da anni ma in un attimo mi si sono ritrovato… penso di aver anche sentito il profumo del pane fresco!
Non sapevo della destinazione finale del quadro ma sono contento che e’ adesso nella chiesa in cui sono stato battezzato.
Mi raccomando tieni le radici ben piantate nella memoria. Un abbraccio tuo fratello Peppe Zingone
Grazie di aver riaperto questa ” fenestella” ho passato i gli anni più belli della mia infanzia fra Santa Caterina e Largo Pace .
Nipote di Francesca ‘a Stuccaiola di Santa Caterina e Pascale ‘o Stuccaiuolo di Largo Pace e nipote di Vincezo Molinari , titolare del negozio di giocattoli proprio di fronte al Palazzo di Sant Antonio.
Mi inorgoglisce saper che c’è chi tiene vivi e bene impressi nel cuore i miei stessi ricordi e le mie stesse emozioni.
Grazie di cuore
Michele Tucci
Gentile signor Michele è mia convinzione più assoluta che i ricordi siano condivisibili e quindi la invito a scrivere i suoi e a mandarli al Liberoricercatore che sicuramente li pubblicherà.
Dei nomi da Lei citati due li porto sempre con me, Don Pasquale Barone in primis del quale conosco anche più del semplice nome e cognome e poi perun bambino quale ero allora il negozio di Molinari era il luogo dell’immaginario preferito. La finestra che dava su via San Bartolomeo era un punto di osservazione speciale soprattutto nelle festività non tanto il Natale, perché allora ed ancora oggi Natale è la festa di Nostro Signore, quanto più i giorni antecedenti la Befana…..
Un abbraccio non so se sarà a Castellammare per le festività ci si potrebbe incontrare.Un abbraccio fraterno Giuseppe Zingone.
P.S. Attendiamo i suoi ricordi……
La ringrazio per aver ricordato mio nonno Pasquale.
Un abbraccio a lei e a Michele Tucci.
Un grazie a Lei, buona serata!
Carissimo Giuseppe Zingone,grazie per avermi fatto rivivere parte della mia infanzia felice e spensierata nel Palazzo.Ho conosciuto da vicino “Onna Sciurella”e ho con me l’immagine sacra do Zelluso al quale mia madre era devota.Sono il nipote di Lina,Stanino,Armando e Lucia Verdoliva(mia madre)era la sorella dei primi due.Adesso e da sempre direi (70 anni) vivo alla Spezia e ho e avrò per sempre il ricordo della mia vita fino ai 10 anni.Ogni tanto ritorno a C/mmare per incontrare
mio cugino Nino Giandomenico(padre di Cetty)con il quale abbiamo vissuto questa esperienza meravigliosa.CIAO
Gentilissimo Signor Somma, ricordo i suoi zii, come persone serene e distinte, Lei ha avuto il piacere di conoscere di persona ” Onna Sciurella”, ci invii i suoi ricordi, perché purtroppo se non messi su carta (anche virtuale) ahimé andranno smarriti…. Liberoricercatore accoglierà volentieri un suo scritto magari potrebbe redigerlo a quattro mani con suo cugino, sarebbe FANTASTICO…!!! Saluti Giuseppe Zingone