Un raschiatoio in selce, risalente al paleolitico, ritrovato nel 2004 al Vallone Scurorillo di Castellammare aiuta a riscoprire il passato antico della città
Lo studio dell’occupazione di un territorio da parte dell’uomo può essere affrontato da diverse prospettive spazio-temporali. È noto che la storia inizia quando l’uomo lascia testimonianze scritte della sua cultura. Il lavoro dello storico consiste nel rintracciare questi documenti ed utilizzare le informazioni contenute in essi per ricostruire una probabile successione di avvenimenti. Il lasso di tempo durante il quale l’uomo non ha lasciato testimonianze scritte viene indicato come preistoria.
L’indagine preistorica è competenza dell’antropologo che alla stregua dello storico si prefigge l’obiettivo di ricostruire una probabile successione di avvenimenti, ma deve fare affidamento su un diverso tipo di fonti, testimonianze dirette, non scritte, dell’attività culturale. Una delle poche testimonianze della presenza dell’uomo sulla terra, per un lungo periodo di tempo, è il ritrovamento di una moltitudine di manufatti litici, ossia, utensili in pietra fabbricati intenzionalmente da uomini figli di una cultura paleolitica. È storicamente accertato che fin dall’antichità (epoca romana e preromana) l’uomo occupa il territorio dove oggi sorge la città di Castellammare di Stabia. Poco o nulla si sa della presenza di eventuali popolazioni umane paleolitiche. L’unico reperto che le testimonia è un manufatto litico da me ritrovato al Vallone Scurorillo. Nel maggio 2004, durante un’escursione naturalistica al Vallone, rinvenivo ai piedi di un dirupo in un cumulo di ghiaia calcarea una selce, roccia silicea insolita in penisola sorrentina, che per la particolare forma mi ha subito fatto pensare che potesse essere un manufatto litico.
Bisognava accertare che la supposizione fatta fosse esatta, poteva anche trattarsi di una forma casuale. Ho quindi raccolto il reperto e l’ho fatto esaminare dall’illustre prof. Francesco Fedele, docente di antropologia all’Università degli studi di Napoli Federico II, che ha confermato l’ipotesi: si trattava proprio di una selce foggiata a mo’ di raschiatoio, il prodotto di un antica cultura paleolitica, che indubbiamente era presente da queste parti in un periodo di tempo compreso tra circa 300.000 e 40.000 anni fa. Il prof. Fedele ha definito il reperto interessante e di grande valore.
Questa scoperta può essere intesa come un piccolo raggio di luce che ha rischiarato un po’ l’oscurità che avvolge il nostro passato più antico: un’ epoca in cui uomini del tutto simili a noi da un punto di vista biologico avevano un’ organizzazione socio-culturale completamente diversa. Gruppi sociali composti da pochi individui capaci di vivere in totale armonia con l’ambiente circostante, cacciando e raccogliendo ciò che la terra offriva, aiutandosi solo con semplici utensili in pietra. Una cultura paleolitica ormai estinta da millenni nel nostro territorio, le cui vestigia ci insegnano che la società moderna rappresenta una fase transitoria delle molteplici tappe dell’evoluzione socio-culturale umana.
Se le società e le culture che ci hanno preceduto avessero fatto un uso scriteriato delle risorse pari a quello attuale probabilmente oggi non avremmo di che vivere. Riscoprire il passato ci può aiutare a valorizzare le risorse limitate in modo da assicurare un futuro certo alle prossime generazioni.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
N.d.A. Rinnovo l’appello, fatto nell’articolo “Pteride di Creta, reperto interessante della flora stabiana”, alle autorità preposte alla salvaguardia e tutela del territorio affinché tutelino nel miglior modo possibile il Vallone Scurorillo, luogo di rilevante interesse naturalistico che tanto ha da offrire al benessere e al corretto sviluppo della comunità.